RIDARE IL SENSO DELL’ARIA E DELLA VITA – INTERVISTA A DR. PENNISI e PROF. SPINA

Il dr. Alfio Pennisi è pneumologo a Catania. Dal 2000, responsabile dell’Unità funzionale di Malattie dell’Apparato Respiratorio della Casa di Cura Musumeci-Gecas di Catania e dal 2010 ricopre l’incarico di Consulente Pneumologo presso il Centro di Riabilitazione “Mons. Calaciura” di Biancavilla. Inoltre, dal 2012 è Docente di Malattie dell’apparato respiratorio presso AISeRCO (Accademia Italiana per lo Studio e la Ricerca Clinica in Osteopatia).

La professoressa Agata Spina è laureata in Filosofia e insegna Italiano e Storia in un Istituto Statale di Istruzione Superiore. È affetta da una malattia cronica e da anni seguita dal dr. Pennisi.

Di seguito il dottor Pennisi sarà indicato con AP e la professoressa Spina con AS.
MN invece indicherà l’intervistatore.


MN: SECONDO LEI CHE COS’È LA FIDUCIA?
AP: Lo possiamo considerare come forte empatia del paziente verso il medico; la fiducia è il donarsi completamente e appigliarsi a un punto di riferimento: il paziente deve capire che medicine sta presentendo e perché le sta prendendo. La fiducia conta molta per l’aderenza alla terapia. Fiducia significa anche sapere qual è la malattia, se ci sono limiti alla guarigione e affidamento al medico referente che possa massimizzare tutto quello che si può massimizzare se non si può guarire.

MN: ANCHE IL MEDICO DEVE AVERE FIDUCIA NEL PAZIENTE?
AP: Il medico deve mettersi nelle condizioni di ottenere la fiducia del paziente. Il paziente deve capire qual è la sua malattia quando esce dallo studio medico. Io faccio vedere la TAC e traduco in parole comprensibili i danni che hanno a livello del polmone. Questo porta fiducia. Il paziente deve comprendere la malattia, la cura, l’obiettivo che si vuole raggiungere. Il paziente che non può guarire si deve aggrappare al sanitario per migliore la propria qualità di vita nel miglior modo possibile. La gente deve sapere nella maniera più benevola e oggettiva possibile.

MN: LA FIDUCIA È UN FARMACO?
AP:
È uno dei migliori farmaci. È il motivo per cui i pazienti prendono i farmaci. Se si ha fiducia nel sanitario, si ha fiducia nella terapia proposta. Se invece l’impatto non è stato empatico e il medico, se si trova un sanitario arrogante e incomprensibile, se una terapia articolata non viene spiegata, se non viene detto a cosa verte la terapia, io sfido chiunque a seguire una terapia: potrà prenderla il primo o il secondo giorno, ma l’aderenza è tutta un’altra cosa, soprattutto nel mio ambito, quello respiratorio, dove i pazienti hanno terapia cronica.

MN: IL MEDICO DEVE AVERE FIDUCIA NELLE PROPRIE RISORSE, NEI PROPRI MEZZI. CI SONO CASI IN CUI QUESTA FIDUCIA VACILLA E COME INVECE SI RESTAURA E CONFERMA?
AP: Ci sono situazioni per cui oltre un certo tipo di esame non si può arrivare, ma nel mio ambito interviene anche la componente chirurgica e così in un modo o in un altro alla diagnosi si arriva sempre, è soltanto questione di tempo. È bene dire che bisogna seguire dei protocolli: non possono esistere terapie inventate dal medico, ma esiste la migliore terapia per il paziente. Il medico deve creare una terapia sartoriale partendo da protocolli. Esiste la malattia ma esiste anche il malato. Il medico deve allinearsi al paziente, con il linguaggio e il comportamento più consono al singolo paziente. Così quando il paziente esce dallo studio del medico è sicuro di aver fatto una visita completa.

AP: La signora Spina ha una malattia polmonare cronica. Io metto a sua disposizione tutto quello che la medicina può fare, però non esiste una cura, solo terapie che evitino le complicazioni. Abbia quindi stipulato una forma di contratto: dove lei ha una sua autonomia e qualità di vita e io mi impegno a farla stare meglio con il minor numero di farmaci possibili e mettendo a sua completa disposizione il mio tempo e le mie risorse di medico. Per noi medici l’importanza è esserci in qualunque modo e in qualunque momento.

AS: Quello che posso esprimere è il senso di gratitudine. Nella mia storia ho girato medici in tutta Italia, ma nessuno sapeva darmi una risposta. Per cui incontrare il medico che comprende, conosce, dà un senso di grande sollievo. Mi sono sentita salvata. Abbiamo fatto un patto: io so che non posso uscire da questa situazione, ma posso viverla nel miglior modo possibile. E sapere di poter bussare a una porta e avere una risposta adeguata, con i farmaci ma anche con il solo consiglio e attenzione, è ridarmi il senso dell’aria e della vita. Io mi sento rassicurata perché so di poter essere compresa.

MN: CHE COS’E PER LEI LA FIDUCIA?
AS: Per me è una delle qualità più importanti il fondamento delle relazioni umane. Richiede però molta cura e costanza,è una qualità che va coltivata, non nasce e perdura senza attenzione. Inoltre, permette di uscire fuori dall’isolamento, dal senso di solitudine che nell’ambito medico attanaglia il malato. Per esperienza personale, dico che la fiducia è terapeutica: si acquisisce da un contatto empatico e avvia un percorso di autoguarigione, oltre che di guarigione. Un polo è il medico ma l’altro è anche il paziente, che deve sentirsi attivo: la relazione non può poggiarsi su un atteggiamento passivo o dipendente da parte del paziente. La fiducia ha poi qualità sorelle come l’accoglienza, l’affidabilità, l’onestà, la gratitudine e il rispetto. 

MN: CHE COSA CI SI ASPETTA QUINDI UN PAZIENTE DAL PROPRIO MEDICO?
AS: Io mi aspetto prima di tutto capacità di ascolto, non solo diretta alla sintomatologia ma anche alla mia storia. Un medico non deve essere solo capace di curare l’organo, ma anche di prestare attenzione alla persona. Ci aspetta poi ovviamente che il medico abbia delle competenze medico-scientifiche, che abbia un’apertura alla ricerca di nuove terapie, ma soprattutto, come diceva il dottore, alla terapia personalizzata, su misura, sartoriale. E poi mi aspetto sensibilità e buone capacità comunicative perché spesso il linguaggio scientifico allontana il paziente dal medico. E mi riferisco a capacità comunicative che vadano anche oltre a quelle verbali: il primo contatto con il dottor Pennisi è stato in un momento di grande difficoltà e di cui mi ricordo poco, ma ricordo distintamente lo sguardo del dottore e non lo potrò mai dimenticare.

MN: LEI È SEGUITA DAL DR. PENNISI DA DIVERSI ANNI ORMAI. COME MATURA E SI MANTIENE IL RAPPORTO DI FIDUCIA TRA MEDICO E PAZIENTE NEGLI ANNI?
AS: il rapporto è maturato nel tempo, un tempo misurabile in anni ma soprattutto un tempo interiore e interno durante il quale abbiamo elaborato questo patto. Questo rapporto empatico si è rafforzato. È come trovare un senso ancora più ampio rispetto al senso stretto di rapporto paziente-medico: io mi sento accompagnata da lui, anche nella scelta terapeutica. È un’attenzione di chiedere come evolve la malattia, come si sente. Io vado per parlare con lui e il tempo si amplia rispetto alla visita in senso stretto. Si condivide uno spazio che per me è un luogo di sicurezza.

MN: QUINDI SECONDO LEI LA FIDUCIA È UN FARMACO?
AS: È il farmaco base, fondamentale, su questo si costruisce tutto il resto. Si costruisce quando il medico è chiaro e sa dire anche la verità. La chiarezza nel rapporto permette anche al paziente di sapere quello che può chiedere al medico, cosa posso aspettarsi e come collaborare. La fiducia va costruita volta per volta, momento per momento. C’è una parte che tocca a me. Non è un ascolto passivo, ma mi viene chiesto di rispettare il mio patto, di seguire la mia terapia. E questo motiva anche a rispettare le istruzioni del medico perché la fiducia ha anche a che fare con la fedeltà. Quando non c’è fiducia si va di qua e di là cercando una risposta.

MN: DA QUELLO CHE CI HA RACCONTATO C’È STATO PER LEI UN PERIODO DI INSODDISFATTA RICERCA DI UNA RISPOSTA E A TAL PROPOSITO LA MIA DOMANDA È COME SI PERDA LA FIDUCIA NEL MEDICO?
AS: Quando si avverte un certo disinteresse. Oppure il paziente vuole arrivare subito un obiettivo e quindi si mostra poco collaborativo. A volte è proprio come se si rompesse un filo che unisce. In altre situazioni mi è capitato che il medico perda cortesia e gentilezza o la prontezza nel dare soccorso. Quando il medico non ha la competenza pragmatica di intervenire, questo può sfilacciare il rapporto. 

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