La Sanità in Italia: un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto

L’Italia è comunque un paese fortunato rispetto alla sanità: anche se il bicchiere – e dopo vedremo perché – appare mezzo vuoto. Prima di tutto attraverso l’offerta sanitaria, la Salute è un bene tutelato dalla costituzione ed è un diritto dei cittadini. Almeno nei principi istituzionali il bicchiere è totalmente pieno: persegue il benessere come dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Salute, alimenta i Diritti umani e, più prosaicamente, non è richiesta alcuna assicurazione privata, avere un lavoro per avere l’assicurazione sanitaria (come avviene ad esempio negli Stati Uniti o, più vicino a noi, in Svizzera).

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Covid: l’esperienza del 2020

La prima emergenza sanitaria COVID-19, scattata con il primo lock-down del 2020, ha chiaramente indicato che la scelta si perseguiva tra salvaguardia della vita umana e produzione. Si trattava della salvaguardia di ogni vita umana, anche di chi non lavorava più, degli anziani, quelli più duramente colpiti dal SARS Covid. Quell’anno l’aspettativa di vita, proprio per la letalità del virus, ha visto una diminuzione di quasi due anni pieni di aspettativa della vita media. La salute di tutti noi è affermata in modo egualitario, ma di più, la legge, nel suo articolo 32, ha un punto che sottolinea “e garantisce la salute principalmente agli indigenti” a chi non se lo può permettere.

Non desidero ripercorrere la strada dell’aziendalizzazione della sanità, con la legge 502 del 92 che ha trasformato i servizi sanitari in azienda, ponendo, in maniera ingravescente negli ultimi 30 anni dei tetti sempre più bassi alla spesa sanitaria, costringendo a tagli sul personale professionale (medici e infermieri) e letti per persone in fase acuta (appunto le terapie intensive), non sviluppando le cure domiciliari: svuotando i budget mentre invece la vita, grazie alle nuove tecnologie, farmaci, si andava allungando sempre di più. Andava e dopo vedremo perché ho usato l’imperfetto. 

La situazione attuale

Vediamo la situazione attuale: nel triennio 2019-2021 sono andati in pensione circa 4mila medici specialisti ogni anno, per un totale di 12mila camici bianchi. Stanno andando in pensione circa altri 10mila tra il 2022 e il 2024. Quindi in 6 anni il Servizio Sanitario Nazionale perderà 22mila medici specialisti ospedalieri per pensionamenti (fonte Anaoo Assomed). 

I perché? Da annoverare l’assenza di assunzione con contratti indeterminati di giovani medici con prospettiva di carriera bloccate da senior: ogni anno circa 1500 medici con specialità fuggono all’estero. Abbiamo una classe medica che ha un’età media di 52 anni, rispetto a un’età media nelle aziende del privato di 43 anni (dato che peraltro indica la trasversale difficoltà dei giovani e entrare nel mondo del lavoro). Tra il 2019 e il 2021, 9mila medici hanno abbandonato l’ospedale per dimissioni volontarie, non solo scegliendo l’estero ma soprattutto scegliendo la professione privata.

In Italia, l’Organizzazione Mondiale della Salute ha stimato che i professionisti sanitari tra medici, infermieri e altri operatori sanitari morti a causa del Covid-19 – “Vittime del dovere”, così sono stati definiti, per i familiari dei quali quest’anno è stato stanziato un fondo di 15 milioni di Euro – siano stati circa 4000. E purtroppo questa alta mortalità tra i professionisti sanitari, soprattutto prima dell’avvento dei vaccini è anche dovuta all’età anagrafica senior di medici e infermieri.

Servizio Sanitario italiano: mancanze e potenzialità

A settembre del 2021, da uno studio del Sole 24 ore Sanità risultavano una cifra di 1 milione e mezzo di Italiani senza medico di medicina generale: dato sottostimato perché solo 8 Regioni avevano fornito i dati. Man mano che vado avanti a scrivere il pezzo vorrei concludere con il bicchiere mezzo pieno, ma di fronte a queste informazioni si sta svuotando sempre di più.

Ancora sulle mancanze: sono oltre 63.000 gli infermieri che mancano in Italia, con le maggiori carenze al Nord (27.000), seguito da Sud e Isole (23.500) e Centro (13.000). Eppure, nel 2020 scienze infermieristiche è stata l’unica laurea tra quelle sanitarie che ha visto aumentare le domande di quasi l’8% contro una diminuzione delle altre.

Il Covid ha rallentato la cura e gli interventi chirurgici ordinari: si stima che al 2021 almeno 30.000 persone abbiano perso la vita per altre malattie che non venivano accolte negli ospedali al tempo del Covid del 2020, prima dell’era dei vaccini. Insomma, comunque la si voglia guardare il COVID-19 sui numeri è stata una tragedia, malgrado sia nata, e qui mi accingo a riempire il bicchiere di acqua, una straordinaria collaborazione tra centri di ricerca italiani e internazionali e, in Italia, una partnership tra istituti pubblici e privati. Le malattie trasmissibili sono di pertinenza del sistema pubblico, eppure nel 2020 gli ospedali privati si sono nella maggior parte e soprattutto nel Nord Italia convertiti a centri COVID-19 in piena sussidiarietà del pubblico e degli ospedali da campo allestiti dall’esercito. 

Però andiamo avanti: i dati pubblicati sul New Yor Time di agosto del 2021 sono terribili:

L’aspettativa di vita media degli americani è scesa precipitosamente nel 2020 e nel 2021, registrando il calo biennale più netto in quasi 100 anni e ricordando il tributo imposto alla nazione dalla continua pandemia di coronavirus. Nel 2021, l’americano medio potrebbe aspettarsi di vivere fino all’età di 76 anni, hanno riferito mercoledì i ricercatori sanitari federali. Questa cifra rappresenta una perdita di quasi tre anni dal 2019, quando gli americani potevano aspettarsi di vivere, in media, quasi 79 anni. La riduzione è stata particolarmente forte tra i nativi americani e i nativi dell’Alaska, ha riferito il National Center for Health Statistics. L’aspettativa di vita media in questi gruppi si è ridotta di quattro anni solo nel 2020. Il calo cumulativo dall’inizio della pandemia, in media più di sei anni e mezzo, ha portato l’aspettativa di vita a 65 anni tra i nativi americani e i nativi dell’Alaska, alla pari con quella di tutti gli americani nel 1944”.

I dati del 2021, nel nostro Paese se nel 2020 rispetto al 2019 l’aspettativa di vita media (uomini e donne) era calata da 83,6 anni a 82,3 anni, nel 2021 i dati provvisori indicano una ripresa con una aspettativa di vita che risale a 82,9 anni. Al contrario le diminuzioni maggiori sono state stimate in Slovacchia e Bulgaria (-2,2 anni rispetto al 2020), seguono Lettonia (-2,1) ed Estonia (-2,0). Rispetto all’anno pre-pandemia del 2019, comunque, l’effetto complessivo è ancora negativo in tutti gli Stati membri ad eccezione di Lussemburgo, Malta e Svezia.

Ne possiamo dedurre quindi che il nostro Servizio Sanitario malgrado le emorragie, l’età anziana, il fascino della pratica privata (che non è il sistema del privato accreditato), ci porta un bicchiere quasi pieno: sono gli indicatori di speranza di vita a parlare, il diritto all’accesso alle vaccinazioni o alle cure (anche se ora c’è da recuperare molto). In questi tre anni ho incontrato medici e infermieri rimasti traumatizzati dalla pandemia: “sono invecchiata di dieci anni in un anno”, “sogno ancora quelle notti in cui si contava la morte” eppure, in nessuno di loro c’era burn out, demotivazione, alienazione: ho trovato tanta dedizione, motivazione, compassion fatigue (di cui prendersi cura). Insomma, i professionisti veramente autentici sia nel servizio pubblico come nel privato, sono ancora qui a rendere omaggio ai nostri principi ispiratori sulla salute. Ed è con loro che vogliamo alzare i calici.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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