Ritrovare l’equilibrio per i Nativi Americani: le loro considerazioni su salute e malattia

Venerdì 5 ottobre; alla Harvard University, dipartimento di antropologia, ho avuto la grande fortuna di partecipare a un seminario organizzato dal prof. professor Byron Good con il prof. Gone sulle modalità di cura degli attuali Nativi – la parola Nativi sta a indicare i popoli preesistenti all’arrivo dei coloni, sia del nord che del sud America – americani. In particolare, sono i nativi del Nord America che a seguito di abusi infantili sono attualmente dipendenti da alcool. Sono attualmente in centri che si chiamano Healing centers, centri di guarigione. Niente a che vedere con le cure delle malattie mentali e l’utilizzo di farmaci. Sono curati da counselor che sono anch’essi Nativi americani e che oltre all’inglese parlano anche quello che resta della loro lingua.

Il significato del processo di cura è che loro possano trovare nella propria vita trasformazioni esistenziali che colleghino il sé imperfetto a uno scopo più elevato e recuperare la loro identità post-coloniale. Il trauma non è solo vissuto a livello individuale, ma la ferita è storica, e riguarda una popolazione distrutta e annichilita.

Per guarire, oltre alla terapia dell’ascolto di gruppo svolta attraverso i counselor, i metodi adottati si basano su riti che provengono dalle loro origini, ad esempio la cerimonia della pipa, bruciare delle essenze particolari, con cui segnare o meglio per farne un cerchio sul terreno. Perché il cerchio? Perché per i Nativi la salute è un equilibrio della sfera che è la terra con i suoi punti cardinali: l’Ovest dove abbiamo la corporeità, e quindi anche lo stato di salute e malattia dei nostri organi, che spesso abbiamo ereditato dai nostri antenati (quindi implicavano il concetto di genetica senza saperlo), a Est  la spiritualità che significa interconnessione con gli altri, gli animali, le piante, la natura e l’universo, a Nord la mente e la logica per dipanare le questioni che si manifestano nella vita di tutti i giorni e capire anche perché ci si sente felici piuttosto che tristi, e a Sud rimane lo spazio di liberazione delle emozioni, che però devono essere comprese dalla mente razionale. Sfera significa anche vita delle stagioni e tempo della natura, sfera significa anche avere la consapevolezza di capire a quale stagione della vita si appartiene.

Guarire significa trovare l’equilibrio in questa ruota topografica. In questo modello c’è quindi il corpo, la mente lo spirito e la psiche e se ci pensiamo bene siamo analogicamente chiamando in causa il modello bio-psico-sociale e spirituale. Noi sappiamo che tutto è importante: il corpo, la mente logica, anche l’essere nella natura e il saper gestire le emozioni. Quando si parla di queste cose ci si sente accusare di dar credito a cose sparite, bruciate del passato, ciarlatanerie. Eppure non è così: a Harvard, si ascolta con rispetto, e si cerca di imparare anche da mondi altri che non siano quelli della medicina basata sulle evidenze. E infatti in questi Healing centers, grazie al lavoro dei counselor e alla potenza simbolica dei riti, i Nativi americani hanno finalmente verbalizzato i traumi subiti, hanno pianto su quello che era accaduto e hanno riformulato un loro nuovo progetto esistenziale. E i commenti di chi assisteva al seminario, non erano critiche, del tipo “ma come è possibile, senza farmaci”, “ma in che secolo siamo”, “credono ancora nella potenza del Grande Spirito”, no, erano tutte volte a capire come funzionasse il loro sistema di guarigione, tutti affascinati e bisognosi di un respiro più allargato. “Come facevano i counselor a gestire i traumi una volta venuti alla luce”? “Quanti sono rimasti fino alla fine?” “Come è stato finanziato il progetto?”. Il tema cruciale è stata la verbalizzazione del trauma come espressione catartica: “se rivelerai che il tuo dolore, questo sarà l’inizio della tua guarigione, ma se vuoi tenerlo dentro, ne sarai seppellito, fallo uscire” e questo ha davvero aiutato…Questo progetto – così è chiamato, non studio – è un invito all’introspezione del sé, la raccolta di forze per raccontare sé stessi, e per trasformare il non detto in sussurrato, dichiarato urlato e pianto. E dopo la catarsi ecco che arriva la leggerezza. Domande di operatività e di fattibilità.

Tutto questo, ripeto a Harvard, tra le più prestigiose università al mondo, dove dall’altro lato della strada si entra nel regno della medicina basata sulle evidenze. Qui,  se vogliamo riflettere, è come se i nativi americani non avessero mai  perso la guerra contro i coloni: noi, o almeno molti di noi, abbiamo un  istinto e una tensione alla ricerca di un senso, che oggi è ancora più profondo nel nostro mondo iper-tecnologico, iper-tecnocratico e consumistico-occidentale, dove la depressione aumenta perché la medicina e la nostra società post-contemporanea ha frammentato il nostro corpo, il nostro io, i legami con il mondo esterno e la natura: quella ruota per me è stata un dono, la conferma dell’importanza dell’unione del corpo, dei risultati con le parti esistenziali.

A Little Big Horn, il nome è un ossimoro, piccolo grande corno, i nativi d’America hanno vinto un’unica Battaglia e poi dai Coloni sono stati massacrati il nome del commercio e della conquista della terra. Perché Little Big Horn è così importante, anche se per i Nativi materialisticamente ogni cosa è stata rubata loro, terre, figli abusati, e ingannati. Forse perché è l’emblema del fatto che attraverso dei personaggi iconici come Sitting Bull- Toro Seduto, Crazy Horse – cavallo pazzo – era possibile sbaragliare il più forte, il più violento, e il più tecnologicamnte avanzato. Per loro, gli ispiratori erano aquile che rappresentavano il collegamento con il Grande Spirito che dona la vita stessa assieme alla madre terra e alla consapevolezza di far parte dell’universo.

A Harvard una frase mi ha colpito quando sono stati presentati questi centri di cura sulle diapositive: Non si fa medicina basata sulle evidenze. Mi sorge questo pensiero: da Ovest sono arrivati gli studi clinici controllati con i loro protocolli e linee guida, concentrati solo su due punti cardinali, l’ovest corpo, il nord logica e razionale.

Sarà per questo che la medicina basata sulle evidenze non riscuote consenso e sta attraversando una crisi, così come nel 49% delle risposte dei medici inglesi in una survey condotta 2015 dal British Medical Journal? Forse manca la soggettività del paziente, il sud con le sue emozioni, e manca anche il luogo dove si cerca la propria trasformazione esistenziale, o meglio il proprio luogo nel cosmo?

Certo che di divergenze e diversità dalla cultura del centro e dalla cultura di comunità ne hanno anche loro e le cose non filano lisce e tranquille come in una realtà idilliaca: ma il modo di esprimere questo dissidio è lirico, “due stelle che appartengono allo stesso cielo ma non si toccano”.

Friend, where are you?

Friend, the warriors are praying for guidance

They are fighting up north

Friend, where are you?

Friend, the warriors are praying for guidance

Canzone tradizionale dei nativi americani

Un ultimo riconoscimento va al potere buono del counselor, il caregiver: in questi centri non ci sono né psichiatri, né psicologici. I counselor che parlano la stessa lingua, che usano gli stessi strumenti e simboli di cura…come ha detto il prof. Gone, assieme a Byron Good, qui Freud sta fuori dalla porta.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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