Il tramonto del padre in “Affabulazione” di Pier Paolo Pasolini. Lo scontro dialettico con i modelli della psicoanalisi – di Alice Lambertelli

PER I 100 ANNI DALLA NASCITA DI PIER PAOLO PASOLINI

Alice Lambertelli è laureata in Lettere all’Università di Bologna con una ricerca sul rapporto padri e figli nella letteratura novecentesca, con particolare riferimento all’opera di Federigo Tozzi, Italo Svevo e Pier Paolo Pasolini. Sta oggi completando la laurea magistrale in Italianistica presso la medesima università studiando i rapporti tra Pasolini, Amelia Rosselli e i poeti della neoavanguardia. Da sempre coltiva l’interesse per l’interpretazione psicanalitica e sociologica degli autori a lei più cari, con primo riferimento Massimo Recalcati. Si occupa anche di didattica della letteratura italiana.

(Vittorio Gassman e Alessandro Gassman nelle vesti di Padre e Figlio durante la rappresentazione al teatro Tenda di Roma nel 1977)

Costretto a letto da una grave ulcera allo stomaco, Pier Paolo Pasolini impiega il suo tempo nella lettura dei Dialoghi di Platone e, in questa condizione di assoluta fragilità e debolezza, dà vita nella prima metà del 1966 alle sei tragedie manifesto della drammaturgia pasoliniana (Calderòn, Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile). Le tragedie nascono da un moto di rabbia e inadeguatezza verso il modello sociale del suo tempo, in linea con le riflessioni su quella mutazione antropologica (formulazione originale esclusivamente pasoliniana, è uno dei fenomeni più tragici della contemporaneità: essa consiste nella distruzione di ogni carattere individuale a favore del modello omologante proposto dalla nuova società borghese capitalistica) che tanto tormentava la penna dell’autore friulano. 

Il teatro pasoliniano è qui letto in dialogo con la disciplina della psicoanalisi, una rappresentazione sintomatologica della società borghese e consumistica. Già nel 1959 il sociologo statunitense Charles Wright Mills, nel suo saggio L’Immaginazione sociologica, aveva proposto di ricondurre il disagio personale dei singoli a turbamenti oggettivi della società, quale chiave di lettura dell’alienazione dell’uomo contemporaneo. L’operazione che Pier Paolo Pasolini conduce non si discosta molto dalla proposta di Mills, a tal punto che le sue tragedie, e in particolare Affabulazione, sono la messa in scena di un uomo che fa da cassa di risonanza ai cambiamenti storici e sociali di una società asservita all’edonismo capitalistico. 

Nucleo tematico della tragedia Affabulazione è il drammatico rapporto tra la generazione dei padri e quella dei figli, argomento poi analizzato con spietata lucidità nella Lettera Luterana, I giovani infelici del 1975. Affabulazione è, infatti, un dramma sul complesso di Laio (ossia la  sindrome del passaggio generazionale tra padre e figlio che si verifica nel momento in cui il padre si rifiuta di riconoscere al figlio un ruolo autonomo e indipendente, percependolo come rivale) e infatti  mette in scena lo stravolgimento dei ruoli padre-figlio , nel periodo storico che lo psicanalista Massimo Recalcati definisce l’epoca del “tramonto del padre”.

La lettura di questa tragedia porta in auge il tema dello sfaldamento di ogni discorso educativo caratteristico del nostro tempo, marcato da una profonda alterazione dei processi di filiazione tra le generazioni. Come in un Edipo rovesciato sono i padri ad uccidere simbolicamente (e non) i figli. L’acuta disamina della psiche di Padre e Figlio che Pasolini conduce, assume i connotati di un’analisi di un disagio generazionale mai sanato in cui le colpe dei padri e dei figli si contaminano fino ad arrivare ad un’insanabile rottura che ancora oggi caratterizza la sfera delle relazioni sociali. Il dramma pasoliniano narra una storia dai connotati ancestrali nella quale riconoscersi sin dalle prime pagine: un grido d’aiuto di due generazioni alla ricerca di un’identità perduta nel magma della storia.

PADRE: Ma tu non sai che la più grande gioia dei padri è vedere i figli uguali a loro?

FIGLIO: Lo so, pare che i padri non chiedano altro alla vita. Bene, se proprio vuoi che siamo uguali, diventa tu come me!

PADRE: Non abbiamo scherzato abbastanza?

FIGLIO: Perché? Papà renditi conto che più sono paterni i torti più la ragione è figliale: più tu mi perseguiti più io sento l’orgoglio e la leggerezza di fregarmene di te, di essere libero.

(da Affabuazione, Episodio I) 

Questa contaminazione dei ruoli, emblematica della società contemporanea, ha un esito inaspettato: sarà il Padre, smarrito di fronte all’evanescenza del suo ruolo, ad uccidere il Figlio. A rivelarlo il monologo conclusivo del personaggio nell’epilogo dell’opera, delirante confessione di un padre che cerca di nascondere, dietro un claudicante alibi mentale, la storia di un omicidio che non è semplice momento di follia, ma esito inevitabile di un cambiamento storico e antropologico. La scelta di questo finale rivela l’intenzione di Pasolini di svincolarsi dall’esclusività dei termini del complesso edipico, come a denunciare la necessità di nuove chiavi di lettura da parte della psicoanalisi dei disagi della nuova società consumistica che ha esautorato le categorie sociali, fino a rendere inapplicabili diagnosi fondate su modelli ormai non più rintracciabili nella realtà. 

L’intenzione dell’autore risulta ancora più chiara dalla lettura del settimo episodio dell’opera: il Padre si reca da una Negromante per scoprire dove si sia nascosto il figlio e il dialogo con la donna presenta una critica aperta ai padri della psicoanalisi. Quando la Negromante nella sua palla di vetro vede solo una “folla di padri”, accusa Freud e Jung di aver trascurato quest’ultimi in favore di un’analisi spietata della psiche dei figli. Dice, infatti, che i due si sono occupati di questi padri «quando questi padri erano figli». La risposta del Padre è molto interessante poiché fa intendere che ormai il suo regredire allo statuto ontologico di figlio sia irrecuperabile, dice, infatti: «è vero che io sono per mio figlio, padre. Ma io per me stesso sono figlio».  Ma la domanda urgente della Negromante è un’altra: «non c’è nulla di ulteriormente analizzabile, oltre alla gelosia e al rimpianto?». La donna non ci dà una risposta, ci mette solamente di fronte al fatto che nei rapporti umani c’è sempre qualcos’altro, qualcosa che va oltre i paradigmi comportamentali proposti dalla psicoanalisi classica. 

Edipo da solo non riesce più a spiegare il legame che c’è tra padre e figlio perché questo non è più il secolo dei figli, è il secolo della tragedia dei padri. Per questo Pasolini ci racconta il rapporto generazionale visto dal punto di vista del Padre, i due protagonisti non hanno un nome: sono gli archetipi di padre e figlio nel secolo della mutazione antropologica, svincolati dai modelli della psicoanalisi e abbandonati al loro deserto. La storia rappresentata da Pasolini è dunque denuncia della necessità di una nuova prospettiva attraverso la quale guardare una società avviata al tramonto. 

La riflessione condotta non è da intendersi come un auspicato ritorno ad un passato in cui la rigidità dei ruoli di padre e figlio aveva come esito un silenzio assordante, bensì un invito a saper leggere con occhi diversi una realtà mutata in ogni sua componente sociale. Affabulazione, infatti,  non propone alcunché di risolutivo ma apre le porte ad una nuova prospettiva sui legami che più intimamente riguardano l’uomo. Il padre che ci viene raccontato da Pasolini è un uomo che si rifiuta di delegare, di accettare che la vita faccia il suo percorso. Questa è la storia di un padre che chiede di essere ancora e forse per l’ultima volta protagonista del suo dramma, la storia forse ancora troppo attuale di due generazioni che hanno fatto del dialogo una semplice velleità dell’orgoglio. Nell’epoca del digitale, in cui la comunicazione affettiva è stata viziata ancora di più dall’isolamento fisico ed emotivo causato dalla situazione pandemica, il contributo del teatro pasoliniano è essenziale per porre all’attenzione del pubblico più vasto l’urgenza di questa sindrome generazionale, consegnando nelle nostre mani di lettori e spettatori la possibilità di scrivere un finale diverso da quelle parole con le quali l’autore conclude la sua opera: 

Che cosa ti sto raccontando, mio povero Cacarella?

La mia vita? La storia di un solo padre?

Ah no, questa non è la storia di un solo padre.

(da Affabulazione, Epilogo) 

Per approfondire: 

  • Pasolini, Pier Paolo, Affabulazione, in Teatro, Milano, Garzanti, 2003.
  • Pasolini, Pier Paolo, I giovani infelici, in Lettere Luterane, Milano, Garzanti, 2016.
  • Recalcati, Massimo, Il complesso di Telemaco, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2014.

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