MI SENTO…

In questa sezione della nostra indagine narrativa anonima e volontaria abbiamo chiesto a medici, infermieri e professionisti sanitari come si sentono a lavorare nella loro organizzazione. Quelli che trovate elencati di seguito sono alcuni frammenti narrativi che abbiamo selezionato per voi tra tutti quelli che ci sono stati inviati.

Nella nuvola di parole è chiaramente centrale “sento”, ma non solo: anche “colleghi”, “personale”, “responsabilità”, “casa” sono particolarmente ricorrenti. 

Dei 174 partecipanti complessivi alla survey 153 hanno lasciato la loro testimonianza in questa specifica sezione (circa l’88% del totale).

Mi sento…

FRAMMENTI NARRATIVI DI AGIO SODDISFATTO  (34/153, 22,2%) 

Ecco alcuni esempi:

  • A mio agio
  • Bene. È un posto praticamente simile ad un qualunque ufficio amministrativo fuori dell’ospedale
  • …di poter contribuire al sistema, migliorando procedure e qualità di assistenza ai pazienti
  • …me stessa. Posso esprimere liberamente le mie idee, che vengono considerate e vagliate.
  • …di far parte di una comunità. Siamo un piccolo gruppo di professionisti che amano profondamente questo lavoro e grazie ad una profonda condivisione e una progettazione che tiene conto delle personali attitudini, abbiamo la possibilità di crescere e fornire relazioni di cura efficaci, personali e che aiutano la persona a trovare motivazioni e strumenti per attraversare ciò che stanno vivendo.
  • Bene. Perché è sempre stata la mia vita e ho sempre cercato il posto dove mi sentivo meglio. Il posto che mi apparteneva, mi appartiene

FRAMMENTI NARRATIVI DI AGIO PARZIALE (13/153, 8,5%) 

Ecco alcuni esempi:

  • Tranquilla. Il lavoro è certo molto stressante di per sé, ma non ci si sente soli
  • Molto ben accolto, c’è un ambiente familiare e sorridente, molta autonomia personale e grande apprezzamento per quello che ognuno fa e gestisce, senza rivalità come accadeva nel precedente luogo di lavoro dal quale provengo (azienda ospedaliera universitaria)
  • Ho cambiato lavoro e luogo due anni fa. Ero in burnout. Ora da 2 anni sto bene
  • Un riferimento, un supporto per le persone affette da patologia, una collaboratrice per le altre colleghe, una risorsa per l’azienda. Mi sento impegnata più di quanto vorrei, ma cerco di gestire il tempo lavorativo e il tempo personale con equilibrio. Anche se a volte mi sembra di sottrarre tempo alla mia vita personale.
  • Appagata, motivata a dare il mio contributo per migliorare i processi assistenziali delle persone che si rivolgono al DSM-D. A volte, a fronte delle risorse contingentate che obbligano a fare scelte non sempre ottimali, il mio entusiasmo si “raffredda” ma solo il tempo di studiare nuove strategie per portare comunque a casa il risultato. Sento fortemente la necessità di uscire dagli schemi abituali perché sono convinta che solo in questo modo possiamo salvare il nostro SSN

FRAMMENTI NARRATIVI AMBIVALENTI (27/153, 17,7%) 

Ecco alcuni esempi:

  • Affaticata ma soddisfatta
  • Ricca di esperienza acquisita ma a disagio per esigenze amministrative e richieste burocratiche sempre più incombenti
  • A volte mi sento come se fossi in una seconda casa, e dentro tutte le case ci si sente diversamente a seconda dei giorni e dei momenti
  • All’interno di un’equipe piuttosto affiatata ma inserita in un contesto in cui risulta sempre più difficile muoversi efficacemente
  • Come a casa mia. Problemi e soddisfazioni, risorse limitate, inventiva, competenza, legami. Come a casa
  • A volte a casa. A volte in prigione.
  • Costantemente insicura circa il mio futuro e la possibilità di crescita professionale. Impossibilitata a programmare vacanze o periodo di meritato riposo. Stanca e spossata. Contenta dei risultati e della stima dei pazienti. Utile ai pazienti. Stimata dai colleghi e dai pazienti
  • Ho un vissuto di ambiguità, da un lato sono felice perché svolgo il lavoro che mi piace. Dall’altro mi sento disallineata con ciò che il SSN oggi propone, la persona non è più al centro, ci sono gli interessi economici e di mercato. Questa non è la sanità pubblica che ho contribuito a realizzare
  • Molto bene ma molto affaticata per le responsabilità e la pressione da parte delle istituzioni regionali che pretendono dati senza valutare le qualità delle cure erogate perché si basano esclusivamente su check list
  • …a mio agio per le competenze acquisite nel tempo e per l’interesse che ancora nutro per la professione; sfruttato spesso su turnistiche e richieste di sostituzioni che ritengo non dovrei più sostenere; in prigione per l’impossibilità di uscire dalla condizione di turnista.
  • Serena nel rapporto con l’utente anche se la gestione della persona con patologia cronica è difficile e prevede un carico e un coinvolgimento emotivo importanti. Frustrata nel rapporto con l’organizzazione per la difficoltà e la rigidità nei confronti delle figure di riferimento superiori che determinano rallentamenti nello svolgere progetti e semplificare il lavoro.
  • Spesso soffocata dalle richieste e dalle cose da fare. Mi sento anche utile quando riesco ad aiutare persone o colleghi che hanno bisogno. Ultimamente vivo un senso di impotenza per le difficoltà dei sanitari e per il disagio dei malati davanti alle liste di attesa.

FRAMMENTI NARRATIVI DI PARZIALE DISAGIO  (13/153, 8,5%) 

Ecco alcuni esempi:

  • Sono passata dall’essere entusiasta all’essere esausta
  • Talvolta in un frullatore, troppo pieno e troppo veloce
  • Una lottatrice, spesso in difficoltà nel diffondere la cultura riabilitativa
  • Dalla pensione lavoro nella sanità privata e in una residenza per anziani RSA. Vedo crescere il disorientamento per le tardive risposte della sanità pubblica. Chi non ha soldi rinuncia alle cure. Le RSA stanno vicariando le lungodegenze. Mi sento come alla fine di un’epoca
  • …in difficoltà dal punto di vista etico, consapevole di essere limitato nelle possibilità di cura da pratiche burocratiche e dalla medicina amministrata e non esercitata secondo i veri bisogni

FRAMMENTI NARRATIVI DI DISAGIO TOTALE  (66/153, 43,1%) 

Ecco alcuni esempi:

  • In pericolo
  • Senza prospettive
  • Un pezzo di un ingranaggio il cui funzionamento ha il fine di produrre ricchezza per l’organizzazione più che quella di prendersi cura degli utenti
  • Da dopo il covid, tutto è cambiato. Siamo diventati numeri, che le direzioni usano per “progetti”. Ogni giorno c’è qualche menata in più burocratica che toglie tempo di cura. Personalmente sono delusa da questo nuovo andazzo. Si sono creati capi e capetti che inventano regole e non badano al benessere del personale e dei pazienti. Tiro a campare, cosa che non avevo mai fatto, facendo il mio e non sprecando energie che tanto non sono valutate. Mi sembra di lavorare come una operaia e non come una professionista
  • Abbandonato dall’azienda, solo. Senza tutele
  • Non valorizzato. Mi sento una pedina che serve a riempire la casella dei turni. La professionalità e la formazione non sono valorizzare in alcun modo
  • …tradita e provo spesso un senso di estraneità
  • La mia professione è sempre sottovalutata anche all’interno dell’ambito sanitario ospedaliero. Siamo i professionisti che più di tutti accolgono e ascoltano i malati perché siamo quelli che hanno accesso al loro spirito oltre che al loro corpo, i pazienti, con noi si confidano e ci aspettano sempre con molte richieste. D’altro canto le aziende sanitarie sono incapaci di prendersi carico e cura delle persone aggravando il senso di impotenza di chi cerca di fare del suo meglio. Qui in Veneto, nonostante le tante dichiarazioni d’intento, i servizi vengono depauperati sempre di più. Inoltre chi è ai vertici della piramide del comando ( ma anche gli stessi coordinatori di reparto) sono incapaci di rendere i lavoratori delle vere equipe. Si ha l’impressione che pazienti e lavoratori siano solo numeri di cui le aziende sanitarie si disinteressano …
  • …il ragù in pentola
  • …sopraffatta, esausta, esanime. Tutto quello che mi dava piacere nel mio lavoro ora mi pesa un quintale. Mentre prima mi fermavo ore in più se c’era bisogno, ora non vedo l’ora di scappare
  • Poco valorizzata per le competenze acquisite, le qualità e risorse personali, non coinvolta in progetti nonostante la disponibilità e i titoli
  • In costante sofferenza per carichi di lavoro sempre più impegnativi a elevata responsabilità, demansionamento perpetrato per la cronica carenza di figure professionali.
  • Incompleto, con le tante carenze di personale e di materiale. Overworked, data la profusa incompetenza e/o indisponibilità di colleghi/personale
  • Mobbizzata e messa sotto pressione. Coordinata da persone che non capiscono (per ignoranza ed alterigia) il mio ruolo ed il mio lavoro
  • Stanca come se lottassi con i mulini a vento, sottovalutata per la maggior parte del tempo soprattutto quando qualcosa deve essere cambiato, la sanità pubblica non mette più al centro la saluta del cittadino quindi frustrata
  • Sottoutilizzato per le mie capacità professionali. Sottopagato per le responsabilità che mi assumo. Poco o nulla tutelato dal punto di vista medico-legale. Frustrato per non vedere chiare possibilità di carriera.
  • Affaticata, non valorizzata non adeguatamente retribuita

Di seguito vi proponiamo un grafico che sintetizza quanto abbiamo appena visto.

Dalle testimonianze raccolte emerge un panorama complesso e ricco di sfumature, in cui si avverte un progressivo accrescimento dell’insoddisfazione nei confronti dello stato attuale delle cose. Tuttavia, in parallelo a questa constatazione, si riscontra una significativa e palpabile determinazione a migliorare l’attuale status quo. Tra i partecipanti, si delineano chiaramente diverse sfaccettature di soddisfazione lavorativa: da coloro che si dichiarano completamente appagati nel proprio ruolo, a chi lamenta una sottostima delle proprie competenze e a chi vive un senso di ingratitudine rispetto al proprio impegno. La complessità emotiva di questa situazione si riflette in sentimenti ambigui e ambivalenti che coinvolgono molte persone coinvolte.

È interessante notare che i partecipanti, lungi dal limitarsi a una mera descrizione delle proprie emozioni, hanno scelto di narrare con scrupolosa precisione e schiettezza la loro condizione lavorativa. Questo approccio aperto e sincero arricchisce il quadro, fornendo una visione dettagliata e autentica delle diverse realtà vissute.

Risulta evidente che, fatta eccezione per alcuni casi isolati, l’amore per la propria professione costituisce un elemento stabile e costante, a prescindere dalla valutazione positiva o negativa della propria situazione lavorativa. Questo fenomeno sottolinea che, al di là delle sfide e delle difficoltà, il sentimento predominante tra gli operatori sanitari italiani è caratterizzato da una profonda e radicata determinazione a perseguire il proprio ruolo con impegno e dedizione.

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