Una parola in quattrocento parole: totem

Il termine totem deriva dalla parola Ojibwa ototeman, che indica un parente di grado fraterno. La radice grammaticale ote indica infatti due individui che condividono la stessa madre e che pertanto non possono sposarsi. Il significato che ha oggi ha la parola nelle lingue europee-occidentali deriva dal malinteso di un mercante e traduttore britannico che credeva indicasse lo spirito guida di una persona, incarnato nella forma di un animale.

I dizionari dell’uso, oggi, definiscono così il significato della parola: “elemento naturale (un animale o, più raramente, un vegetale, un minerale o altro) considerato lo spirito custode del clan o il suo antenato mitico, e grazie al quale i membri del gruppo si riconoscono parenti; è oggetto di tabù e di culto particolare” (GARZANTI).

Il totem è quindi intimamente legato con il tabù. Tabù è una parola di origini polinesiane, introdotta in occidente (in inglese) dal capitano James Cook di ritorno da un viaggio nell’isola si Tonga nel 1771. In massima sintesi, un tabù è “la proibizione di un’azione basata sulla convinzione che tale comportamento sia troppo sacro e consacrato o troppo pericoloso e maledetto per essere intrapreso da individui comuni” (BRITANNICA).

Il binomio totem-tabù ha avuto grandissima fortuna negli studi antropologici, etnologici e sociologici otto-novecenteschi: ne hanno scritto, tra gli altri, Levi-Strauss, Lotman e ovviamente Freud. 

Per i non addetti al lavoro, però, totem indica un simbolo non solo riconosciuto da un gruppo di persone, ma che crea proprio una comunità, è qualcosa che costruisce identità, coerenza e coesione; è qualcosa di esplicito e presente, che svetta, si mostra e guida l’universo simbolico-valoriale di una società. Un tabù invece è sempre qualcosa di condiviso e costitutivo, ma è latente e nascosto.

Tradizionalmente i totem sono oggetti o elementi naturali, mentre i tabù sono azioni, comportamenti o temi da evitare, pena una grave punizione. Ma totem e tabù possono essere anche narrazioni. In senso ovviamente non filologico, quindi, un totem è una narrazione che crea un mito, un modello, uno schema da seguire e in cui riconoscerci; un tabù, al contrario, è ciò di cui non si parla, pena imbarazzo, disagio o difficoltà dell’interlocutore.

In ambito medico-sanitario e a maggior ragione nell’alveo di un più ampio discorso sulla salute, intesa in senso bio-psico-sociale, numerosissime sono i totem e i tabù. L’invecchiamento che diventa addirittura discriminazione (agismo) e la sua compagna morte che tarda sempre più ad arrivare in una popolazione mondiale sempre più anziana. L’efficientismo, ossia la rincorsa della prestazione, del risultato e del prodotto, a discapito del prendersi tempo e del processo. E quindi il tabù della fragilità e del pianto dei sanitari contro il totem dell’eroe sempre salvatore. O ancora il discorso del salutismo e così tanti altri.

Quali sono gli altri totem e tabù narrativi del mondo della salute?

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

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