RICERCA QUANTITATIVA E QUALITATIVA – INTERVISTA A VENUSIA COVELLI

Venusia Covelli è professore associato di psicologica sociale presso l’Università eCampus. 

L’evidence based medicine predilige la ricerca quantitativa rispetto a quella qualitativa. Lei invece cosa ne pensa di quest’ultima? 

La mia risposta sarà di parte. Già dai tempi della tesi di laurea è nata questa mia predilezione per la ricerca qualitativa.

Ricordo che rimasi affascinata dalla ricchezza delle narrazioni, dall’unicità e varietà dei significati forniti dalle persone intervistate e dalla sfida lanciata dall’approccio botton-up, tipico della ricerca qualitativa, arrivando a formulare una interpretazione del fenomeno osservato a partire dalle parole stesse dei partecipanti alla ricerca.

Il processo è simile a una analisi quantitativa dei dati attraverso statistiche inferenziali: condivido lo stesso fascino di colleghi capaci di far “parlare i numeri”, solamente che con la ricerca qualitativa sono le parole stesse pronunciate dalle persone a comunicarci e a guidarci verso una particolare direzione o interpretazione del fenomeno. Ecco, in questi ultimi anni ho assistito a uno sforzo, in termini di apertura e di accoglienza, da parte dell’evidence based medicine, nel tenere conto dei risultati ottenuti dalle ricerche qualitative, anche se permane sempre il pregiudizio di una ricerca debole o poco utile per il fatto di non poterne generalizzare i risultati, e questo ha sempre ostacolato la sua diffusione in ambito evidence based. Un pregiudizio che, il più delle volte, deriva da una non conoscenza dei metodi e strumenti della ricerca qualitativa, delle sue finalità e di quello che consente di apportare alla ricerca in generale. 

Cosa ne pensa della Medicina Narrativa come ricerca qualitativa? 

La Medicina Narrativa in sé non è ricerca qualitativa ma, come sappiamo, una metodologia di intervento clinico-assistenziale che attinge metodi e strumenti dalla ricerca qualitativa, oltre che dalla quantitativa ovviamente. Si avvicina maggiormente ai metodi e agli strumenti messi a disposizione dalla ricerca qualitativa perché ha in comune, con la medicina narrativa, l’intento descrittivo ed esplorativo di un fenomeno, che nel caso della medicina narrativa riguarda la storia di malattia del paziente e la sua narrazione.

A questo proposito, come ci ricorda il documento di sintesi della Conferenza di Consenso “La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura)”. Per l’acquisizione e la comprensione di questi diversi punti di vista può sicuramente intervenire la ricerca qualitativa con i suoi strumenti e metodi, dialogando, se il ricercatore lo ritiene necessario, anche con gli strumenti messi a disposizione dalla ricerca quantitativa.

Cosa ne pensa dei mixed methods che usano ricerca quantitativa e qualitativa? 

Sono una forte sostenitrice dei mixed methods. Laddove sia possibile – la ricerca qualitativa può richiedere un maggiore impegno in termini di costi e tempi di realizzazione – uno studio che nasce integrando i due metodi sarà in grado di comunicare risultati più completi del fenomeno indagato e di restituire una fotografia del fenomeno stesso più ricca di dettagli e sfaccettature.

Questo perché la ricerca che adotta un approccio misto si interfaccia al processo di ricerca in termini circolari. La cosa interessante, infatti, è che nei mixed methods è prevista una riflessione continua sul processo stesso di ricerca, con la possibilità di ripensare alle scelte metodologiche effettuate e di adattarle in base ai risultati ottenuti in itinere.

Vi è meno linearità e rigidità. In letteratura possiamo trovare numerosi contributi di ricerca che adottano l’approccio misto, se il fenomeno indagato è poco conosciuto si tende a prediligere nella fase iniziale la realizzazione di uno studio qualitativo, a cui poi far seguire uno studio quantitativo. Non mancano, tuttavia, i contributi di ricerca partiti da una indagine quantitativa che, sulla base dei risultati ottenuti, ha poi virato nell’approfondimento di alcuni elementi significativi con uno studio qualitativo. Ne consiglio la lettura. Quindi in linea generale, quando possibile, ritengo sia la forma più completa di condurre una ricerca.  

Come abolire i pregiudizi sulla ricerca qualitativa e la Medicina Narrativa in una società così quantitativa? 

Per abolire questi pregiudizi ritengo si possa agire su due fronti. Il primo luogo, non rinunciando alla realizzazione di ricerche qualitative nonostante le evidenti difficoltà nel pubblicare studi di ricerca qualitativa su alcune riviste chiaramente “quantitative”. In secondo luogo, stimolando la formazione degli operatori sanitari non solo riguardo agli atti tipici della medicina narrativa, ma anche relativamente all’attività di ricerca che dovrebbe ruotare attorno ad essa. Quest’ultima incentiva la partecipazione a momenti di comunicazione, attraverso seminari o convegni, rispetto alle proprie attività di formazione e di ricerca, con il risultato di avvicinarsi e avvicinare sempre più i componenti della comunità scientifica alla medicina narrativa. Quindi il mio suggerimento è di favorire la condivisione e la conoscenza, anche attraverso l’organizzazione di eventi formativi, della ricerca qualitativa applicata alla medicina narrativa. Senza questa condivisione, non è possibile lo studio di prassi comuni o la verifica di interventi narrative based.

La Prof. ssa Covelli è esperta di Medicina Narrativa e ricerca e nel 2017 ha pubblicato il libro «Medicina Narrativa e Ricerca. Prospettive teorico-metodologiche multidisciplinari per la raccolta e l’analisi delle narrazioni dei pazienti» Lybellula University Press.

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