ALCUNE RIFLESSIONI SU “HEALTH HUMANITIES FOR QUALITY OF CARE IN TIMES OF COVID-19” – recensione di Anna Wierzbicka

La professoressa Anna Wierzbicka è docente del Programma di Linguistica, Scuola di Studi Linguistici, Arti. Nel suo libro del 1972 “Semantic Primitives” ha lanciato una teoria oggi nota con l’acronimo “NSM” (Natural Semantic Metalanguage), oggi riconosciuta a livello internazionale come una delle principali teorie del linguaggio e del significato. Questo approccio è stato utilizzato in centinaia di studi semantici in molte lingue e culture. Ha pubblicato oltre venti libri e ne ha curati o coeditati molti altri. Il suo lavoro abbraccia diverse discipline, tra cui l’antropologia, la psicologia, le scienze cognitive, la filosofia e gli studi religiosi, oltre alla linguistica, ed è stato pubblicato in molte riviste di tutte queste discipline (ad esempio, Language, American Anthropologist, Man, Anthropological Linguistics, Cognition and Emotion, Culture and Psychology, Ethos, Philosophica, Brain and Behaviourial Sciences, The Journal of Cognition and Culture, ecc). La professoressa Wierzbicka è membro dell’Accademia australiana delle scienze umane, dell’Accademia australiana delle scienze sociali, dell’Accademia russa delle scienze e dell’Accademia polacca delle arti e delle scienze. Ha ricevuto due dottorati honoris causa, uno dall’Università Marie Curie-Sklodowska, Polonia (2004) e uno dall’Università di Varsavia, Polonia (2006). È vincitrice del Premio Dobrushin 2010 (istituito in Russia in onore del matematico russo Roland Lvovich Dobrushin) e del premio 2010 della Fondazione polacca per le scienze umane e sociali.


Vorrei fare un plauso ai redattori di Health Humanities per aver concepito e prodotto un libro estremamente fantasioso e necessario per i nostri tempi, i tempi della COVID-19. Mentre scrivo queste righe nel luglio 2022, mi trovo in isolamento, essendo io stessa risultata positiva alla COVID, insieme a mio marito. La COVID ha indubbiamente cambiato la nostra vita e il nostro modo di pensare.

Tuttavia, la mia impressione prevalente è che finora abbia cambiato le nostre vite più di quanto abbia cambiato il nostro modo di pensare, e che ci sia ancora molto da pensare, in risposta alla COVID-19. Il libro curato da Maria Giulia Marini e Jonathan McFarland è un contributo molto gradito e importante a questa riflessione in corso in cui tutti noi, come individui e come comunità, dobbiamo impegnarci, quest’anno e negli anni a venire.

Nel capitolo conclusivo del libro i curatori parlano delle parole “come delle nostre zattere per attraversare questa Odissea in mare aperto”. Le parole come zattere? Beh, è quello che ho sempre pensato, e in questo momento di pandemia più che mai.

Mi sento onorata e commossa nel vedere che in questo contesto Maria Giulia Marini e Jonathan McFarland fanno riferimento al Metalinguaggio Semantico Naturale (NSM) e alle 65 parole che io e i miei colleghi abbiamo identificato come “zattere” universali che possono aiutare gli esseri umani di tutto il mondo a percorrere i mari del pensiero. A mio avviso, il pensiero – sia all’interno della nostra testa sia negli spazi che ci collegano alle altre persone – è davvero come un’Odissea.

Mi congratulo con Maria Giulia Marini e Jonathan McFarland per aver individuato tre concetti umani universali (su 65) che, a loro avviso, svolgono un ruolo particolarmente importante in questa Odissea: MAYBE, IF e BECAUSE. Non potrei essere più d’accordo: “e” e “o”, che i logici hanno tradizionalmente dato per scontati, non sono universali nel pensiero umano (molte lingue non hanno queste parole), ma POSSIBILE, SE e PERCHE’ sono indispensabili per pensare e si trovano in tutte le lingue del mondo.

Ed ecco un’altra decina di zattere di questo tipo di cui non possiamo fare a meno: POSSIBILE e NON POSSIBILE, FARE, ACCADERE e DIRE; SAPERE e NON SAPERE, BENE e MALE, VOLERE e NON VOLERE, PENSARE e SENTIRE; CORPO; VIVERE e MORIRE; PERSONE; e le ultime due che, come è stato dimostrato, sono emerse nel corso dell’evoluzione cognitiva umana: VERO e PAROLE.

Va da sé che tutti i sessantacinque concetti che ampie indagini linguistiche hanno identificato come un tesoro umano condiviso, sono importanti per viaggiare nei mondi dentro di noi e intorno a noi, dietro di noi e davanti a noi; ma quelli sopra elencati mi sembrano particolarmente pertinenti e cruciali per il pensiero che dobbiamo fare ora, nel tempo del COVID.

Naturalmente, non abbiamo bisogno solo di strumenti per pensare, ma anche di fonti di ispirazione e saggezza. Maria Giulia Marini e Jonathan McFarland trovano una di queste fonti nel filosofo stoico romano Seneca (“De Tranquilitate Animi”). Per me, e per la nostra famiglia, un autore che si è rivelato particolarmente utile come “lampada per i nostri piedi” (per usare il linguaggio dei Salmi) è il papa italiano della prima metà (e della metà) del XX secolo Giovanni XXIII, e i suoi libri Il Giornale del’Anima e Lettere alla Famiglia.

Ecco alcune delle frasi che ho copiato e incollato in vari punti della casa (non credo abbiano bisogno di traduzioni in inglese): “nel cuore, serenità, calma, letizia, e pazienza, e pazienza….”; “la tranquillità perenne dello spirito”. Una frase, tratta da una lettera al fratello, mi ha spiazzato e, inaspettatamente, mi ha aiutato in varie occasioni: “del resto, una croce ci vuole”.
Come semantico, mi sfido a capire cosa significhi in termini di concetti umani più semplici e chiari, come “volere” e “non volere”, “bene” e “male”, “pensare” e “sentire”.
Riporto anche alcune frasi che ho trovato utili:

  1. “Debbo, voglio, essere, sempre più, uomo de intensa preghiera” (1927)
  2. “Da segni avuti quest’anno, mi devo persuadere che invecchio e che il corpo da talora i sintomi della sua fragilità. Cio deve tenermi familiare il pensiero della morte, cosi che questo renda più lieta, più agile e insieme più laboriosa, la vita” (1927).
  3. “Anima mia, avanti con coraggio” (1955).
  4. “Tutto il mondo e la mia famiglia” (1959).
  5. “…resistere all’avvilimento, alla desolazione, alla tristezza” (1961).

Senza dubbio, persone diverse troveranno le loro fonti di saggezza terapeutica in luoghi diversi. Ma credo che Maria Giulia Marini e Jonathan McFarland ci abbiano reso un grande servizio invitando tutti noi, e forse i professionisti della salute in particolare, a esplorare nuovi modi di pensare, cercando di costruire questi nuovi modi di pensare con materiali linguistici a grana fine come “altre persone”, “non posso non farlo”, “non voglio pensare così:…”, “forse posso fare qualcosa di buono ora”, “forse posso dire qualcosa di buono a qualcuno ora”, “se faccio questo, può accadere qualcosa di brutto a causa di questo a qualche altra persona? ” e “se so che potrei morire presto, cosa voglio fare prima? Come voglio pensarci? Cosa voglio dire alle altre persone?”.

Per quanto riguarda la qualità dell’assistenza, mi chiedo se i seguenti modi di formulare i propri pensieri possano essere utili in alcuni contesti: “Voglio sapere cosa prova questa persona; voglio sapere come pensa questa persona; so che ora posso fare alcune cose buone per questa persona; se ci penso ora, forse posso fare di più”. Senza dubbio la medicina narrativa può fornire maggiori spunti su modi particolarmente utili di pensare all’esperienza della pandemia rispetto alla pratica medica basata sull’evidenza. Ma anche la consapevolezza di quali concetti siano condivisi può essere utile, soprattutto in contesti multietnici e multiculturali. Come linguisti, i colleghi e io dobbiamo essere grati a Maria Giulia e Jonathan per aver portato anche questo aspetto all’attenzione degli operatori sanitari.

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