Una parola in quattrocento parole – POESIA

La parola poesia deriva dalla omografa parola latina che traduce il greco poiesis sostantivo deverbativo, di poieo, “io faccio, credo, compongo”. 

È l’attività con la quale una persona porta in essere un qualcosa che prima non esisteva in quella forma. Può significare sia il singolo componimento in metrica, sia la tradizione in versi, sia, crociatemene, una caratteristica ulteriore di alcuni testi che ne sancisce una marca di qualità.

Se prendiamo in considerazione solo il suo significato legato alla scrittura in metrica, la nascita della poesia in occidente coincide pressappoco con il consolidamento della medesima civiltà, ossia con Omero. Momenti poi di fondamentale codificazione saranno l’Ellenismo e il Rinascimento. L’Otto e il Novecento opereranno poi una sistematica decostruzione delle regole metriche della tradizione fino a giungere a un panorama estremante variegato e difficile da definire in termini di forme e contenuti.

Ormai tutto sembra poetabile e non è più richiesta la padronanza della metrica tradizionale per mettere insieme un componimento. Tuttavia, nonostante la apparente arbitrarietà acquisita la poesia sembra a chi non è del mestiere come qualcosa di concettoso, difficile da capire e ostile. 

Ci troviamo però davanti a un paradosso: sebbene goda di cattiva fama, spesso generata da reminiscenze maldigerite della scuola superiore, la poesia è ancora oggi scelta da molti come il veicolo per l’espressione di una variegata gamma di sentimenti ai quali altrimenti non si saprebbe come dare forma. 

Particolarmente tante, pare, sono state le poesie scritte da qualunque categoria di persona, dai medici ai pazienti, dagli studenti agli insegnanti, durante i mesi più duri della pandemia. Ma questo come può spiegarsi? Forse perché l’espressione in parole che assumano un significato ulteriore dalla loro selezione e accostamento (perché nella sua forma minima questa è la poesia) è lo strumento che meglio riesca a trasfigurare il dolore, la sofferenza, le tragedie in bellezza estetica ed etica.

Altra faccia dell’uso della poesia in ambito medico è quello della poesia che cura. Spesso, infatti, la lettura di un testo che presenti già trasmutate in dolci parole esperienze e emozioni permette una comunione di sentimenti che lenisce e influisce sullo stato d’animo del lettore. Esiste dunque una poesia che consola, una poesia che dà coraggio e una poesia che semplicemente non fa sentire soli. Il potere della parola poetica agisce su di noi con una sempre viva forza, così era ai tempi di Omero, così è oggi.

Lasciateci per favore una parola per il vostro sentimento della poesia.

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

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