Una parola in quattrocento parole – teatro

La parola teatro viene dal latino theatrum, e questo dal greco ϑέατρον, che indicava l’edificio per le rappresentazioni drammatiche, ma anche quello per le assemblee e la vita politica. Infatti, il sostantivo greco deriva dal tema di ϑεάομαι “guardare, essere spettatore”. Dalla stessa radice deriva anche il verbo θεωρεω, che ha significato di osservare, comprendere, intendere, e da cui si ha anche inaspettatamente la parola teoria.

L’antico teatro greco si componeva di un semicerchio inclinato a gradoni, detto cavea, al cui centro si trovava uno spiazzo, l’orchestra, dove il coro danzava e dialogava con gli attori sul palco (proskenion) attraverso la figura del corifeo (una sorta di portavoce del coro). Tutta la comunità cittadina assisteva agli spettacoli che erano momento di riflessione democratica sui grandi temi politici, filosofici ed esistenziali della vita comunitaria.

Il principale testo che analizza il teatro antico è la Poetica di Aristotele, nella quale il filosofo indaga il rapporto della tragedia e dell’epica (si postula che esistesse un secondo libro tutto dedicato alla commedia, ma oggi perduto – N.d.R. si legga il Nome della Rosa) con il mondo (concetto di mímesi) e con lo spettatore (concetto di catársi). La mimesi consiste nell’imitazione del modo più immediato del mondo, e diventa metafora trasparente dello stesso. La catarsi invece è il coinvolgimento emotivo dello spettatore nella rappresentazione che permette lo sfogo delle passioni. 

Il teatro è il regno del “come se” e così lo è pure il gioco. Il legame tra i due ambiti è evidentissimo nel fatto che il verbo che esprime l’azione del gioco e quella della recitazione è lo stesso in moltissime lingue (to play, jouer, spielen, etc.). Il gioco o la recitazione hanno la possibilità di essere portata avanti solo se tutti i partecipanti si adattano alle regole, appunto “del gioco”. In entrambi gli ambiti, inoltre, il corpo ha una funzione semantica, di significato, anche quando è assente una cornice verbale.

La metafora teatrale permette di vivere il mondo senza viverlo sul serio, di vivere una finzione come se fosse la realtà, con il corpo e con la mente. E qui risiede, da un lato, il potenziale terapeutico e gnoseologico, di conoscenza, del teatro. Questo, infatti, che lo si pratichi o vi si assista, consente di vedere (e vivere) le emozioni e fatti da una prospettiva esterna, di stranare i fenomeni del quotidiano e di giudicarli sotto nuova luce.

Lasciateci per favore una parola per il vostro sentimento del teatro.

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

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