Una parola in quattrocento parole – Percorso

Klimt, Viottolo con galline

La parola percorso è il participio passato del verbo percorrere usato come sostantivo. Il verbo percorrere deriva dal latino percurrere che aveva i significati di “attraversare”, ma anche di “scorrere” col pensiero o con lo sguardo, “enumerare” o “menzionare” di sfuggita. Percurro è infatti un composto del verbo currere (correre, scorrere, trascorrere) e di per, preposizione utilizzata per il complemento di moto per luogo, di tempo continuato, ma anche di mezzo e di causa e di distribuzione.

Insomma, se il verbo corro fornisce un’idea di movimento al composto percurro, la preposizione per indica in quale modo questo movimento viene compiuto.

Percorsum ha valore di anteriorità rispetto al verbo principale della frase ed esprime un’azione compiuta. Queste sfumature sono conservate anche nell’italiano percorso.

È interessante poi notare come percorso indichi, nel linguaggio comune, sia il fatto di percorrere, di compiere cioè uno spostamento da luogo a luogo, sia il tratto che viene attraversato. Con una certa approssimazione si potrebbe quindi dire che il percorso è legato al presente in quando indica il “fatto di percorrere” e al passato in quando indica il “tratto attraversato”. Ma un percorso è anche qualcosa che ci orienta verso il futuro, è una indicazione di rotta, una traiettoria verso il poi.

Diventa pertanto fondamentale capire che, come già nell’etimologia ci suggeriva la presenza della preposizione per, un percorso è fatto prima di tutto di momenti successivi, è una sequenza che va attraversata per potersi voltare indietro e misurare la distanza, appunto, percorsa.

In medicina ci sono percorsi brevi e percorsi lunghi, accidentati e agili, individuali o collettivi. Tutti sono accumunati dalla presenza di un soggetto che li intraprende. Se si considera il percorso di cura solo da un punto di vista “metrico-decimale”, ossia esclusivamente in termini di numeri e valori, senza cioè considerare la persona che intraprende quella strada, si trascura proprio ciò che è l’unità di misura del percorso stesso, ossia la persona. Infatti, è solo rispetto al punto di vista dell’osservatore e dell’esperienza del soggetto che è possibile misurare il tratto attraversato e considerarlo veramente percorso. Si parla di patient journey quando al protocollo clinico, oggettivo e impersonale, è integrata la considerazione della soggettiva del paziente

La storia di ogni persona che si imbarca in un viaggio di questo genere è possibile raccoglierla attraverso gli strumenti della medicina narrativa e così considerarla e integrarla alla cura stessa. La sensibilità e gli strumenti per pianificare, raccogliere e interpretare le narrazioni non sono innate, ma richiedono formazione e studio. Ma i frutti sono evidenti: il progetto SPARE e l’indagine su Epilessia e Lavoro condotti da ISTUD Sanità e Salute, per esempio, hanno permesso di mettere in luce questioni ed esperienze di vita che vanno oltre le cure farmacologiche.

Lasciateci per favore una parola per il vostro sentimento di ‘percorso’.

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. MARIA CLARA TONINI

    la mia parola è CURIOSITA’

  2. Monica Cornali

    La mia parola è speranza

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