
A vent’anni dalla morte di Cicely Saunders, avvenuta come lei desiderava nel suo St. Christopher’s Hospice a Londra il 14 luglio 2005, una domanda è lecita: che cosa, della sua eredità materiale e spirituale, è tuttora attuale nel vasto campo delle Cure Palliative, tanto che la si riconosce nel mondo intero come la Fondatrice del moderno Movimento Hospice?
Parlare di Cicely Saunders – prima infermiera, poi assistente sociale e infine medico – è per me un onore e un impegno: fin da quando la “incontrai” nel 2008, ad un corso per volontari in Hospice, sentii un’attrazione profonda per la sua figura carismatica e visionaria, eppure così umana, reale e autentica… come se i suoi passi ben tracciati, ma ancora poco conosciuti in Italia, chiedessero con forza di essere narrati per non essere dimenticati o sepolti nel passato. Ciò che è autentico, di fatto, resta sempre intrinsecamente attuale e con un messaggio prezioso da declinare in ogni epoca.
Ecco, allora, in sinergia con l’Associazione “Sul Sentiero di Cicely” per la promozione culturale e sociale delle Cure Palliative, il piacere di evidenziare alcuni tratti del suo cammino e alcuni aspetti della sua personalità che possano parlare ancora oggi a chi lavora nel campo della Cura, ma non solo: a partire dai giovani delle scuole fino ai più anziani, il suo messaggio s’irradia come la luce nitida di un faro a rischiarare il buio della malattia e della morte, tracciando una rotta che può condurre in porto anche in mezzo alle onde tempestose.
Cicely era, innanzi tutto, una donna capace di trasformare difficoltà e ostacoli in opportunità di crescita e di cambiamento: quante volte in famiglia, a scuola, nei problemi di salute o sul lavoro seppe imparare dall’esperienza, senza paura di andare contro il “main stream”? Determinata, talvolta un po’ cocciuta, ma con quell’habitus affascinante di umiltà, onestà e consapevolezza che la caratterizzarono fino alla fine, chiedeva sempre se “avevano fatto abbastanza” per soddisfare i bisogni di chi non poteva più guarire. Nonostante i risultati straordinari del suo lavoro e del suo impegno, sentiva che ogni punto d’arrivo era una nuova partenza e, con una sana dose di realismo e fiducia, si rimetteva in cammino.
Anche i suoi ultimi anni da malata di cancro al seno furono un apprendimento continuo, per niente facile, come per tutti coloro che aveva nel tempo accompagnato: autenticamente doloroso, come racconta lei stessa, ma al contempo lenito dal balsamo delle numerose relazioni di amicizia e affetto che aveva coltivato, dedicandovi tempo di qualità.
La veridicità di tutto ciò mi venne confermata in modo sorprendente quando ebbi il privilegio di incontrare “per caso” su un social il fratello minore di Cicely, Christopher (già novantenne!), e di dialogare a lungo con lui, prima via mail e poi in tre incontri dal vivo nella sua casetta di Cambridge: accogliere la testimonianza affettuosa e commovente di un familiare così stretto, che l’aiutò concretamente a edificare il suo Hospice e l’agevolò, tramite i suoi contatti, ad intraprendere i primi viaggi oltreoceano, si è rivelato il dono di toccare con mano, una volta di più, l’autenticità di quanto intuito, letto o ascoltato su di lei… grazie, amico caro!
Cicely è convincente ancora oggi, allora, proprio perché sperimentò sulla sua pelle ciò in cui credeva e lo testimoniò con il suo “esserci” fiduciosa nel tempo della prova: non fu esente, cioè, da quel tipo di “dolore totale” – fisico, emotivo, spirituale e sociale – che richiedeva una “cura totale”, plasmata sui bisogni personali di ogni paziente. “L’abbiamo curata bene, e lei ci ha detto che l’abbiamo curata bene”, testimoniò Barbara Monroe, allora Chief Executive al St. Christopher’s.
Senza dubbio, la sua credibilità passa anche dal suo essere visionaria, ma insieme concreta e realista: il sogno che iniziò a delinearsi nel 1948 grazie agli intensi colloqui spirituali con David Tasma – il primo “paziente fondatore” dell’Hospice – si arricchì di tasselli intrisi di umanità e creatività negli incontri con altre “pietre miliari” di questa eccezionale Fondazione, come Antoni nel 1960, fino a riuscire in un’impresa mai realizzata prima.
Il St Christopher’s Hospice fu il frutto di un lavoro di squadra non privo di scivoloni, ma intriso di convinzione, di entusiasmo e di fede in un’ideale grandioso, seppur misterioso.
Che dire poi di come, anche oggi, ci si possa e debba ispirare a lei nel porre al centro i pazienti con la loro storia e nell’ascolto attento che offriva per creare un ambiente familiare e sereno come una casa, dove poter riposare tranquilli?
E poi ancora: non c’erano solo tenerezza e accoglienza nel suo Prontuario di Cura, ma anche tanta competenza, abilità scientifiche, sperimentazioni sui farmaci, ricerca e formazione continua, al letto dei pazienti e nei laboratori; perché non c’è cuore senza mente, né mente senza cuore nell’assistenza che voleva e pretendeva essere la caratteristica peculiare dell’Hospice. Sosteneva, infatti, che chi lavorava lì doveva farlo con amore, cosa più che mai vera anche ai giorni nostri.
A sua volta lavoratrice infaticabile, amante dei viaggi, conferenziera e scrittrice, amava l’arte, la poesia, la musica e i quadri colorati di suo marito Marian, perché convinta che fossero strumenti potenti come farmaci nell’alleviare il dolore e nel rasserenare i cuori: la forza rigenerante dell’Arteterapia e delle Medical Humanities, oggi scientificamente provata, trovò già in lei una pioniera e una testimone credibile.
Scienziata eccezionale e donna di grande cultura, infine, sapeva “esserci” per chiunque avesse bisogno di lei, senza pregiudizi e senza giudizi, condividendo lacrime, ma anche risate, momenti di gioia e torte fatte in casa… Piccole, grandi “briciole” di autenticità, quando non rimane che l’essenziale.
Cicely fu così la prima vera Professionista a dedicare l’intera carriera lavorativa ai morenti, mentre i medici per prassi li trascuravano; certamente lo fece sull’onda di esempi del passato, che riconobbe e contestualizzò, ma con quella sua unicità e con quella vitalità contagiosa che, ancora oggi, ci interroga e ci stimola. Grazie, Cicely!