L’Importanza della Consapevolezza Emotiva: le Esperienze degli Operatori Degli Hospice – di Patrizia Tortora Fiero e Silvio Giono-Calvetto

PROJECT WORK DEL MASTER IN MEDICINA NARRATIVA APPLICATA DI ISTUD, XI EDIZIONE

Andrea Agostini, E riscopro la quiete in me

Tra i mesi di novembre e dicembre 2021, negli Hospice di Abbiategrasso e Siracusa, è stato svolto un lavoro di medicina narrativa che ha coinvolto 34 operatori (24 di Abbiategrasso e 10 di Siracusa). L’obiettivo principale era di analizzare le risorse comunicative degli operatori nelle relazioni difficili partendo dall’analisi delle emozioni che ognuno di essi sperimenta.

Ciascun operatore ha ricevuto una traccia narrativa semi-strutturata nella quale erano riportati una serie di spunti per l’analisi di un’esperienza difficile vissuta nel percorso di cura; a ognuno è stato consegnato anche il Fiore di Plutchick per aiutarlo a identificare le emozioni provate. 

Fiore di Plutchick

«Mi ricordo quella volta quando…»

«Mi sono sentita/o…»

«Le parole che non direi più e quelle che vorrei ricordare…»

Dalle narrazioni sono emerse, tra le tematiche maggiormente trattate, quella dell’importanza della comunicazione – per lo più con la persona in cura – del ruolo dell’empatia, che porta anche all’individuazione di soluzioni “creative” e ad hoc, e delle difficoltà riscontrate nelle esperienze di cura di pazienti giovani. Con minor frequenza, gli operatori hanno raccontato anche di situazioni conflittuali all’interno dell’équipe, oltre che ricordato i primi casi di cura.

Da queste narrazioni, quindi, si legge come riuscire a entrare in comunicazione con il paziente sia sentito dagli operatori dell’hospice come prioritario del loro “prendersi cura”. Quando si comunica, scatta l’empatia tra curante e curato:

 “Mi sono seduta accanto a lei e appena abbiamo iniziato a parlare ho sentito che ci stavamo capendo e soprattutto, oltre al racconto dei sintomi, mi arrivava tutta la sua paura, così profonda e così giusta, da non rendere più lecita la mia…”

Ed è una comunicazione che non ha bisogno di parole per realizzarsi:

“Prima di indurre la sedazione, le tengo la mano e metto su la sua musica preferita. Mi siedo accanto a lei e le tengo la mano. Ricordo le lacrime scorrere sul suo viso ed anche sul mio.”

Altre volte invece la comunicazione è più difficile ed è lo stesso operatore a rendersi conto delle proprie difficoltà nel comunicare:

“Mi sentivo in imbarazzo, mi sentivo inutile, non sapevo cosa dire, non sapevo se dovevo dire qualcosa alle piccole.”

“…le parole che vorrei ricordare sono quelle della paziente, che però non ho avuto la forza di scambiare in quei pochi giorni ricoverata in reparto.”

Le difficoltà possono essere provocate dal paziente stesso per una malattia invalidante:

“Mi ricordo quella volta che la sig. R. non poteva comunicare se non con gli occhi.”

per aspetti culturali 

“Accanto a lei solo la madre, giunta in Italia all’aggravarsi della malattia di D. – impossibile comunicare con lei a causa della lingua.”

o caratteriali

“…un paziente dal carattere difficile, irritabile, facilmente scontroso non riusciva a legare con noi operatori per via del suo passato…”

Sempre particolarmente coinvolgenti sono i pazienti giovani o con figli piccoli, che ricorrono spesso nelle narrazioni:

“Appena sono entrata e ho visto la paziente…la paura è aumentata: aveva la mia età e io avevo la responsabilità di essere il suo medico”

 “…mi disse: so che morirò, ma voglio lottare. Ho un figlio piccolo da crescere. Mio marito non è pronto. La mia famiglia non è pronta. Io non sono pronta…”

Casi particolari, ma non rari, almeno a giudicare dalle narrazioni che li riportano, sono le difficili comunicazioni all’interno dell’équipe curante:

“Ci sono stati una serie di problemi legati soprattutto ad errate/imprecise comunicazioni tra di noi che hanno portato ognuno a commettere una serie di “errori” che hanno complicato la gestione della situazione.”

Utilizzando le chiavi di lettura proprie della medicina narrativa, si può dire che per quanto riguarda gli stili narrativi, gli operatori hanno utilizzato soprattutto uno stile in parte fattuale, perché sempre legati al racconto di episodi specifici, e in parte drammatico. Solo alcuni hanno fatto ricorso all’utilizzo di metafore nel racconto delle loro esperienze:

“Mi sono sentita di invadere uno spazio come il famoso elefante in una cristalleria”.

Nella maggior parte delle narrazioni il racconto è quello di un vissuto emotivo importante (illness), sia dell’operatore che del paziente. Solo poche narrazioni presentano elementi che richiamano ad aspetti più legati ai ruoli e aspetti sociali, e che rientrano nella categoria ‘sickness’: ad esempio, nel caso di un operatore che si sente in difetto a causa della sua giovane età, oppure nel caso di un’operatrice che teme che il suo essere incinta possa mettere in difficoltà la paziente. 

La maggior parte delle narrazioni sono in progressione, o comunque presentano una proiezione verso il futuro da parte dell’operatore. Tutti si pongono delle domande e fanno delle riflessioni sul loro agire. Solo due narrazioni sono classificabili come più ferme: in una di queste, l’operatrice racconta il rammarico di non essere riuscita a concludere l’assistenza perché non ha fatto in tempo a consegnarle un disegno.

Da queste storie degli operatori emergono le loro emozioni vissute e gli elementi di coping messi in atto, magari inconsciamente, per fronteggiare le situazioni di cura particolari. 
In tutte le narrazioni, si riscontra come ogni operatore tenti di dare un senso al proprio lavoro e alle esperienze vissute, anche nelle situazioni più difficili.
In alcuni casi l’operatore individua delle soluzioni pratiche e creative, come l’utilizzo di una lavagna come strumento di comunicazione, o della musica per costruire un ricordo da lasciare attraverso la composizione di un brano, o altre forme di arte per entrare in relazione con la paziente e ricordarla.
Infine, riflettendo sull’esperienza, alcuni individuano atteggiamenti e strategie da utilizzare in futuro per migliorare il proprio operato:

“Non mi arrabbierei più in quel modo e cercherei di aiutare la paziente con l’ascolto attivo.”

“Dagli errori si impara sempre qualcosa per affrontare il futuro.”

Altre volte, gli operatori riescono a trattenere, da un’assistenza difficile e complicata, un ricordo e a elaborarlo in maniera positiva:

“Sono profondamente grata perché è riuscita a farmi capire una cosa banale e potentissima: per aiutare lei ad avere meno paura, dovevo superare la mia”

“Mi rimarrà sicuramente impressa la tenacia e la fede che non ha mai perso.”

Questo lavoro ci ha permesso di crescere personalmente, acquisendo la consapevolezza che a volte bisogna osare e provare ad apportare cambiamenti alle proprie consuetudini, come utilizzare la narrazione per aiutare gli operatori e i pazienti con l’obiettivo di garantire loro il miglior percorso di cura possibile.
Già sapevamo che chi opera nelle Cure Palliative vive esperienze ad alto impatto emotivo che lasciano ombre più o meno evidenti, che possono manifestarsi durante l’incontro con altri pazienti: grazie a questo progetto, ogni operatore ha potuto avere un momento di riflessione importante, ripensando a un episodio rimasto ‘sospeso’ nel proprio vissuto, dandogli voce, elaborandolo e condividendolo, fino a dare un senso al proprio lavoro. 
Abbiamo provato quindi molta gratitudine per aver avuto l’opportunità di leggere e condividere emozioni così forti da parte dei nostri colleghi. Abbiamo analizzato le narrazioni con molto rispetto perché avevamo nelle mani qualcosa di molto prezioso da custodire.

Paul Klee, Wall Painting from the Temple of Longing

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