Quali parole per dare voce alla perdita? “One Art” di Elizabeth Bishop

Elizabeth Bishop è nata nel 1911 a Worcester, Massachusetts. Dalla sua morte, avvenuta nel 1979, la sua reputazione è cresciuta al punto che diversi critici l’hanno definita come “una delle maggiori voci della poesia statunitense” del XX secolo.

Rispetto ad altri autori, non ha scritto in modo prolifico, dedicando però molto tempo a rifinire i suoi lavori. In ogni modo, la sua seconda collezione di poesie, Poems: North & South/A Cold Spring (1955), ha ricevuto il premio Pulitzer; nel 1970 ha insegnato ad Harvard, e nel 1976 ha vinto il Neustadt International Prize for Literature.

One Art è forse una delle sue poesie più famose, ed è in parte autobiografica: al centro vi è il tema della perdita, nelle sue diverse forme, in ultimo quelle più dolorose e profonde.

Quali sono le parole per dare voce alla perdita?

Il dolore, quando lo attraversiamo, è polimorfo: perché può essere amore, rabbia, colpa, persino tenerezza, e spesso tutte queste cose insieme. Il vuoto non è solo quanto ci lascia l’assenza di una persona dalla nostra vita, ma lo specchio di quello che siamo stati – o non siamo stati – per questa persona. Riflettere sulla perdita è doloroso perché significa riflettere anche sulla nostra parte meno nobile. Riflette la mancanza, e tutto ciò in cui siamo stati mancanti.

È possibile, dunque, imparare a perdere? Come scrive Bishop, siamo circondati da cose che perderemo facilmente, e perderle non sarà un disastro: le chiavi, le ore spese male, luoghi, nomi, un orologio… Fino a una voce giocosa, un gesto amato: la crepa nell’arte di perdere.

The art of losing isn’t hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.
Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn’t hard to master.
Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.
I lost my mother’s watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn’t hard to master.
I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn’t a disaster.
—Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan’t have lied. It’s evident
the art of losing’s not too hard to master
though it may look like (Write it!) like disaster.
Altre poesie di Elizabeth Bishop possono essere trovate, in inglese, su The Poetry Foundation.

Alessandra Fiorencis

Laurea magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata nel campo dell’antropologia medica, ha condotto attività di formazione a docenti, ingegneri e medici operanti in contesti sia extra-europei che cosiddetti “multiculturali”. Ha partecipato a diversi seminari e conferenze, a livello nazionale e internazionale. Ha lavorato nel campo delle migrazioni e della child protection, focalizzandosi in particolare sulla documentazione delle torture e l’accesso alla protezione internazionale, svolgendo altresì attività di advocacy in ambito sanitario e di ricerca sull’accesso alle cure delle persone migranti irregolari affette da tubercolosi. Presso l’Area Sanità di Fondazione ISTUD si occupa di ricerca, scientific editing e medical writing.

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