Volentieri segnaliamo Io speriamo che me la cavo: la Medicina Narrativa in pediatria, un’intervista a Paola Chesi pubblicata su OMNI News – Il giornale della Medicina Narrativa italiana.
Riportiamo di seguito l’incipit dell’intervista, condotta da Viola Rita, e invitiamo a proseguire la lettura rimandando all’intervista completa.
La medicina narrativa può per rendere più efficace il rapporto tra medico e paziente, migliorando vissuti ed esiti di cura in qualsiasi ambito clinico. Anche e soprattutto quando il paziente è bambino e il rapporto terapeutico è in qualche modo mediato dai genitori. In questi casi, un racconto, un disegno o un fumetto possono rivelare al pediatra come il piccolo vive la malattia e le cure: emozioni, paure, speranze e anche, come spesso accade, una forza e una positività a volte sconosciute agli stessi familiari. “La possibilità di narrarsi è utile per il pediatra, per il piccolo paziente e per i genitori o i caregiver”, dice Paola Chesi, ricercatrice di Fondazione Istud che ha illustrato le possibilità offerte dalla medicina narrativa in ambito pediatrico in un recente seminario organizzato dalla Società Italiana di Medicina Narrativa – Simen a Milano. Con lei abbiamo fatto il punto per capire come è possibile utilizzare la medicina narrativa in pediatria e quali vantaggi può portare.
Dottoressa Chesi, a cosa serve la medicina narrativa in pediatria?
La possibilità di raccontare se stessi, la propria malattia e il rapporto con essa è fondamentale anche e soprattutto in età infantile e adolescenziale. Attraverso la narrazione, ad esempio la scrittura di brevi testi, fiabe o fumetti, emergono aspetti della persona, come affronta la patologia e il percorso terapeutico, che con il tradizionale colloquio, mediato dalla presenza dei genitori, non verrebbero rilevati. Questo può aiutare sia il medico sia i genitori a capire meglio come relazionarsi con il bambino o con il ragazzo per coinvolgerlo attivamente, renderlo più collaborativo.