L’impresa del caregiver

  Tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia o si racconta una storia su di essi.  Karen Blixen

 

Quale motivazione spinge in pieno lutto a narrare invece di chiudersi nel dolore della perdita, nel silenzio della riservatezza famigliare? Quale “urgenza” porta a condividere un fatto intimo e profondo, come la morte di una madre, con degli operatori, persone estranee al sistema famiglia? Queste domande mi sorprendono spingendomi a saperne di più mentre leggo e rileggo affascinata la breve storia di M., appena scomparsa, scritta dalla figlia per noi équipe delle cure palliative domiciliari.

Il progetto – realizzato nell’ambito del Master in Medicina Narrativa Applicata di ISTUD che ho frequentato – nasce così naturalmente, perché una forma di medicina narrativa spontanea è già in atto da parte dei caregivers individuati nelle situazioni prese in carico; si tratta solo di dare forma a queste narrazioni, classificarle, analizzarle e interpretarle con metodo.

I miei obiettivi erano, da una parte, tentare di rendere evidente quanto complesso, delicato e impegnativo fosse il ruolo di caregiver, specialmente se dedicato ad un famigliare nel suo ultimo tempo di vita, dall’altro creare l’occasione, attraverso le scritture, di sperimentare subito tutta la potenza e validità della medicina narrativa nell’operatività quotidiana, a beneficio sia degli operatori che dei caregivers.

LA FORMA-CONTENUTO. Come costruire un racconto che conceda alla persona la possibilità di dare un SENSO? Come rendere la scrittura uno strumento di consapevolezza a chi narra la propria dolorosa esperienza? Mi viene in aiuto il pattern narrativo de “Il ciclo dell’impresa” o “Viaggio dell’Eroe”; offrendo una traccia semi strutturata entro cui ripercorrere l’esperienza si può riconoscere il momento iniziale (la chiamata), il tempo dell’assistenza con ostacoli e aiuti, e la conclusione; al pari di un romanzo, di un mito o una fiaba, si disegna la trama coerente di quanto accaduto permettendone il superamento.

Le narrazioni raccolte sono state in tutto 12, tutte classificabili come illness, in quanto pongono l’esperienza di cura della malattia al centro; sono raccontate le emozioni, il vissuto, si individuano i propri punti deboli, ma anche quelli di forza; infatti, la lettura rivela una certa consapevolezza dei caregivers nel riconoscere ostacoli e risorse incontrati (sia personali che contestuali).

Si può desumere che assumersi il ruolo di caregiver è di per sé una scelta emotiva, sia essa legata ad un obbligo morale che a una spinta amorevole.

In tutte le narrazioni sono presenti le metafore che indicano la capacità di astrazione e di simbolismo dei care givers anche nel momento del lutto:

Una tegola ci colpì

Poche settimane di vita da spendere insieme

Siete entrate nella nostra vita in punta di piedi

…da lassù, la nonna ha cambiato un po’ le carte in tavola e mi ha mandato la mano buona.

Un altro aspetto delle scritture che è possibile analizzare è il clima emotivo che ben si rappresenta graficamente collocando le emozioni narrate sui petali del “fiore di Plutchik”. Le narrazioni evidenziano come le tre emozioni prevalenti siano la paura, l’amore e la fiducia.

La paura è collegata al timore di affrontare un’assistenza complessa, di fronte alla quale ci si sente per lo più incapaci, inadatti, fragili, paura di assistere alla sofferenza del proprio caro, di crollare emotivamente e fisicamente di fronte alla gravità della malattia e delle sue manifestazioni ultime. L’amore è il motore che spinge prevalentemente il caregiver ad assumere questo ruolo, a rispondere alla chiamata, anche se in alcune storie si affianca ad un “senso del dovere”. La fiducia emerge come sentimento correlato alla risorsa équipe cure palliative, presenza esperta, rassicurante, disponibile, definita come punto di riferimento e spazio di ascolto e comprensione.

Nelle narrazioni emerge un dato interessante: la parola RABBIA è totalmente assente. Da un’attenta analisi numerica delle parole ricorrenti è possibile ordinare i sostantivi più frequenti:

giorgi 2

I risultati per la mia azienda sanitaria

L’importanza della figura caregiver è sicuramente riconosciuta dall’equipe di cura, ma attraverso le narrazioni si evidenzia come essa sia un punto di forza reale e importante nella realizzazione del piano di assistenza individuale; un caregiver adeguato è garanzia di maggior qualità di cura, perché il malato avrà le giuste risposte ai bisogni emergenti; dalle narrazioni raccolte, si evince che i caregivers sono stati adeguati (proporzionalmente alle capacità/risorse individuali).

1° evidenza: nel servizio di cure palliative dell’Asl di Novara è promossa la centralità della figura del caregiver che, affiancato, sostenuto, addestrato, risulta capace di fare fronte alla complessità assistenziale della cura nel fine vita, a vantaggio del singolo operatore e dell’équipe di cura.

In tutte le narrazioni di caregivers direttamente coinvolti negli atti tecnici e azioni assistenziali/terapeutiche, si rileva giudizio positivo nei confronti dell’équipe di cure palliative.

2° evidenza: empatia, professionalità, fiducia sono le parole utilizzate nelle narrazioni per descrivere l’assistenza al domicilio ricevuta. Nel servizio di cure palliative dell’Asl di Novara l’operatore vive una condizione di benessere e gratificazione lavorativa attraverso la relazione di cura con le famiglie assistite. Tutto questo concorre nell’erogazione di standard assistenziali elevati.

3° evidenza: il servizio di cure palliative dell’Asl di Novara dimostra appropriatezza nelle cure erogate, concorrendo attivamente al contenimento della spesa sanitaria aziendale.

I risultati per me

Nel realizzare il progetto, ho incontrato subito grande disponibilità da parte delle famiglie, nonostante il lutto recentissimo, raccogliendo senza fatica dodici storie di malattia, scritte con generosità e sincera apertura. Più difficoltoso trovare un tempo lavorativo in cui condividere con il gruppo la restituzione delle narrazioni anche se, quando ci siamo trovati attorno ad un tavolo per ascoltare le storie, l’invito ad esprimere pensieri, suggestioni e intuizioni, evitando tentativi interpretativi e atteggiamenti giudicanti fra di noi e verso i caregivers, ha permesso al gruppo un momento di grande condivisione e ascolto reciproco. Il dialogo armonico del mio gruppo di lavoro è stato possibile proprio grazie alla medicina narrativa, che promuove la relazione autentica non solo con i pazienti ma anche fra noi operatori, favorendo un clima di lavoro più collaborativo.

Devo anche riconoscere la disponibilità dei miei colleghi nel contribuire concretamente al progetto, perché alcune storie sono state scritte dopo loro proposta alle famiglie in carico.

A distanza di pochi mesi dalla conclusone del master di Medicina Narrativa Applicata da cui è nato questo lavoro, nel mio gruppo stiamo pensando a progetti che includano questa disciplina, ed è vivo l’interesse ad approfondirla anche da parte dell’associazione di volontariato che sostiene le Cure Palliative nel territorio novarese, preziosa alleata che ha sostenuto la partecipazione mia e di Antonella, collega-complice preziosa,  al recentissimo Congresso Nazionale SIMeN.

La Medicina Narrativa attualmente è una presenza vivace e riconosciuta nel servizio di Cure Palliative dell’azienda a cui appartengo, prova ne è l’averla portata in aula, in qualità di docente, nel corso  ECM cod.3  “Cure Palliative: curare chi non può guarire”, circostanza che mi auguro possa allargare l’interesse alla Direzione Generale e al Settore Formazione e Risorse Umane.

Medicina Narrativa e sostenibilità

La medicina narrativa è un validissimo strumento integrativo per agire in modo sostenibile, perché abbiamo dimostrato che mette al centro la relazione.  Attraverso di essa, è possibile individuare meglio i bisogni della persona che partecipa attivamente al percorso di cura portando la propria multidimensionalità: caratteristiche individuali, ambiente, condizioni economiche, credenze ecc…l’aspetto più “responsabile”, relativo al garantire l’oggi anche nel domani, spetta a noi operatori, rispondendo ai bisogni meglio definiti con criteri di appropriatezza e proporzionalità delle cure.

Ma la medicina narrativa è sostenibile essa stessa. Questa disciplina, proprio perché è relazione sia nella forma che nel contenuto, è integrativa per sua natura e non utilizza risorse esauribili, se non quelle della dimensione umana.

Essere in relazione, ricavare un tempo d’ascolto, costruire alleanza, comprendere e rispettare la persona che abbiamo di fronte non costa proprio nulla e non si esaurisce nel tempo, anzi, si alimenta nel praticarla.

Più ecologico ed economico di così ?!

 

Autrice: Caterina De Giorgi, ex partecipante al Master in Medicina Narrativa Applicata

 

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Maria Grazia Dandee

    Stupenda narrazione. Grazie per questo semplice e prezioso dono

    1. Giorgio Bardellini

      Buongiorno Caterina, sono Giorgio Bardellini, medico palliativista. Ho fatto anch’io il Master in MN, ma non ho ancora sviluppato nessuna applicazione. Sarei interessato/disponibile a condividere con te un lavoro su questo argomento. In particolare m’interessa il vissuto del caregiver in relazione alla consapevolezza del paziente.
      Possiamo anche sentirci telefonicamente, per comodità, e se hai piacere.

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