Perché le metafore nella comunicazione in campo medico e scientifico

La mia passione per le metafore in campo medico risale al 2006, anno nel quale a giugno siamo stati chiamati in Giappone a tenere un corso di comunicazione per cardiochirurghi che dovevano parlare ai congressi. Eravamo in gara con altri due istituti per vincere l’occasione per me straordinaria di lavorare in “Giappone”: una società di comunicazione Giapponese e un’azienda statunitense. La società giapponese di cardiochirurgia si è affidata dopo lunghe ricognizioni telefoniche (allora Skype era ai primordi) a noi di Fondazione ISTUD come gruppo Italiano, in quanto più “simbolici, metaforici, creativi”, almeno nel loro percepito. Al primo collegamento telefonico, a febbraio 2006 abbiamo chiesto loro il perché voler effettuare un  corso di comunicazione  per cardiochirurghi e questa è stata la loro risposta “quando i nostri bravissimi medici calcano le scene dei congressi internazionali accadono troppo spesso due cose: o i medici occidentali si annoiano e restano educatamente seduti comunque ad ascoltare  oppure si irritano dalla presenza invasiva di tabelle piene di dati illeggibili –comunque di grande importanza clinica- al punto dal lasciare la sala dei congressi”.

Avevamo quattro mesi per progettare il percorso e conoscere da lontano quello che era il codice di comportamento della comunità scientifica giapponese, una lieve infarinatura di regole di base della loro comunicazione. Arrivavamo con il nostro pensiero e metodo sul creare diapositive semplici, dare molta autostima e senso di proprietà ai diversi cardiochirurghi rispetto alle loro presentazioni, cosa che per la cultura giapponese è quasi un atto di violenza perché l’Io individuale deve essere al Servizio della Collettività, e insegnandogli a scrivere titoli chiari e esaustivi.  Mentre preparavo le lezioni mi sono imbattuta nel saggio di George Lakoff sulle metafore[1], amore come viaggio, vita come viaggio, diversità tra metafore locali e metafore universali. E mi si è aperto un mondo affascinante nelle possibilità di comunicazione al pubblico, o meglio ho dato consapevolezza all’altro modo di parlare che utilizziamo abitualmente nella vita quotidiana, quello che ci serve per far capire come stiamo, cosa vogliamo dire quando non troviamo le parole, e a entrare di più nella mente dell’Altro, l’ascoltatore o il lettore, e ad affascinare il pubblico. Altro che la manualistica passo dopo passo, “Costruisci anche tu la tua presentazione” con le 25 parole da scrivere come da manuale in power point su ogni slide o15 o 30, spesso  ho avuto allergia al Power Point perché penso che a furia di ragionare per “punti elenco” semplifichiamo così tanto, al punto di rendere banale il discorso.

Tornando al Giappone, dopo Lakoff, mi sono tuffata nella loro straordinaria cultura, nel loro codice di comunicazione dove si annuisce comunque anche se alla fine non si è d’accordo, ma si annuisce per far capire di aver capito quello che l’altro sta dicendo, arrivando fino agli haiku che sono componimenti poetici nati in Giappone nel XVII secolo e sono l’estremizzazione delle metafore.  Generalmente un haiku è composto da tre versi per complessive diciassette unità di suono- fonemi- erroneamente dette sillabe. Eccone uno:

Tutta la voce

consumata nello strillare:

resta il guscio della cicala.

   Matsuo Basho

Potente e sintetica questa metafora di un’estata cantata e strillata dalla cicala; l’haiku ha il dono di essere breve e di entrare attraverso il simbolo dentro il cuore del racconto. Non ha bisogno di una miriade di dati esplicativi, è già una sommatoria lucida e poetica.

E poi mi imbatto negli Haiku dedicati al cuore:

Anima antica,

Continua a camminare,

Alba rossa.

Da qui ho cambiato traiettoria, via le diapositive troppo rigide, e decidiamo sempre telefonate Italia e Giappone di lavorare per reinserire la loro tradizione artistica nella scienza medica: le metafore sono veicoli potenti (dal greco meta oltre – ferein, portare, non sono altro che dei mezzi di trasporto) che ci portano dall’incomprensione alla comprensione, dalla noia al piacere, dalla mediocrità della parola e del numero, all’estetica del verso. Questa capacità di “esprimersi per immagini” – come Platone osservava già nel Fedro – è una caratteristica propria dell’uomo, e le neuroscienze ora confermano che all’interno del nostro cervello c’è un centro che si occupa di creare e interpretare metafore[2]

E su questo abbiamo lavorato a giugno con i cardiochirurghi giapponesi: all’inizio eravamo perplessi e impauriti in una terra e cultura così lontana dalla nostra, ma poi si è trovato l’equilibrio ponderato tra i dati quelli “hard” come le curve di sopravvivenza della Medicina Basata sulle Evidenze, e il linguaggio metaforico.  I cardiochirurghi erano coinvolti e divertiti a creare presentazioni dove il cuore era una “macchina”, “il centro della vita”, “un fiore”, e così via. Con una facilità stupefacente, perché per loro non era altro da fare che provare a creare quello che fin da ragazzi in aula erano richiesti di comporre… haiku sul cuore.  Inutile dire che il ricordo di quella esperienza di ingresso nel mondo delle metafore mi è rimasta nell’anima: felici, l’avevamo indovinata.  Gli avevamo, senza offendere la loro professionalità tecnica e clinica, dato o meglio ri-dato un altro codice linguistico.

Nel caso che ho descritto c’era un problema concreto, l’incomprensione e il fastidio di fronte al troppo tecnicismo da parte della comunità scientifica: i cardiochirurghi giapponesi si sono messi veramente in discussione, la cosa straordinaria riportata a casa da quel Paese è stata l’umiltà senza pregiudizi che abbiamo osservato di fior di professionisti che abbiamo incontrato: pronti a imparare e a rimettersi in gioco per superare l’impasse e uscire accreditati nei convegni scientifici.

Cambiando campo di conoscenza, passiamo alla fisica: i fisici per spiegare la fisica quantistica devono ricorrere a metafore perché il linguaggio matematico sarebbe per noi incomprensibile, di fatto un problema simile a quello dei cardiochirurghi o di altri scienziati che vogliono farsi capire in profondità. Il fisico e chimico Maxwell scrive così sulle metafore scientifiche in una lettera indirizzata alla British Association”… è un metodo che aiuta la mente ad afferrare alcuni concetti o leggi in un ambito della scienza attraverso un concetto o una legge di un differente ramo della scienza, e che guida la mente ad estrapolare quello schema che è comune alla stessa idea nella scienza”.

Il fisico Heisenberg, Nobel per il principio di indeterminazione, dichiarò: “non è affatto sorprendete che il nostro linguaggio sia incapace di descrivere i processi che avvengono negli atomi, visto che ce lo siamo inventati per descrivere le esperienze della vita quotidiana[…]. per fortuna la matematica non ha di queste limitazioni.”[3] Se il modello atomico di Bohr per essere spiegato ricorreva al nucleo come sole e gli elettroni come pianeti attorno, il bosone di Higgs, più facile da scoprire che da spiegare è così “preso alla larga” dal fisico Francesco Bussola: “Vedetela così: immaginate un campo pieno di neve e supponete di dover attraversarlo. Avete vari modi per attraversarlo: potete indossare degli scarponi, usare delle racchette da neve oppure degli sci. Chiaramente in base a cosa scegliete attraverserete il campo in modi diversi. Chi di voi prenderà gli scarponi sprofonderà nella neve, farà fatica a camminare e andrà molto lento. Chi indosserà le racchette sarà più agile, camminando senza sprofondare troppo nel campo di neve. Chi invece userà gli sci sfreccerà senza problemi sul manto nevoso. È proprio quello che succede alle particelle quando viaggiano nel campo di Higgs: alcune particelle sfrecceranno velocissime, senza interagire con il campo, come se indossassero gli sci. Sono le particelle senza massa – come ad esempio i fotoni, che viaggiano alla velocità della luce – o con una massa piccolissima – come ad esempio i neutrini, che viaggiano quasi alla velocità della luce. Altre particelle invece saranno più lente perché “sprofondano” nel campo di Higgs. Queste ultime sono le particelle con una grande massa, come ad esempio i muoni, i tauoni i protoni e i neutroni. Questo processo in cui il campo di Higgs rallenta alcune particelle – e non altre – dando loro della massa si chiama meccanismo di Higgs. In questa metafora il bosone di Higgs è il fiocco di neve, che fa interagire le particelle con il campo di Higgs.”

Altre metafore spiegano il bosone di Higgs come una melassa cosmica, una piscina, la sabbia di un campo di bocce. Ora intuiamo che è qualcosa di esteso e di puntiforme e che influenza quotidianamente le nostre molecole, cellule, apparati, sistemi, menti e, se ci crediamo, anime.

Come nella fisica c’è il nome dello scopritore, Bosone di Higgs, anche in Medicina ci sono molte malattie di cui c’ è il nome dello scopritore, dalla sindrome di Guillian Barrè, alla Prader Willi e innumerevoli malattie che portano il nome dello scienziato che le ha scoperte.

Rimane la questione di come spiegare queste sindromi, malattie non solo tra i professionisti, che abbiamo scoperto forse si “annoiano” a parlare solo “medichese,”, a meno che non siano giovani studenti che devono far sfoggio della loro conoscenza in vista degli esami. Il linguaggio è tecnico, riduttivo e etichettante – sorridendo posso dire che dare un nome ad una malattia è un modo semplice per non spiegarla e passare alla storia, e non va solo spiegato ai professionisti sanitari ma anche ai pazienti. Viceversa, noi sappiamo che i malati stessi quando vogliono far capire veramente come si sentono usano molto stile metaforico, erroneamente definito come il linguaggio degli ignoranti, di chi non conosce il nome tecnico. Alcuni professionisti li ascoltano e capiscono la potenza di queste parole e formulano quindi diagnosi e terapie, altri invece si trincerano dietro il medichese.

Nelle metafore non c’è artificio e simulazione, ma attraverso la capacità creativa si riesce a far capire e a esprimere nel qui e ora dei concetti complessi e ignoti: tornando al cuore da cui siamo partiti, in uno studio recente con pazienti malati di scompenso cardiaco , dopo aver chiesto a loro di esprimere come è la loro malattia con una metafora, hanno scritto di una natura o di una macchina che benignamente o più spesso malignamente fa il suo ciclo, “un autunno che arriva”, un automobile che perde i pezzi giorno dopo giorno”. I medici ai quali abbiamo chiesto la stessa domanda ci hanno narrato di “lotta” , “di imprevisto” “ di minaccia”, come se non accettassero i cicli della vita e fossero in missione per  combattere la partita per la vita, ma che non percepiscono appieno “l’autunno” che vivono i pazienti.

Ecco che qui le metafore di curanti e curati ci spiegano quali sono le loro rappresentazioni mentali, e quindi, rispettivamente, come vivono l’operatività del processo di cura e il vissuto con la propria condizione di malattia: da questo studio in pubblicazione, emerge che in diversi casi c’è un disallineamento concettuale su cosa sia lo “scompenso” tra medico e paziente, ma grazie a questa ricerca sarà possibile migliorare ulteriormente il codice di comunicazione tra le due parti.

È vero che nella riformulazione mentale è utile cambiare anche “le proprie metafore di riferimento”, perché mutano i comportamenti[4]: ad esempio è risultato che convivere con la metafora della lotta significa a volte vincere ma a volte anche perdere, e, oltre a questo, ancora più sorprendentemente, non ci si attiva a sufficienza in termini di responsabilità, ma ci si aspetta che arrivi l’arma che faccia vincere la partita. Con la metafora del viaggio invece non è più questione di vittoria e sconfitta, ma si potenzia il senso della responsabilità individuale a prendersi cura di sé partendo dal proprio stile di vita, perché ogni giorno in più è un pezzo di viaggio in più.

E il cuore è metaforico di vita, spirito, ma anche amore, come nei due haiku successivi:

“perduto amore,

stanco il cuore di nuovi

illusionisti”

oppure

“Clessidra il cuore,

il tempo dell’amore,

sabbia che splende”

 Cuore come segna tempo, la sabbia è quella del campo del Bosone di Higgs, in questa danza di particelle minime, con nome e senza nome.

 

 

 

[1]George Lakoff  with Mark Johnson. Metaphors We Live By. University of Chicago Press, 1980.

[2] V.S. Ramanchandran,  The Tell-Tale Brain: Unlocking the Mystery of Human Nature, April 2012

[3] Heisenberg, The Physical Principles of the Quantum Theory,1930

[4] Rose K. Hendricks et al:  Emotional Implications of Metaphor: Consequences of Metaphor Framing for Mindset about Cancer, Metaphor and Symbols: 33:4, 267-279,.2018

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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