Tra mamme chiocce e capitani di una squadra, sarti industriosi e investigatori: le metafore utilizzate dai professionisti sanitari per raccontarsi – analisi delle metafore di 500 professionisti sanitari

Molte delle nostre ricerche narrative si rivolgono anche, o in alcuni casi esclusivamente, ai professionisti sanitari, come occasione per comprendere il loro punto di vista, ma anche come opportunità piuttosto inedita per loro di espressione libera, aperta, attraverso strumenti e utilizzando linguaggi che non fanno parte della loro pratica clinica. Tra questi strumenti di narrazione, ci sono le metafore, che invitiamo ad utilizzare per rappresentare il proprio ruolo professionale. Spesso è un invito spiazzante, per qualcuno una richiesta difficile, come dimostrano le percentuali considerevoli di non risposte o “non metafore”: ad esempio, nel settore pneumologico, quasi la metà (46%) dei 140 pneumologi esperti di broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) invitati ad esprimersi attraverso una metafora non ha scritto niente, oppure ha utilizzato aggettivi e descrizioni che non si rifanno al linguaggio simbolico della metafora; di poco inferiore la percentuale di non rispondenti rilevata tra i 105 neurologi che curano la Sclerosi Multipla (38%).

Eppure, tra chi accoglie questa proposta sfidante, si scopre una sorprendente creatività, sensibilità e ricchezza di immagini, molto rappresentative del significato e del vissuto più intimo dell’essere professionisti delle cure. Le metafore diventano così uno strumento potente ed efficace per rendere la complessità di più sfere che interagiscono quotidianamente tra loro: le motivazioni, le emozioni, le fatiche, le soddisfazioni, i disincanti, i valori.

Dall’analisi di circa 500 metafore provenienti da un gruppo eterogeneo di professionisti sanitari, in gran parte medici – pneumologi, neurologi, allergologi, pediatri, cardiologi, dermatologi, medici di medicina generale, endocrinologi, ginecologi, oncologi – ma anche infermieri e psicologi, tutti partecipanti a nostri progetti di ricerca, possiamo identificare delle immagini ricorrenti e trasversali ai diversi ruoli professionali e contesti di cura:

Il curante che aiuta, protegge, sta accanto e nutre.

Spesso rappresentato attraverso figure animali – “la leonessa che protegge i cuccioli”, “la mamma chioccia”, “chioccia con il camice bianco” – e figure familiari“mamma che non si limita all’aiuto passivo, ma che continuamente stimola l’altro verso un processo di attivazione personale”, “a volte figure genitoriali con il compito di accudire”, “una sorella maggiore”, “lo ZIO delle Persone che seguo…non ho le responsabilità di un padre, ma posso consigliare, dare pareri e ricevere domande a volte strane ed intriganti che ad un padre non si pongono….”. Sono frequenti anche le metafore marittime del “porto in cui rifugiarsi”, “l’ancora a cui i pazienti e i familiari si aggrappano, soprattutto nelle giornate di tempesta”, “l’approdo” e la metafora del giardino del “giardiniere che cura i suoi fiori”, “giardiniere che si occupa con amore delle sue piante aiutandole a crescere nel rispetto delle loro caratteristiche, fornendo il giusto nutrimento, cercando l’opportuna esposizione alla luce, registrando i loro progressi, insomma coniugando competenza professionale, attenzione e amore”. E ancora, sono comuni la metafora spirituale dell’“angelo custode”, quella presa in prestito dal mondo dei fumetti della “coperta di Linus”, e la figura della “mano tesa”.

La guida e il punto di riferimento

Chi vuole rappresentarsi con un ruolo di guida, ricorre spesso alle metafore sportive – il “coach sportivo che aiuta l’atleta a dare il meglio di sé e star bene e lo motiva”, il “capitano di una squadra”, “uno di quei allenatori delle squadre americane che devono oltre a guarire incoraggiare e motivare il mio gregge di pecore a diventare pecore da combattimento” – o, di nuovo, alla metafora marinara, questa volta rappresentata da “il nocchiero in un mare in tempesta”, “La timoniera di una barca in cui il paziente è talora equipaggio, talora passeggero”, “il traghettatore di pazienti nei momenti di tempesta e burrasca in mezzo al mare, verso la terraferma”, “l’ammiraglio”. Ricorre anche l’immagine del saggio, con “il maestro che insegna”, “il capo indiano saggio e autorevole, riferimento per la sua tribù”, “dottolo”, “il vecchio saggio”, quella del “compagno di viaggio di un viandante che abbia perso il cammino, gli offro il mio aiuto per ritrovare la strada..”, e altre metafore spirituali come “la Stella Cometa guida dei propri pazienti”, “il pastore di un gregge”, “icona”, o poetiche come “Virgilio (io) che accompagna Dante (il paziente) in un percorso tortuoso e complicato quale l’Inferno (la malattia)”.

Il lavoratore operoso

In questi casi, il professionista si rappresenta attraverso figure professionali artigiane“il restauratore”, “un artigiano della salute del corpo”, “il sarto industrioso”, “il garzone” – o metafore provenienti dal mondo della meccanica – “il tecnico che aggiusta”, “il meccanico che interviene quando la macchina non va più in moto”, “un’automobile diesel: forse lenta ma costante e tenace”, “l’orologio svizzero”, “Una vite di un ingranaggio più grande”. Sono frequenti anche le metafore dal mondo animale – “la formica laboriosa”, “un’ape operosa, sempre impegnata sul singolo con un occhio rivolto alla comunità”, “un mulo da soma”, “tartaruga lenta e instancabile”.

Il curante nella complessità

Ci sono poi le immagini che restituiscono un ruolo professionale complesso, fatto di ricerca e investigazione – “un investigatore alla Sherlock Holmes o Jessica Fletcher che unisce raziocinio e creatività”, “un investigatore che indaga sui mali che affliggono il paziente e il contesto sociale in cui vive ed un interprete delle espressioni del paziente”, “un investigatore sulla scena di un crimine”, “azzeccagarbugli”, “cercatore d’oro”, “Universo pieno di sorprese…e qualche buco nero”, “Un cane da tartufo che cerca di capire quale è la causa dello squilibrio” – o di alchimia, compromesso e mediazione – “L’alchimista”, “Come una alchimia: il tentativo di sviluppare la migliore miscela possibile tra rigore scientifico e adattamento al singolo individuo delle conoscenze valide in generale”, “bilancia”, “un anello di ricongiungimento”, “un amalgama tra gli altri specialisti”, “colla”, “un pezzo del puzzle”, “il vigile all’incrocio trafficato che deve cercare il modo migliore per rendere fluida ed efficace la circolazione”.

La forza e resistenza

Parlando di forza, la roccia è senza dubbio l’immagine più ricorrente, insieme alle metafore raffiguranti animali come il leone, la tigre, il rottweiler. Ma anche rappresentazioni semplici come il caterpillar, il vulcano, la dinamite, il diamante infrangibile, sono molto efficaci.

L’eroe combattente

Non mancano le figure eroiche, spesso connesse all’immagine della guerra (ebbene sì, anche tra i professionisti): “un intrepido guerriero”, “un gladiatore nell’arena”, “un soldato”, “un cavaliere combattente”, “eroe”, “guaritore ferito”, “il medico di frontiera”, “fortezza assediata”. Ma anche “Don Chisciotte contro i mulini a vento”, “crociato”, “paladino”, e, dal mondo dello spettacolo “spiderdoctor” e  “Mc Gyver”.

A tutta questa operosità, forza ed eroismo, si accompagna il gruppo di metafore utilizzate per esprimere il carico e la fatica del lavoro quotidiano, quasi delle richieste di aiuto. Sono frequenti le immagini della corsa“il maratoneta”, “la corsa campestre, si corre, ci si sporca, si fa fatica, bisogna stare attenti a non cadere e ad arrivare sani al traguardo”, “un atleta”, “la corsa contro il tempo” – del traboccamento“un vaso sotto una fontana…periodicamente trabocca”, “un fiume in piena”, “mi sento una spugna” – e del caos  – “in un frullatore”, “in un tritacarne”, “una trottola”. Ma sono tante e svariate le immagini evocate: “un bravo nuotatore, affaticato dopo un lungo viaggio, che si trova in mezzo al mare”, “sostegno in cerca di fondamenta”, “un tavolo senza una gamba ma che sta in piedi e regge tante cose”, “una persona molto anziana con la schiena curva che si trascina con un enorme sacco sulle spalle”, “una pentola a pressione”, “una barca che rema controcorrente: non puoi smettere di remare altrimenti la corrente ti spazza via”, “come un “leone in gabbia”, perché ostacolata da troppa burocrazia, limitata da scarse risorse umane, condizionata da limiti economici fissati dalle politiche economiche regionali e nazionali”, “Come d’autunno sugli alberi le foglie”.

Non mancano però le immagini di positività, rappresentate da “fate turchine”, figure più dolci degli eroi combattenti, dagli elementi del cielo“sole splendente”, “piccolo raggio di sole”, “è arrivato il sole”, “luna crescente”, “risplendere come astri nel mondo”, “sereno come il cielo in primavera” – da immagini di freschezza e leggerezza“Vento fresco che da sollievo in estate ma in grado di smuovere gli oceani”, “un soffio di vita”, “sono come il cielo dopo la tempesta: aria fresca da respirare”, “una finestra aperta”, “Una farfalla svolazzante in un prato”, “danza come una farfalla”, “Spirito libero” – di speranza“porta aperta”, “luce accesa”, “la luce in fondo al tunnel”allegria“cuorcontento”, “Una trottola: si guarda intorno a 360°, corre, è colorata, porta allegria”, “Entusiasta e divertita come un bambino davanti ad una vetrina di giocattoli”, “un sorriso”, “il giullare di corte” – e l’ottimismo del “bicchiere mezzo pieno”.

La missione di cura

Talvolta il ruolo di curante viene rappresentato nel suo significato esistenziale di missione – “la missione della mia vita”, “sulle orme di Ippocrate” – vissuto con spiritualità “Aspirante missionario”, “Il buon samaritano” – o amore – “un amante corrisposto dalla sua donna”, “cuore in mano”, “parte di una grande famiglia”.

Metafore di genere? Solo in alcuni casi

Così come la narrazione sembra essere un’attitudine più femminile che maschile – e le nostre attività di medicina narrativa, dalle adesioni alle ricerche, alle partecipazioni ai corsi di formazione, lo testimoniano – si possono individuare alcune differenze di genere anche dall’analisi delle metafore da noi raccolte in questi anni. L’utilizzo stesso della metafora tende ad essere più frequente tra le donne, mentre il gruppo dei non rispondenti a questo stimolo è maggiormente costituito da uomini. Ci sono poi delle diversità di figure utilizzate nelle metafore: sono una prerogativa più frequentemente femminile le figure di protezione, sostegno e nutrimento, quelle che esprimono la positività del ruolo professionaleil sole splendente, l’aria fresca –  e, altro lato della medaglia, le espressioni che indicano il carico quotidianoil vaso che trabocca, il frullatore, la maratonaTra gli uomini, invece, prevale un po’ di più la visione eroica e missionaria del proprio lavoro, tra guerrieri, Don Chiscotte e samaritani. Ci sono però delle figure che sembrano essere trasversali, come quelle che descrivono l’operosità e il ruolo di guida. E in ogni caso, i confini sono sfumati, perché leggiamo anche di curanti uomini molto protettivi, ed eroine pronte a combattere. Sono tante e bellissime queste metafore, non sempre facili da “classificare” per la loro multi sfaccettatura. Operosità, complessità, eroismo e missione, ad esempio, si possono sovrapporre e sintetizzare in un’unica immagine, così come la guida e la protezione. Quello che conta, più che classificare queste immagini, e accoglierle per come ci vengono affidate, recependone i messaggi di forte motivazione, trasporto, passione, ma anche carico, fatica, difficoltà.

Più giardinieri che guerrieri

Il linguaggio della pratica clinica, così come quello delle pubblicazioni scientifiche, è pieno di riferimenti battaglieri che ruotano intorno alla grande “guerra alla malattia”, attraverso l’arruolamento dei pazienti, l’arsenale terapeutico, il combattimento, e numerose altre espressioni ormai comuni sia tra le persone in cura che tra i professionisti. Da questa analisi delle metafore, emerge però che l’utilizzo di un linguaggio diverso, più slegato dal “medichese” e aperto a nuove possibilità di espressione, permette di ridurre “l’esercito di guerrieri”, in favore di figure più rassicuranti come le mamme chiocce, i porti sicuri, i giardinieri, i compagni di viaggio, i maestri saggi, le formiche operose, i sarti. Certo, non mancano i soldati combattenti e gli eroi instancabili, ma sono più legati alla missione di cura che alla guerra alla malattia, differenza che sembra lieve, ma non lo è. Da queste metafore, ricaviamo i valori profondi dei professionisti sanitari, che non ruotano solo attorno alla vittoria sulla malattia del paziente, ma si estendono al concetto della persona da accogliere, sostenere, accompagnare e curare in tutti i suoi aspetti. In sostanza, troviamo più giardinieri che guerrieri, e questa è una scoperta bellissima.

 

Paola Chesi

Laurea in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Torino. Project manager e docente dell’Area Sanità di ISTUD dal 2010. Esperta nella realizzazione di ricerche organizzative in ambito sanitario, in particolare attraverso l’approccio della Medicina Narrativa, applicata a progetti di respiro nazionale e internazionale per l’analisi dell’organizzazione e qualità dei percorsi di cura. Tra i temi di riferimento, l'inclusione delle persone con disabilità, e il benessere organizzativo. Coordina percorsi formativi accreditati ECM sulla Medicina Narrativa rivolti a professionisti sanitari, svolgendo attività di docenza applicata e tutoraggio. Coordina progetti europei finanziati nell’ambito dei Lifelong Learning Programme, con particolare riferimento alle metodologie formative basate sullo storytelling. Collabora con la Società Italiana di Medicina Narrativa e con referenti di università internazionali. Partecipa in qualità di relatrice a convegni promossi da società scientifiche e Aziende Sanitarie.

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