“OLTRE IL NERO” DI MONICA SAPIO

LA SCRITTURA COME SOGLIA TRA DUE MONDI

Ci sono libri che non si lasciano etichettare facilmente. Oltre il nero di Monica Sapio, medico anestesista e rianimatore che lavora a Palermo, è uno di questi. Non è un memoir medico – pure se vanno di moda – non è un romanzo in senso stretto, né una raccolta di racconti. Eppure, è un po’ tutte queste cose, e molto di più. È una narrazione lirica, quasi onirica, che segue una donna – Andrea Pasìo – che torna a Palermo, città della memoria e del possibile.

In questo ritorno carico di risonanze emotive, Monica Sapio introduce una figura corale affascinante: il Coro. Presenza narrativa ibrida, il Coro è insieme coscienza, commento, memoria e ironia. Interviene nei dialoghi, riflette e disturba, osserva e consola. È il controcanto dell’interiorità di Andrea, l’eco delle sue contraddizioni. Dice cose come: «Gli errori che hai disseminato sulla strada la rendono riconoscibile come tua» o «Il quarto bicchiere è per la follia», facendo da specchio e da sfida, come accade nel teatro greco o in certi sogni lucidi.

Proprio in questa divergenza frastornante tra la durezza clinica del mestiere e la leggerezza poetica della scrittura si gioca il cuore del libro. Monica Sapio sceglie consapevolmente di non raccontare la terapia intensiva. Non ci sono reparti, monitor, urgenze. Ma quel mondo aleggia come un’ombra densa: il nero del titolo non è la morte, ma una soglia. È ciò che si intravede quando si chiudono gli occhi, quando si anestetizza un corpo, quando si affonda nella coscienza per proteggerla, per salvarla.

Il nero è anche lo sfondo da cui riemerge Palermo, narrata con dolcezza e intensità, fatta di quartieri, teatri, bar, luci sfocate e voci perdute. La città è insieme protagonista e scenario, corpo vivente e simbolo: «Bella, è, Palermo. Non è vero? Bella e difficile, come una fimmina», dice un boss nel prologo. Trasfigurata in mito urbano, la Palermo di Sapio è popolata da memorie che non passano e fantasmi che non si dimenticano.

Andrea, la protagonista, torna da Roma per un incarico alla procura antimafia. Ma il viaggio che compie è soprattutto interiore, a ritroso nel tempo: l’infanzia, i traumi familiari, l’amica Gabriella, il misterioso “incidente” del padre. Si muove tra presente e passato, tra sogno e veglia, tra realtà e visioni. È un personaggio liminale, un’eroina della soglia. Non ha un’identità rigida: è procuratrice, figlia, sorella, orfana, amica, sopravvissuta. Come Ulisse, torna per riconoscere e perdersi. Nostos, il ritorno, sì, ma anche esodo.

Oltre il nero non è un libro “sulla medicina”, ma il libro di una curante che scrive. E questa differenza è sostanziale. La scrittura non serve a raccontare il lavoro, ma a compensarlo. È uno spazio altro, uno scavo, un modo per salvare ciò che l’ospedale non può contenere. Il dolore, la vergogna, la rabbia, l’amore non espresso, il senso di colpa, il bisogno di riscrivere: tutto questo scivola sulla pagina con misura e precisione.

Sapio conferma ciò che molti sospettano e pochi riescono a dimostrare: un buon medico può essere un grande scrittore. Non perché narra ciò che ha visto, ma perché sa ciò che ha taciuto. Sa dove si spezza la parola, dove il silenzio è già racconto. Nei suoi testi, ogni frase ha una misura, ogni immagine un passo indietro. Non c’è retorica, non c’è compiacimento. Solo cura, e attenzione. È la forma breve, il dettaglio evocativo, il gesto minimo a dominare.

Il ritmo è lento ma mai statico. I frammenti – alcuni simili a fotografie mentali, altri a sogni lucidi – compongono un diario di bordo esistenziale. Andrea vaga per la città, e nel suo vagare la Palermo dell’autrice prende forma: respira, consola, punge. Non è solo sfondo, è corpo vivo, con “un odore di gelsomino”, con “il suono della scogliera che taglia via tutto il resto”.

A volte, proprio nelle pagine più intime, la narrazione si fa aforisma, come quando Andrea dice: «Mi sento pulita, pronta a quello per cui sono stata chiamata». E il Coro, subito: «Se sei consapevole che nel tuo incedere perdi l’equilibrio, puoi trovare il coraggio di correre».

Ecco allora Palermo al crepuscolo, in una scena di struggente sospensione:

Andrea camminava lungo via Roma. Il Coro le danzava attorno, muto e presente. «Ogni ritorno è un’espiazione», le sussurrava dentro. Ma lei non aveva più colpe da scontare, solo fantasmi da attraversare. Davanti a un bar, un odore di pane appena sfornato. Scrisse mentalmente: “quel buio è un custode, non un nemico”. E nel nero del suo sguardo, brillò una luce indefinita.

E il Coro esce dalla scontata Tragedia del Ritorno.


Link al libro ›› Oltre il nero – Scatole Parlanti

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.