Sensazioni, emozioni nella natura narrativa: gratitudine al pensiero di Antonio Damasio

Sono le sensazioni (in inglese feelings) come provare dolore, fame, sete, caldo, freddo, febbre che ci indicano che qualcosa si è incrinato nel nostro corpo, il quale invoca il ripristino dell’omeostasi, l’equilibrio tra le nostre cellule e l’ambiente esterno. 

Una premessa: la parola “feeling” in inglese è polisemica, e tradotta in Italiano può voler dire sensazioni, sentimenti, fino a essere confusa con emozioni. Il verbo “to feel” – “sentire” vale per tutto quello che abbiamo scritto sopra, ma può avere un significato ancora più ampio orientato al futuro, laddove la mente razionale non può arrivare, un pre-vedere, “sento che potrebbe accadere.” 

Le sensazioni sono regolatorie e curiosamente sono a doppia faccia. Un lato del fenomeno delle sensazioni corrisponde alle operazioni fisiologiche standard e comprende i meccanismi chimici e cellulari che permettono di regolare in modo automatico le variabili interne del corpo, per esempio l’assorbimento dell’eccesso di glucosio circolante da parte delle cellule adipose sotto l’influenza dell’insulina e la contemporanea soppressione del rilascio di glucosio da parte delle cellule in cui è presente l’insulina. L’altro lato del fenomeno della sensazione è quello mentale e fornisce agli organismi qualcosa di evolutivamente nuovo: un’esperienza diretta ed esplicita. Permette al possessore di tale esperienza di percepire lo stato in cui si trova il suo organismo.

Antonio Damasio e Hanna Damasio, Exploring the concept of homeostasis and considering itsimplications for economics, Journal of Economic Behaviour and Organization, 2016.

Fino a pochi anni fa, si riteneva che l’omeostasi fosse caratterizzata solo da riparazioni a seguito di agenti chimici e fisici esterni o interni del nostro patrimonio cellulare: ma le risposte invece sono anche influenzate da una serie di fenomeni associati ai processi di “legame” e alla loro sintonizzazione individuale fino ad essere l’effetto dell’azione di un gruppo culturale. Questi fenomeni giocano un ruolo importante nella costruzione delle possibili risposte legate alle sensazioni. Ciò è particolarmente vero negli esseri umani e il risultato è la formazione di fenomeni legati alle “relazioni con gli altri” (“affect”) così descritti dal neuroscienziato Antonio Damasio:  

la cooperazione sociale; i comportamenti legati allo status di gruppo di appartenenza o di gruppo esterno di ciascun organismo;  l’ identità culturale costruita per ogni individuo e per i gruppi come risultato di fattori quali le esperienze sociali passate e i relativi fattori storici e geografici; e  il dispiegamento di una serie di emozioni sociali, quali la compassione e l’altruismo, la gratitudine e l’indignazione, che vengono spesso messe in atto in diversi contesti sociali.

A volte le scelte operate dall’animale Homo Sapiens – Neanderthal non sono vantaggiose per la sopravvivenza della specie: sarà la natura a tentare di controllare i danni causati da una cattiva scelta consapevole, senza alcun controllo deliberato, ad esempio inviando pandemie nei sistemi animali troppo sovrappopolati rispetto elle risorse esterne. Sapendo che il cibo è risorsa limitata, noi come esseri coscienti possiamo sviluppare un controllo intenzionale dei nostri eccessi, sia a livello individuale sia socioculturale. Nel caso individuale vi è il tentativo personale di frenare il consumo eccessivo; nel caso collettivo è il tipo di direttive sanitarie rivolte a segnalarci come mangiare in maniera corretta a km 0, nutrirci con le risorse di stagione, insomma in un processo biomimetico con la natura che ci insegna l’omeostasi. 

Mi piace riportare una risposta che ci regala Antonio Damasio in una sua intervista sulla possibile consapevolezza delle sensazioni (sempre feelings) dei batteri rispetto a quella umana: “I batteri probabilmente non ne sono consapevoli, ma non sono stupidi, sono molto intelligenti, ma nemmeno consapevoli di essere intelligenti.” E in effetti, in scala filogenetica, abbiamo molto da imparare da loro: il loro sistema di omeostasi è incredibile. 

Le sensazioni umane sono state dunque un progresso evolutivo e vantaggioso, un impulso di creatività per dare risposte ai problemi di regolazione della vita che non avrebbero potuto essere altrimenti risolte dai dispositivi omeostatici di base per mantenere la vita. La gamma di problemi affrontati dall’invenzione umana è molto ampia e le soluzioni che ne derivano sono numerose. Esse comprendono sia l’aspetto pratico come la creazione di utensili, la scoperta del fuoco e lo sviluppo dell’agricoltura.  

Di contro Yuval Harari afferma che è stata proprio la “rivoluzione agricola”, ossia il passaggio da cacciatori/raccoglitori ad agricoltori/pastori, la causa della sovrappopolazione, delle carestie, della fame, e dunque lo storico Harari la ritiene una scelta consapevole ma svantaggiosa per il Sapiens (Harari 2011). 

Ma tra le invenzioni Damasio ci porta l’arte: perchè favoriscono, e qui sono entrambi concordi, sia Damasio che Harari, attraverso il senso di immaginazione un livello straordinario di coesione sociale.

Il neuroscienziato chiama questi progressi un’“omeostasi socioculturale”, legata, diciamo noi, a quel sistema di Cultura definita dall’Unesco come «l’insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali unici nel loro genere che contraddistinguono una società o un gruppo sociale. Essa non comprende solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze.»

È che siamo ancora al principio, ci ricorda Damasio, con questi “tentativi” di omeostasi socioculturale della nostra specie animale, apparsa nel tardo Pleistocene, vale a dire poche centinaia di migliaia di anni rispetto all’insieme delle specie viventi, invece che si sono evolute e hanno perfezionato l’omeostasi di base per almeno 700 milioni di anni.

Nel suo meraviglioso saggio L’errore di Cartesio Antonio Damasio (1995) è stato tra i primi sottolineare l’impossibilità di scindere la ragione dalle emozioni e dalle sensazioni. Quando parliamo di “empatia cognitiva” “simpatia” e “antipatia” è opportuno conoscere che ci sono e saranno per come siamo strutturati biologicamente zone di sovrapposizione, non confini ben segnalati con muretti a vista tra Ragione e Sentimento, ma piuttosto omeostasi (lo scambio continuo e incessante) tra sistemi diversi, quelle parti del cervello che regolano il pensiero logico e quelle più antiche che regolano le sensazioni e le emozioni. Le emozioni sono funzionali anch’esse e vengono prima della ragione, alla sopravvivenza e all’evoluzione della specie: sono sentimenti più amplificati con il linguaggio del corpo, volte a richiamare l’attenzione dell’altro. 

È vero che tutta la nostra consapevolezza e intelligenza rispetto a queste sensazioni/sentimenti/emozioni si annida dentro il nostro cervello e sistema nervoso centrale? Affatto, e qui Damasio diventa veramente controtendenza con il suo ultimo saggio Sentire e conoscere (2022), nel nuovo millennio che alcuni filosofi stanno chiamando il tempo del neuro esistenzialismo, dove ogni singola questione è collegata esclusivamente al funzionamento del cervello.  

Richiamando il filosofo Spinoza, il neuroscienziato mette sullo sfondo il sistema nervoso, il cervello, per dare spazio alle altre cellule del corpo che appartengono alla natura. Per i «traguardi esclusivi» raggiunti dalla nostra specie, i «fondamentali dispositivi» di cui ci siamo serviti sono stati principalmente trasformazioni e aggiornamenti di meccanismi già utilizzati da altre forme di vita, in una lunga storia di successi individuali e sociali, partendo dalla cellula prima.

La narrazione scritta, orale, del corpo altro non è che un inseguire, riformulare quella forma di omeostasi che la specie umana nella sua collettività e individuale desidera ricreare: il corpo malato vuole, sino a quando è possibile ripristinare un’omeostasi originaria, oppure seguire per omeostasi leggi più grandi di natura “il morire”, il grande regolatore. L’io malato narra, parla, si esprime, a volte anche attraverso il paradosso del silenzio per essere accolto e ricreare “quell’omeostasi socio culturale” fatta di legami, e appartenenza: la meraviglia è che alcuni dei “meccanismi” possono essere rigidi e storici, ma altri possono essere continuamente inventati, in un sistema di incessante creazione di bellezza innovativa. Per andare avanti, con noi o senza di noi, a volte Sapiens, molto spesso Insapiens rispetto alla sapienza inconsapevole delle cellule. 

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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