La grande narrazione della pandemia di COVID-19 nella cittadinanza

La grande narrazione della cittadinanza:

Da uno studio indipendente della Fondazione ISTUD, sono state raccolte da marzo a fine aprile 2020 più di cento narrazioni in Italia di studenti, adulti e anziani chiusi in casa. Procedendo dalla metafora meno a quella più utilizzata, il quarto gruppo delle metafore più ricorrenti è stato quello delle immagini che descrivevano il senso di “distruzione” percepito; l’arrivo del virus è stato visto da molti come una catastrofe naturale improvvisa e dirompente, come uno tsunami, un tycoon: “Siamo stati tutti travolti da uno tsunami”“è scoppiata la pandemia che ha colpito tutti i servizi ospedalieri”“le certezze possono essere spazzate via in un attimo”. Di più, erano frequenti le immagini del brutto “incubo” da cui speriamo di svegliarci: “mi sembra di essere stato catapultato in un incubo”“vorrei svegliarmi la mattina e uscire da questo incubo”; il sentirsi “dentro un film apocalittico”“l’isteria che assale i supermercati come in un film post-apocalittico”“dentro il film Virus Letale”; la “ferita” che si percepisce nei corpi: “ho sentito una lama che mi è entrata nel fianco”, “qualcuno riesce persino a sorriderti l’anima spezzata”. Infine, la sensazione di vivere dentro una “bolla”, “un universo parallelo”: “sembra che ognuno viva la sua vita, in una bolla di sapone”“come se il 21 febbraio 2020, in Italia una specie di porta spazio-temporale ci avesse risucchiato tutti in una specie di universo parallelo”.

La terza immagine più ricorrente nel descrivere le esperienze di questi primi mesi della pandemia è stata quella della “reclusione” nelle case, per alcuni considerata protezione ma per altri definita “chiostro”, “prigione”, “gabbia”: “Nel chiostro forzato sono confinato”, “fare la spesa è diventato un po’ come l’ora d’aria”“siamo tutti a casa agli arresti domiciliari”. Questo era ed è particolarmente notevole nelle giovani generazioni ma anche per le persone anziane, in cui c’era un aggiornamento della parola “isolamento” a “schermatura”, evocando la protezione, comunque con uno scudo, un oggetto usato durante la guerra.

Il secondo gruppo di metafore più rappresentate è stato quello della “sospensione del tempo”, “il mondo congelato” – un concetto ormai familiare per noi, che attualmente usiamo durante il nostro incontro on-line quando c’è un crash di linea -; la vita delle persone era sospesa, “in un limbo”, in attesa di ritrovare certezze sul futuro: “tutto si è congelato, dentro e fuori di me”“vivo in un tempo sospeso”“il mondo intero si è paralizzato”. Per la prima volta in questo nuovo millennio, il Tempo ha acquisito un sapore diverso nella grande narrazione dei cittadini: a causa dei limiti individuali di movimento, causati dal blocco globale, la continuità di una routine come andare a scuola, o in ufficio, ristoranti, palestre, cinema, si è fermata. La casa (quando disponibile) e il suo perimetro divennero l’unico spazio consentito dove vivere e passare il tempo, soprattutto pulendola, sopraffatti dalla paura del contagio: i viaggi non erano ammessi, e ancora molto limitati. Per gli operatori sanitari, la nuova routine è stata caratterizzata dal pendolarismo tra casa e ospedali: tutti i congressi medici con relativi viaggi sono stati cancellati e trasferiti su viaggi virtuali. Il tempo ha acquisito un significato diverso, avendo a che fare con un effetto “bolla, persistente”. Molte narrazioni hanno riportato lo shock di passare da una vita frenetica di collegamenti fisici, fatta di voli, treni e trasporti in auto, all’arresto in una “bolla”. Anche se in molti campi la continuità del business è stata in qualche modo garantita dagli strumenti digitali, il tempo è stato principalmente percepito come “congelato” poiché, a parte le ambulanze, gli operatori sanitari devoti, e la catena alimentare e delle merci.

Sappiamo tutti abbastanza bene che in cima a tutte le metafore usate si ricollegano alla “guerra” durante la pandemia COIVD-19, rispecchiando il linguaggio dei media e degli operatori sanitari, quindi il regno del conflitto. 

Ora, dopo un anno di sopportazione della COVID-19 e nonostante la campagna vaccinale sia iniziata, stiamo vivendo con le difficoltà di un’efficiente catena logistica di approvvigionamento dei vaccini, con annunci quotidiani di nuovi blocchi in molti paesi occidentali. I politici e le narrazioni dei media sono ancora dalla parte della guerra, ogni giorno trasmettendo nuovi tassi di infezione e numeri di “vittime”, usando lo stesso termine come se fossimo in una guerra. Per quanto tempo possiamo sopportare una guerra senza essere traumatizzati? Elena Semino è un’esperta in analisi delle metafore e lavora sulla riorganizzazione delle metafore utilizzate per creare immagini [1], e quindi credenze, più sane ed efficaci per i cittadini, i politici e i fornitori di servizi sanitari. Propone di passare dall’essere soldati alla metafora dei vigili del fuoco. Il fuoco, spiega, trasmette pericolo e urgenza, distinguendo tra le diverse fasi della pandemia; spiega come avviene il contagio e il ruolo degli individui al suo interno; spiega le misure per ridurre il contagio; ritrae il ruolo degli operatori sanitari; collega la pandemia con le disuguaglianze sanitarie e altri problemi; e delinea i futuri post-pandemici. In particolare: “Pensate a COVID-19 come a un incendio che brucia in una foresta. Tutti noi siamo alberi. L’R0 è la velocità del vento. Più alto è, più veloce è il fuoco che divampa nella foresta. Ma proprio come un incendio nella foresta, COVID-19 ha bisogno di carburante per andare avanti. Noi siamo il combustibile” (Wilson, 2020).  Al di là dell’immagine del fuoco, possiamo vedere qui l’immagine di essere una foresta interconnessa che può vivere in pace, se nessun danno è stato fatto al nostro ecosistema, e non ci sono grandi fattori turbolenti: siamo una comunità di esseri viventi intrecciati. 

Fire Fighters ci ricorda anche gli eroi dell’11 settembre, che sono stati fotografati mentre salivano al piano superiore affrontando la morte, quando il flusso di persone stava scendendo al piano inferiore nelle Torri del Trade World Centres di New York. E questo ci ricorda immediatamente un attacco terroristico di guerra, con un nemico esterno capace di diffondere la morte di 2996 persone innocenti di cui 343 erano, appunto, vigili del fuoco.

Imparando dal mito

Possiamo procedere oltre? Ci sono modelli più potenti ed efficaci che possono aiutare in questo tempo e in questo luogo? Approvo l’uso del mito, proveniente dal lungo viaggio dell’Odissea. C’è un uomo, Ulisse, che viaggia per vent’anni alla ricerca della sua patria perduta: deve affrontare prove durature e, nel frattempo, impara anche a vivere e a divertirsi con le improvvise scoperte quotidiane; guardando al futuro, mantiene uno sguardo costante sul presente, non nel suo formato “cogli l’attimo”, ma nel suo atteggiamento saggio, vigile, strategico, emotivo, affettivo, creativo e rispettoso. Quest’uomo è l’Ulisse che Omero, il poeta greco, se mai è esistito, definisce un uomo dal “genio poliedrico”: in greco, il mondo “poliedrico” è letteralmente “multidirezionale”, “polytropos”. 

Penso che dovremmo tornare a questo immenso personaggio mitologico, Ulisse, che può durante questo lungo viaggio, scomparire, mascherarsi, rivelarsi solo quando è opportuno. Fa molti errori, certo, ma impara dai suoi errori. Ulisse entra nella grotta di Polifemo, il Ciclope, profanando così la vita di una creatura selvaggia. Questo è il suo più grande errore per due motivi: il primo motivo contingente è che Polifemo mangia la carne umana del suo equipaggio ed è molto difficile uscire dalla grotta; il secondo motivo strategico è che, dopo l’accecamento del Ciclope, Ulisse avrà contro il potere di Poseidone, dio del mare e padre dei ciclopi. Il viaggio di ritorno a Itaca diventerà più lungo per questo re marinaio.  

Non abbiamo forse dissacrato negli ultimi secoli la vita della nostra terra?  C’è una possibile relazione causale tra ciò che l’umanità ha fatto al pianeta nel corso dei secoli, e l’aumento contemporaneo delle ricadute fino alla generazione di COVID-19? Quammen dice di sì, David Attenborough dice di sì, io dico di sì [2], molto probabilmente.  

Ecco il momento, nell’era di COVID-19, per un ripensamento contemporaneo delle nostre responsabilità durante questo viaggio della vita, la nostra Odissea, utilizzando il genio multiforme, per proteggere l’umanità e il nostro pianeta, che è simboleggiato dall’Isola intera di Ithaki. Il viaggio potrebbe essere una lunga navigazione con tempeste e onde alte, ma anche con un mare calmo e sereno, e di nuovo pericolose acque basse: per analogia, potrebbe mostrare doni meravigliosi, simpatici sconosciuti incontrati in questa navigazione in rete, scoperte scientifiche, nuove terapie, reti cooperative, e bei valori etici rappresentati da un viaggio spirituale interiore ed esteriore.  

[1] Elena Semino, “Not Soldiers but Fire-fighters” – Metaphors and Covid-19, Pages 50-58 | Published online: 10 Nov 2020, Health Communication, October 2020, https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/10410236.2020.1844989
[2] David Attenborough, A Life on Our Planet: My Witness Statement and a Vision for the Future, Ebyry Publishing 2020

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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