COVID-19: Uno sguardo dal Regno Unito

Una riflessione di Giskin Day, Imperial College London

Non è incredibile quanto qualcosa di così minuscolo possa portare tutto questo scompiglio? Poiché il COVID-19 si muove sulla sua insidiosa via tra gli individui, le comunità e le popolazioni, qui nel Regno Unito ci sentiamo come in uno stato di sospensione, attendendo con trepidazione di vedere cosa accadrà prossimamente.

Lavoro nella formazione medica in una grande università londinese. Il più grande impatto che il virus ha avuto su di me personalmente è che una grande conferenza sulla formazione medica prevista per la prossima settimana, sulla quale una dozzina di persone stava lavorando da mesi, è stata messa a rischio. Se la scorsa settimana stavamo cercando di tappare i buchi nel programma quando i conduttori provenienti dalle regioni a rischio hanno cancellato i loro interventi, la potenzialità per il Regno Unito di diventare esso stesso un’area a rischio nella prossima settimana ha voluto dire che ora stiamo esplorando un’alternativa tecnologica.

Benché io non mi senta personalmente a rischio per il virus – sono in salute e avrei possibilità di guarigione molto buone nel caso in cui lo prendessi – sono molto consapevole che sia un mio dovere morale comportarmi responsabilmente negli interessi di protezione di chi è più vulnerabile di me. Ma questo cosa significa? E’ responsabile pensare di “restare calmi e andare avanti” nella normalità, o fare piani contingenti nel caso sorgesse la necessità di auto-isolamento? C’è una linea davvero sottile tra fare rifornimenti sensatamente e acquistare nel panico irresponsabilmente. Nel frattempo, il suggerimento del governo si è focalizzato sul lavaggio delle mani e rieducandoci a non toccare i nostri volti così tanto.

Sono perdutamente dispiaciuta per coloro che stanno soffrendo per questa epidemia, direttamente e indirettamente. Le misure prese per prevenire la diffusione – che potrebbero essere in ogni caso infruttuose – probabilmente stanno causando un danno di lungo termine maggiore del virus stesso. Alcune imprese, già sotto sforzo in questo difficile periodo economico, chiuderanno. La riduzione dei clienti sarà per alcuni negozi la goccia che fa traboccare il vaso, portando alla perdita di molti posti di lavoro. Gli eventi saranno annullati. Saranno tempi duri. Ma accadranno anche cose belle. In un mondo frenetico possiamo tutti beneficiare di un rallentamento per un po’. Ci saranno le opportunità di innovazione, così da diventare tutti più resistenti alle malattie infettive in generale. L’individuazione di soluzioni per aggirare i continui spostamenti possono avvantaggiare l’ambiente.

Nel lungo termine, ciò che mi preoccupa di più è che l’isolamento sociale diventi radicato. Noi viviamo già in una società in cui siamo ansiosi nei confronti del contatto. Noi rappresentiamo molte delle nostre emozioni sociali attraverso il contatto fisico – strette di mano, abbracci, una mano consolante su un braccio – e se queste diventano un taboo, rischiamo di aumentare la solitudine e l’isolamento che contribuiscono ad un’altra epidemia del nostro tempo: una crisi della salute mentale. Ecco una cosa che possiamo fare tutti: occuparci gli uni degli altri. Essere generosi. Essere pazienti. Essere gentili.

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