Malattie rare e Medicina Narrativa: intervista a Domenica Taruscio

Con piacere pubblichiamo l’intervista a Domenica Taruscio, dirigente di ricerca e Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). È stata Presidente dell’International Conference for Rare Diseases and Orphan Drug (2010-2012), Membro italiano del Committee for Orphan Medicinal Products presso l’EMA (2000-2009). Fa parte del Comitato di Esperti sulle Malattie Rare della Commissione Europea, è Membro dell’Health Research Advisory Group della Commissione Europea, del Comitato Scientifico Interdisciplinaredell’IRDiRC, e dell’Organismo nazionale di coordinamento e monitoraggio delle Reti europee di riferimento. È coordinatore scientifico di numerosi progetti europei e internazionali fra cui: Malattie rare senza diagnosi (Italia-USA), Undiagnosed Diseases Network International (UDNI), EUROPLAN, EPIRARE, RARE-Bestpractices e WP Leader in EUROCAT e RD-Connect. È referee di numerose riviste scientifiche ed Editor-in-Chief di Rare Diseases and Orphan drugs. An International Journal of Public Health.

D. Lei è stata la prima a portare la Medicina Narrativa nell’ambito delle malattie rare in Italia. Da cosa è nata questa iniziativa?

DT. Era il 2002. Sono passati quasi diciassette anni, da quando introdussi per la prima volta la Medicina Narrativa all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nell’ambito del progetto di ricerca quadriennale da me coordinato, finanziato dalla Commissione Europea e denominato NEPHIRD (NEtwork of Public Health Institutions on Rare Diseases). Tra gli obiettivi di NEPHIRD, che coinvolgeva quindici Paesi, c’era anche la valutazione della qualità di vita delle persone con malattie rare. Fu in questo contesto progettuale che abbiamo cominciato a parlare per la prima volta di Medicina Narrativa all’ISS. In particolare, insieme alla Prof.ssa Gaia Marsico (allora docente all’Università di Padova) e ad altri partner del progetto, fra cui sociologi ed esperti di sanità pubblica, abbiamo cominciato ad organizzare alcuni focus group con pazienti, familiari e operatori per ascoltare le loro storie di vita, raccoglierle ed analizzarle. Dalla loro voce narrante emersero vissuti di solitudine e di isolamento, ma anche storie di coraggio. Certamente avere una malattia rara, spesso poco conosciuta anche dai clinici più esperti, ampliava allora ancor più di oggi lo smarrimento e la sofferenza nei pazienti e sentimenti di impotenza e frustrazione negli operatori. Le conoscenze scientifiche erano più limitate e le informazioni circolavano molto più lentamente, sia nel mondo associativo sia fra gli operatori. Ovviamente, a questo scenario va aggiunta la complessità della gestione clinica delle malattie rare, dovuta non solo alla loro numerosità (circa 8000 diverse patologie) ed eterogeneità, ma anche alla variabilità delle manifestazioni cliniche e alle scarse possibilità terapeutiche risolutive.

Questo progetto ci ha insegnato che ascoltare le storie di malattia contribuisce a ricollocare e comprendere le persone nel proprio specifico contesto, a mettere a fuoco, oltre ai bisogni e alle domande di salute anche nuove proposte che possono scaturire dalle esperienze di malattia e di vita e ad intraprendere anche nuove strategie di intervento. L’esperienza di malattia costruisce una specifica competenza, insostituibile e preziosa. La raccolta di testimonianze offre un’occasione per contestualizzare i dati clinici e individuare i bisogni inevasi. Non solo. “Prendere parola” è una forma “alta” di partecipazione e di coinvolgimento: ha a che fare con il prendere coscienza di essere titolari di diritti e portatori di una esperienza valida e non delegabile. Pertanto, la narrazione e l’ascolto attento dell’esperienza personale dovrebbero avere sempre un ruolo significativo nelle relazioni di cura al fine di trasformare l’esperienza in risorsa. Ascoltare e raccogliere storie di malattia e di vita rende possibile la costruzione di percorsi di cura condivisi, promuove la fiducia e rinforza l’alleanza terapeutica, lasciando spazio alla relazione e contribuendo a diminuire le pratiche di medicina difensiva, non ultimo possono stimolare nuovi percorsi formativi, fondati sull’esperienza e competenza di pazienti e familiari.

Questo progetto aveva l’obiettivo di promuovere una cultura di partecipazione nei soggetti coinvolti a vario titolo nelle malattie rare e mirava ad integrare i dati raccolti mediante un questionario nell’ambito della ricerca su “Accessibilità e qualità dei servizi socio-sanitari italiani per i pazienti con malattie rare”. Ci siamo resi conto che ancor di più che in altre patologie, nelle malattie rare è quindi necessario prestare attenzione alla dimensione relazionale e prendere in considerazione la malattia nelle sue diverse accezioni: come illness(il vissuto del paziente), come disease(la malattia intesa in termini biomedici) e come sickness(la percezione sociale della malattia).

Per questo motivo, la Medicina Narrativa è tra gli strumenti che il Centro Nazionale Malattie Rare utilizza per promuovere la partecipazione attiva dei pazienti e il miglioramento del funzionamento del sistema di cura.

D. Quali sono le prime iniziative che l’Istituto Superiore di Sanità ha organizzato sulla Medicina Narrativa, oltre alla Consensus del 2014?

DT. Sono molteplici le attività condotte in questi anni: come già citato, la prima iniziativa l’abbiamo avviata nel 2002 nell’ambito del progetto europeo NEPHIRD, che ha fatto emergere la tematica della medicina narrativa in alcuni Convegni internazionali dedicati alle malattie rare che abbiamo organizzato all’ISS: ne ricordo uno in particolare che abbiamo realizzato nel settembre 2006 con la partecipazione di vari esperti, inclusi alcuni rappresentanti della Commissione Europea. A questa esperienza hanno fatto seguito altre attività di ricerca, formazione, informazione sia a livello nazionale che internazionale, come ad es. il progetto Story Telling on Record (S.T.o.Re.) coordinato dalla dott.ssa Amalia Egle Gentile, referente delle attività di Medicina Narrativa del Centro Nazionale Malattie Rare, un partenariato internazionale finalizzato allo studio dell’integrazione della Medicina Narrativa nella cartella clinica, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Lifelong Learning Programme 2013-15.

Tra le prime iniziative, oltre la raccolta e lo studio delle storie, la memoria corre ai primi convegni sul tema, con ospiti del calibro di Rita Charon, Brian Hurwitz e del compianto Gianni Bonadonna.

In particolare, il Primo Convegno Nazionale Medicina narrativa e malattie rare, che organizzammo all’ISS nel 2009, fu l’occasione per invitare allo stesso tavolo, per la prima volta, tutti coloro che si erano occupati di Medicina Narrativa a livello nazionale, con uno sguardo oltre confine, e capire come ciò che era stato fatto (in termini di approcci teorici e di esperienze concrete) si potesse estendere anche alle malattie rare. Gli Atti di quel Congresso possono essere considerati un momento di condivisione per gli esperti dell’argomento, per coloro che si erano cimentati in tale contesto e un punto di partenza per quanti avrebbero voluto farlo.

Successivamente, le esperienze si sono moltiplicate e proprio per questo, a un certo punto, abbiamo avvertito la necessità di “far chiarezza” e, così – diciamo – è nata la Conferenza di Consenso per le Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative.

D. Nella Consensus del 2014 si è deciso di includere anche le malattie croniche: un salto importante. Cosa rappresenta questo per la Sanità?

DT. Potremmo dire che le malattie rare sono spesso patologie croniche e invalidanti con “in più” la rarità. Si tratta di condizioni complesse che richiedono una gestione multidisciplinare e multispecialistica: ragione per la quale si potrebbe ipotizzare che, se una metodologia o un approccio “funziona” con le malattie rare, verosimilmente si potrà applicare in modo efficace anche nell’ambito di malattie croniche e frequenti.

Nell’ambito della Consensus Conference, si è deciso di esplicitare che la Medicina Narrativa può essere utilizzata in ambito clinico-assistenziale sia per le malattie rare sia per le malattie cronico-degenerative. Un po’ perché non ci fossero “dubbi” in merito, un po’ per una sorta di “debito di lealtà” – se vogliamo – in quanto la Medicina Narrativa è nata proprio nel contesto di patologie croniche, nello specifico oncologiche.

D. La Medicina Narrativa si è spesso concentrata sui pazienti. Cosa si può fare, invece, per gli operatori?

DT. La Medicina Narrativa offre “ampi margini d’azione”, non solo per i pazienti e i familiari, ma anche per tutti coloro che, a diverso titolo, sono parte del team di cura. Come descritto nella terza raccomandazione delle Linee di indirizzo, la Medicina Narrativa può esser utilizzata in molteplici ambiti anche per gli operatori. Nello specifico, per migliorare il funzionamento del team di cura, così come la consapevolezza del ruolo professionale e del mondo emotivo degli stessi operatori sanitari e socio-sanitari, e – non ultimo – per la prevenzione del burn-out.

D. Quali sono gli sviluppi futuri che l’Istituto Superiore di Sanità desidera intraprendere rispetto alle attività di Medicina Narrativa?

DT. L’Istituto Superiore di Sanità, con il Centro Nazionale Malattie Rare, sta sviluppando diverse attività nell’ambito delle Health Humanities, che spaziano dalla formazione, alla ricerca, alla comunicazione alla diffusione della conoscenza delle malattie rare attraverso approcci, per noi inconsueti, come l’Alternanza Scuola-Lavoro e l’Arte. Relativamente a ciò, colgo l’occasione per condividere con i lettori che sono aperte le iscrizioni per la XII edizione del Concorso letterario, artistico e musicale Il Volo di Pegaso, concorso su cui abbiamo recentemente pubblicato un articolo su The Lancet Neurology.

Per quanto concerne nello specifico la Medicina Narrativa, sono lieta di anticiparvi un’importante novità.

A distanza di cinque anni dalla pubblicazione delle Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative, stiamo lanciando un nuovo progetto di ricerca, finalizzato a valutarne l’uso e i contesti applicativi (nell’ambito delle strutture sanitarie e delle associazioni di pazienti), anche alla luce della trasformazione digitale.

Il progetto, in continuità con quanto realizzato per le Linee di indirizzo (2015, ISS, Roma) e alla luce del Workshop Le narrazioni vestite di tecnologie. Come cambiano le storie e il loro uso nell’era della salute digitale (2018, ISS, Roma), prevede un’attenzione specifica per gli aspetti scientifici e comunicativi relativi alle malattie rare e al ruolo della Medicina Narrativa. La governance del progetto, articolata in un’ottica inclusiva, vedrà la partecipazione di molteplici soggetti, tra i quali – posso anticiparvi – Maria Giulia Marini della Fondazione ISTUD nell’Advisory Board.

Prossimamente pubblicheremo informazioni sul progetto e la Call for Partnership per selezionare Società Scientifiche, Ordini professionali e Associazioni come Collaborating Partners: mi preme, pertanto, invitare i lettori a monitorare il nostro sito web per seguirne gli sviluppi!

 

Alessandra Fiorencis

Laurea magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata nel campo dell’antropologia medica, ha condotto attività di formazione a docenti, ingegneri e medici operanti in contesti sia extra-europei che cosiddetti “multiculturali”. Ha partecipato a diversi seminari e conferenze, a livello nazionale e internazionale. Ha lavorato nel campo delle migrazioni e della child protection, focalizzandosi in particolare sulla documentazione delle torture e l’accesso alla protezione internazionale, svolgendo altresì attività di advocacy in ambito sanitario e di ricerca sull’accesso alle cure delle persone migranti irregolari affette da tubercolosi. Presso l’Area Sanità di Fondazione ISTUD si occupa di ricerca, scientific editing e medical writing.

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