Tecnologia e umanizzazione: dalla terapia intensiva ai social media

Oggi la tecnologia sta mettendo a disposizione gli strumenti per sanare questa contraddizione del mondo industriale, purché lo si voglia: perché la tecnologia da sola non può né liberare né rendere schiavi; essa deve essere capita, guidata, impiegata verso gli obiettivi che ci interessano – Giorgio Ceragioli

 

A causa dei progressi compiuti con la rivoluzione industriale attraverso le scoperte tecnologiche nei macchinari, la relazione tra paziente e professionista è diventata sempre più automatizzata, lasciando l’umanizzazione in secondo piano.

 

Quest’ultima citazione è presa dall’introduzione al primo dei due studi che abbiamo il piacere di presentarvi questo mese. Tecnologia e umanizzazione appunto, due tematiche, due parallele che a volte viaggiano all’unisono e delle volte in direzione contraria. Il nostro obiettivo è mostrare come con il giusto approccio possa nascere un giusto equilibrio all’interno della sanità e delle cure, che veda lavorare all’unisono nuove tecnologie, umanizzazione e narratività.

Tecnologia e umanizzazione in ambienti intensivi” è il titolo di una ricerca brasiliana. L’obiettivo di questo lavoro era di realizzare una riflessione sul processo di umanizzazione in ambienti intensivi e la sua relazione con l’inserimento della tecnologia. In Brasile, intorno agli anni ’90, la ricerca sistematizzata alla ricerca di un corpo di conoscenze infermieristiche specifiche e la costruzione di modelli concettuali per la sua pratica hanno cominciato a farsi largo sulla scena.  Con l’avvento delle basi scientifiche dell’assistenza infermieristica è stata riconosciuta l’espressione tecnologica dell’assistenza, sia come processo che come prodotto. Comprendiamo quindi quanto nella storia della civiltà la tecnologia e la cura siano fortemente correlate.

Produrre tecnologia significa cercare la produzione di “cose” che possono essere materiali ma anche prodotti simbolici, che soddisfano dei bisogni. La tecnologia, secondo questo studio, può essere classificata in tre tipi:

Tecnologia hard: apparecchiature di tipo meccanico, strumentali, norme della routine e strutture organizzative;

Tecnologia light-hard: sono conoscenze strutturate, come la fisiologia, l’anatomia, la psicologia, la medicina, la chirurgia, ecc.;

Tecnologia light: sono coinvolte con la conoscenza della produzione di relazioni tra soggetti. Presente nello spazio lavoratore-utente, si materializza solo in atti, come la ricezione, la produzione di obbligazioni, incontri di soggettività e autonomia.

Umanizzare è rendere umano, dare condizioni umane, agire con bontà naturale. Rendere benevoli, affabili, fare acquisire lucide abitudini sociali, civilizzare.

Si è concluso che le riflessioni sull’assistenza infermieristica in terapia intensiva dovrebbero passare attraverso una revisione più approfondita sui concetti di cura e l’uso delle tecnologie in questa unità. Vale la pena ricordare che prendersi cura delle macchine non è un discorso teorico e pratico così assurdo, perché se in molti casi mantiene vivo il cliente, ciò è possibile solo perché anche noi, direttamente o indirettamente, ci prendiamo cura di loro. Resta inteso che l’umanizzazione dei servizi sanitari comporta cambiare il modo stesso di concepire l’utente del servizio – col diritto di essere utenti di un servizio che garantisca azioni tecnicamente, politicamente ed eticamente sicure, fornito da lavoratori responsabili. Comunque, questa trasformazione si riferisce a un posizionamento politico che si concentra sulla salute in una dimensione allargata, in relazione alle condizioni di vita inserite in un contesto socio-politico ed economico.

La seconda ricerca che andiamo ad analizzare s’intitola “Cancro e social media: confronto del traffico su cancro al seno, cancro alla prostata e altri cancri della riproduzione su Twitter e Instagram”. Con miliardi di utenti attivi le piattaforme dei social media offrono preziose opportunità per aumentare l’impegno pubblico su una varietà di questioni sanitarie, scientifiche e sociali. In questo articolo, è stato svolto uno studio comparativo sulle differenze in messaggistica per quanto concerne le campagne contro il cancro di donne e uomini sui mezzi di comunicazione. Il presente studio fornisce due contributi importanti alla letteratura del settore. In primo luogo sono confrontate esplicitamente le attività sui social media per i due settori tipo più comunemente studiati di cancro maschile (prostata) e cancro femminile (seno). In secondo luogo, anche se Instagram è la seconda piattaforma di social media più popolare nel Regno Unito e negli Stati dopo Facebook, questo è il primo studio a esaminare le campagne di lotta contro il cancro su questa piattaforma.

Le campagne sui social media offrono due vantaggi rispetto alle campagne tradizionali. In primo luogo, mettono le persone in contatto con persone motivate e comunità oncologiche, che possono anche facilitare il riconoscimento degli effetti del cancro sugli amici e famiglia. In secondo luogo, offrono opportunità di partecipazione a costi inferiori in attività oncologiche più facili da svolgere, in combinazione con inviti espliciti all’azione, importanti per motivare la partecipazione, ridurre gli ostacoli all’impegno e facilitare potenzialmente comportamenti ad alto costo in futuro.

L’analisi ha mostrato che i cancri femminile tendono a essere sovra-rappresentati rispetto ai tumori maschili attraverso campagne specifiche come la #WorldCancerDay, le campagne di sensibilizzazione annuali della NBCAM o Movember, e durante tutto l’anno. I risultati evidenziano anche l’importanza di confrontare le campagne sulla salute tra le varie piattaforme dei social media: è stato dimostrato che sussistono differenze sostanziali nel modo in cui le campagne si sono svolte su Twitter rispetto Instagram. Entrambe le campagne tendono a generare complessivamente un’attività sui social media sostanzialmente maggiore su Twitter rispetto a quella su Instagram, ma all’interno di Instagram Movember tendeva a superare il NBCAM in termini di menzioni sui social media. Questo studio ha avuto importanti implicazioni per la comunicazione della salute.

Matteo Nunner

Laureato in Lettere all'Università del Piemonte Orientale, si sta specializzando in Scienze Antropologiche ed Etnologiche all'Università di Milano-Bicocca. Giornalista e scrittore vercellese, ha collaborato con molte testate locali e nel 2015 ha pubblicato il romanzo d'esordio "Qui non arriva la pioggia". Nel 2017 ha poi pubblicato "Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male".

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