UN BILANCIO SULLE CURE AD UN ANNO DALLO SCOPPIO DALL’EMERGENZA SANITARIA: INTERVISTA AL DR. PAOLO BANFI

Dr. Paolo Banfi, Responsabile U.O.C. Riabilitazione Cardio-Respiratoria, IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milano

EV: Quali importanti cambiamenti sono da evidenziare nella gestione dei progetti riabilitativi ad un anno dallo scoppio della pandemia?

PB: Sono stati apportati dei cambiamenti sostanziali, perchè la riabilitazione, nel nostro caso, respiratoria ha modificato il suo aspetto, andando maggiormente sul territorio. Per esempio, è stata introdotta la teleriabilitazione, cioè la riabilitazione a distanza, in cui un Fisioterapista si occupa della riabilitazione del paziente. Questo è sicuramente molto positivo, perchè permette di monitorare il paziente con costanza, giorno per giorno. In realtà il futuro ci vede impegnati in un’evoluzione della riabilitazione, perchè il paziente sarà monitorato per 24h, anche grazie ad un actigrafo, in modo da controllare il suo sonno ed i suoi movimenti, per cui sarà possibile vedere come sta e se, soprattutto, fa gli esercizi che gli vengono dati anche per mantenere la sua efficienza fisica da un punto di vista respiratorio e muscolare. Questo è stato il cambiamento principale.

Da un punto di vista ospedaliero, IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi è un Istituto “pulito”, per cui da noi i pazienti arrivano “puliti”, negativi al Covid-19. Questo è importante, perchè da un punto di vista organizzativo è estremamente stressante. Infatti, i pazienti vengono sottoposti a tampone sia i giorni immediatamente precedenti il ricovero sia durante il corso dello stesso, previo un periodo di isolamento in quarantena di una settimana circa. In quinta giornata, viene eseguito il tampone molecolare per la verifica della possibilità di mettere il paziente in una stanza a due.

EV: Come sono cambiati, anche in termini applicativi e di utilizzo, i progetti in telemedicina con l’emergenza COVID-19?

PB: Il Covid-19 ha dato grande impulso alla telemedicina. Prima era, a mio avviso, sottoutilizzata. In questo momento, invece, non dico che sia utilizzata in modo ottimale, ma comincia a comparire in vari setting ospedalieri e nel territorio.

EV: Come è possibile mantenere l’efficacia e l’efficienza delle cure ed, al contempo, preservare l’empatia e l’umanizzazione delle cure nella telemedicina e nella teleriabilitazione?

PB: Domanda molto pertinente perchè non c’è contatto fisico. Spesso e sovente i fisioterapisti cercano il contatto fisico per raggiungere un’empatia completa con il paziente. In questo caso, invece, manca del tutto perchè c’è solamente un contatto telematico, visivo. Tuttavia, con la pandemia sono cambiate molte cose, perchè il paziente non può abbracciare o entrare in contatto con i propri cari. Perlomeno, i familiari sanno dove sei e come stai e questo è molto importante. E’ molto indicato che questo audio-visivo sia supportato da personale del dipartimento. Meglio se fosse un medico, ma anche personale in contatto come infermieri e fisioterapisti. Questo per far capire che il tuo caro è seguito, non è un numero lasciato in una stanza. Questo è un modo per entrare in empatia con il paziente, ma anche con la famiglia, con chi sta attorno al paziente.

EV: Ci sono precauzioni e consigli che si sente di suggerire al riguardo (anche esempi)

PB: Innanzitutto, non dovrà essere un surrogato della medicina. La telemedicina è importante e sarà sempre più importante, ma non dovrà diventare un alibi per non entrare in contatto con il paziente. Questo ultimamente sta uscendo, perchè i medici contattano i pazienti ed i familiari solo attraverso il contatto audio-video, non garantendo quello che è il solito contatto con il proprio medico, aspetto di cui alcuni pazienti e familiari si lamentano. Tant’è vero che alcuni pazienti con Covid-19 sono seguiti solo in audio-video, quando vorrebbero la presenza del medico. 

EV: Come si può alfabetizzare anche i più riluttanti oppure per coloro che hanno più difficoltà all’uso delle nuove tecnologie?

PB: Non tutti hanno la possibilità di avere un tablet, anche se noi lo forniamo. Però non tutti possono essere in grado di gestire un tablet. Allora è importante che ci sia un tutoraggio di base, cioè che vengano seguiti passo per passo nella presa in carico telematica. I sistemi telematici devono essere semplici, della serie “clicco un tasto e ti vedo”.

EV: Secondo Lei, il dialogo con la medicina del territorio in questo anno si è modificato oppure è rimasto inalterato?

PB: Questa sarà un’ulteriore evoluzione. Nei miei sogni, auspico dei sistemi di gestione delle patologie, per cui c’è una sorta “centrale operativa” con personale medico ed infermieristico esperti. Abolirei tutti quegli istituti dove c’è un ammasso di anziani che fanno fisioterapia, sì…ma sono pur sempre istituzionalizzati…quelle strutture che fanno attività, ma senza vivere una socialità completa. Sarebbe bellissimo avere una sorta di “centrale”, per ora chiamiamola così anche se forse non è il termine più adeguato, con delle piccole stanze che contengono alcuni pazienti e con una stanza comune in cui socializzare, incontrarsi scambiarsi le idee ed anche i sogni…perchè si sogna anche a quell’età! 

“Centrali” in cui ci sia un supporto al bisogno e non un’istituzionalizzazione o una medicalizzazione sistematica. Deve essere estremamente più leggero di un’istituzionalizzazione e, al contempo, supervisionato da una centrale operativa medico infermieristica, con un’infermiera che va di supporto a questa sorta di comunità per le terapie e le necessità e due o tre OSS, a seconda del numero di pazienti ricoverati, che gestiscono i bisogni dei pazienti. Questo deve essere aperto ai familiari. Ma questo è veramente il futuro. 

EV: Ci sono ulteriori aspetti da segnalare riguardo al tema affrontato?

PB: L’emergenza sanitaria, in qualche modo, ci ha spersonalizzato. Purtroppo, vediamo ancora oggi pazienti abbandonati in corsia…ed è vero, siamo ancora in emergenza e non abbiamo tutti gli ospedali e tutto il personale che vorremmo avere. Tuttavia, non abbiamo neanche il territorio che cura i pazienti in modo adeguato. Dovremmo imparare dalla pandemia, la cura del territorio, che è sempre lasciato a sé stante, abbandonato. Molti Medici di Medicina Generale, purtroppo, non sono in grado di gestire i pazienti o non sono nelle condizioni di poterlo fare, per cui assistiamo ancora oggi a terapie per il Covid-19 inventate o approssimative, senza seguire delle linee guida e quello che si sa del virus, -anche se è vero che conosciamo poco del virus- e quindi ci sono delle personalizzazioni delle cure inappropriate.

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