L’approccio alla Metalingua Semantico Naturale: intervista con il prof. Bert Peeters

Abbiamo realizzato un’interessante intervista riguardante la Metalingua Semantico Naturale assieme ad uno dei suoi principali promotori e ricercatori, Bert Peeters, professore associato all’Australian National University. Peeters è inoltre professore associato aggiunto alla Griffith University, Brisbane. Il suo principale interesse di ricerca risiede nella linguistica francese, la comunicazione interculturale e i valori del linguaggio e culturali. Le sue pubblicazioni includono: Diachronie, phonologie, et linguistique fonctionnelle (1992), Les primitifs sémantiques (ed., 1993), The lexicon-encyclopedia interface (ed., 2000), Semantic primes and universal grammar (ed., 2006), Tu ou vous: l’embarras du choix (ed. with N. Ramière, 2009), Cross-culturally speaking, speaking cross-culturally (ed. with K. Mullan and C. Béal, 2013), and Language and cultural values: adventures in applied ethnolinguistics (ed., 2015).

Come linguista lei ha utilizzato il termine “Metalingua Naturale Semantico” in diverse pubblicazioni. Ma cosa significa esattamente?

La Metalingua semantica naturale – o NSM (cioè Natural Semantic Metalanguage), com’è chiamata da quelli che la utilizzano o ne hanno almeno sentito parlare – è un attrezzo o uno strumento costruito a base di una lingua (sia l’inglese, sia qualsiasi altra lingua) usato per parlare delle lingue, ed è per questo che parliamo di una meta-lingua. Ogni volta che abbiamo bisogno di parlare del linguaggio o delle proprietà del linguaggio, o quando vogliamo dire qualcosa riguardante una o più lingue, non abbiamo altra scelta che farlo utilizzando una lingua. Quest’ultimo viene poi indicato come una metalingua, e il primo potrebbe essere chiamato il linguaggio (o la lingua) oggetto, l’oggetto della metalingua.

La Metalingua Semantico Naturale è usata con lo scopo di “fare semantica”, come inteso dai linguisti, con lo scopo di descrivere il significato: il significato delle parole, il significato dei segmenti di parola, il significato delle frasi, il significato d’intere sentenze. Viene inoltre usata per descrivere modi di pensare che sono culturalmente specifici, i cosiddetti “scripts” culturali. Non voglio approfondire oltre, ma mi limiterò ad un esempio di significato di parola. Dato che parlo con specialisti medici, prenderò in considerazione il termine trauma. Possiede più di un solo significato, ma quello sul quale ho intenzione di concentrarmi è definito dal dizionario Garzanti come “forte alterazione dello stato psichico di un soggetto dovuta alla sua incapacità di reagire a fatti o esperienze sconvolgenti, estremamente dolorosi”. Questo non è il modo in cui la NSM vi si approccia. La definizione della NSM (o esplicazione, comunque la si chiami, purché s’intenda di rendere le cose esplicite) va in questa direzione: [1]

 

trauma1

 

Questo sì che è un bel boccone…

Sì, lo è – e per una buona ragione. Diamo un’altra occhiata alla definizione del Garzanti. Ѐ corta, ma è anche chiara? Probabilmente lo è per gli specialisti medici. Ma guardiamola più da vicino. Quello che questo dizionario ha fatto è rimpiazzare una parola complessa – trauma – da una stringa di altre parole (forte, alterazione, stato, psichico, soggetto, dovuto a, incapacità, reagire, fatto, esperienza, sconvolgente, estremamente, doloroso) connesse tra loro da qualche “piccola parola” (di, lo, un, la, suo, a, o).  Le parole complesse non sono necessariamente più chiare delle parole che sono state definite. L’esplicazione della NSM è molto differente: è lunga, e a condizione di leggere attraverso con attenzione, è semplice da comprendere. Leggendola ti fai un’idea di cosa sia un trauma e cosa si possa provare, qualcosa che non si può dire rispetto la definizione fornita dal Garzanti. Tutto ciò mi porta all’aggettivo naturale di “Metalingua semantico naturale”: le definizioni della NSM, sono formulate in una lingua “naturale”, che esiste naturalmente, in opposizione a quelle artificiali, tecniche o esoteriche.

A differenza dei metalinguaggi, che in linguistica sono numerosi, la NSM è naturale anche in una maniera differente. E’ tanto naturale quanto la lingua su cui è basata. Schiva tutti i generi di formalismo e si affida completamente su di un lessico esistente (i metalinguaggi, d’altra parte, utilizzano simboli, abbreviazioni o concetti creati ex nihilo, o utilizzano un lessico autentico in maniere idiosincratiche) così come su di una grammatica esistente (mentre i metalinguaggi non hanno proprio alcuna grammatica, o usano la logica). Il lessico e la grammatica della NSM sono rigorosamente definiti, sulle basi di ricerche empiriche su dozzine di linguaggi non correlati tipologicamente e geneticamente, che si allungano indietro di decenni. Gli unici elementi lessicali e grammaticali utilizzati sono quelli che, fino a prova contraria, sono veramente universali, esprimibili in tutte le lingue del mondo – fatta eccezione per circostanze veramente particolari sulle quali dirò qualcosa di più dopo. Questo significa che la NSM possiede tante “vesti” quante sono le lingue nel mondo, e tutte queste forme sono completamente traducibili tra loro, senza distorsioni semantiche. Quello che può essere detto in una versione può essere detto in una qualsiasi delle altre, e i fruitori finali capiranno esattamente la stessa cosa, a dispetto di quale sia la lingua attuale che è stata usata. Usando termini più tecnici, tutte le “vesti” della NSM sono pensate per essere completamente isomorfe.

Per ragioni pratiche, la lingua più utilizzata per formulare esplicazioni in NSM è l’inglese, ma numerose versioni strettamente isomorfiche sono state sviluppate con le risorse di altre lingue, incluse quelle che sono usate dai praticanti della medicina narrativa.  Le parole e le frasi utilizzate in NSM si chiamano primes. Al conteggio attuale, sulle basi della ricerca empirica a cui mi riferivo, il numero di primes sta a 65: 65 parole o frasi che sono traducibili in tutte le lingue del mondo, e che sono semanticamente semplici – che è il motivo per cui sono chiamate primes. Queste 65 parole o frasi non possono essere definiti oltre, a meno che non permettiamo che la definizione diventi più tecnica della parola o frase che stiamo cercando di definire, il che va contro il vero spirito di definizione. I primes sono le fondamenta che sostengono tutto il resto: tutte le parole e le frasi semanticamente complesse possono essere definite – e devono essere definite – in termini di primes semantici e delle loro combinazioni universali (la loro grammatica). L’unica concessione fatta è l’occasionale affidamento, non sui primes ma su cosiddette molecole semantiche, che sono totalmente definibili in termini di altre molecole e/o primes. Questa concessione è stata fatta per prevenire che le esplicazioni diventino ingombranti e non interpretabili. Ma credo che stia diventando io stesso non interpretabile. Sbaglio?

 

Non del tutto. Quale potrebbe essere un esempio di una definizione contenente queste molecole?

Rimaniamo tra le parole mediche e diamo un’occhiata al termine temperatura – così come viene usato in temperatura corporea. L’esplicazione che segue si basa sulla parola temperatura usata in frasi come “Qual è la temperatura?” e “La temperatura sta calando velocemente”. [2]

body temperature

Vi sono due molecole in questa esplicazione, identificate dalla lettera “m” inclusa tra due parentesi quadre. Una è la parola caldo, l’altra è la parola numero. Queste parole non sono semanticamente semplici, possono essere esplicate oltre, qualcosa che non ho intenzione di fare qui. [3] Caldo e numero sono usate nell’esplicazione per temperatura (del corpo) poiché probabilmente è impossibile inserire l’esplicazione per questi due termini all’interno dell’esplicazione di temperatura (del corpo) senza rendere il tutto difficilmente intellegibile. Le molecole non sono create o posizionate a caso…

 

Era esattamente quello che stavo per domandare. Qual è il processo di scoperta dei primes e delle molecole?

Vi mostrerò prima di tutto l’attuale tavola dei primes. Questa tavola è stata estratta da un paper pubblica da Anna Wierzbicka nel 2017. [4]

peeters

Nella tavola 1, le tilde (~) sono utilizzate per connettere tra loro esponenti che appartengono ad uno stesso prime. Questi esponenti sono conosciuti come allolexes. In ogni caso, dire much o many dipende dal numero (singolare o plurale) della parola che segue. Non tutti gli allolexes sono esplicitamente identificati nella tavola: I, per esempio, ha per allolex ME (in italiano, IO ha due allolexes, MI e ME). Molte delle parole e delle frasi nella tavola appaiono come polisemiche, hanno più di un significato. Questo è certamente il caso se le parole e le frasi sono considerate come parole e frasi genuinamente inglesi. Ma non lo sono: quello che si vede nella tavola sono gli esponenti inglesi (o lessicalizzazioni) dei primes semantici. Gli stessi primes possiedono soltanto un significato indivisibile, e sono usati nelle esplicazioni della NSM soltanto in quel significato. Abbiamo dei percorsi per chiarire quali significati sono “primitivi”, appartenenti ai primes, e quali no – ma non credo che sia il caso d’illustrarlo in questo articolo.

Desideravate sapere di più riguardo al processo di scoperta dei primes e delle molecole. Per i primes, il processo è andato avanti per parecchi decenni. Non si tratta di un processo scientifico, se con “processo scientifico” s’intende un processo che è delineato dal principio e quindi seguito rigorosamente sino alla fine. Invece, i ricercatori della NSM hanno fatto affidamento – non vi è davvero altro modo – sul tentativo e l’errore. Abbiamo sempre cercato di trovare i concetti più semplici, che poi abbiamo testato confrontandoli con altre lingue, per vedere se questi concetti esistevano anche in quelle lingue, se erano lessicalizzati in quelle lingue come lo erano nelle lingue che già avevamo controllato. Dopo anni, abbiamo abbandonato alcuni presunti primes, perché abbiamo scoperto che dopotutto potevano essere definiti in termini più semplici; ma oltretutto, ne abbiamo aggiunti ancora molti (abbiamo cominciato con circa una dozzina…), che abbiamo scoperto essere necessari per definire – o esplicitare – concetti più complessi. Abbiamo sempre controllato più volte tra le varie lingue per vedere se i nuovi primes aggiunti fossero lessicalizzati anche lì. Con grande sollievo abbiamo sovente trovato che lo erano, e non siamo stati costretti troppo spesso ad abbandonare un prime che pensavamo ci servisse, ma che non era lessicalizzato nella lingua X o Y.

Per le molecole semantiche il processo è differente. Qui, abbiamo alcuni criteri che possiamo applicare, come l’utilità (non vogliamo posizionare una molecola a meno che abbiamo veramente bisogno d’usarla in un certo numero d’occasioni), la frequenza (non vogliamo posizionare una molecola che ricorre difficilmente nella lingua), e rilevanza culturale (non vogliamo posizionare una molecola con cui gli utenti linguistici non possano relazionarcisi). L’ultimo punto decisivo della cruciale differenza tra primes e molecole: le seconde non sono necessariamente universali, ma – come ho detto prima – devono prestarsi a definizioni in termini che sono in sostanza universali.

 

Come professore di linguistica, come immagini l’uso del NSM nella sanità?

Non mi aspetto che la NSM come tale venga utilizzato in sanità. E’ troppo limitato per questo scopo. Per un’applicazione pratica, necessita alcuni aggiustamenti. La cosa più importante è che questi aggiustamenti vengano realizzati responsabilmente, e non in qualche sorta di maniera arbitraria. E’ con l’idea di un miglioramento responsabile con lo scopo di un’applicazione pratica in testa che i ricercatori della NSM, recentemente, se ne sono usciti con l’idea del Minimal English, che è un sottoprodotto della NSM. E’ largamente derivato da quest’ultimo, ma permette che siano fatte alcune concessioni, tutte nell’interesse dell’usabilità nel mondo reale. Differenti applicazioni pratiche potrebbero richiedere differenti concessioni, il che significa che il Minimal English non è stampato nel ferro. Inoltre, proprio come la NSM, possiede molte vesti, c’è spazio non solo per un Minimal English, ma anche per un italiano minimale, uno spagnolo minimale, un cinese minimale, ecc. Le diverse lingue minimali non sono rigorosamente traducibili tra loro come le varie vesti isomorfe della NSM, ma l’idea è comunque quella di preservare la traducibilità il più possibile.  Abbiamo trasformato la NSM in un Minimal X o Minimal Y, non l’abbiamo rovinato. Credo che voi abbiate  intervistato Cliff Goddard qualche tempo fa; come editore di un imminente volume sul Minimal English, [5] è più vicino all’argomento di me.

 

Non dimentichiamoci però che tu sei il primo autore di un articolo, [6] che verrà pubblicato proprio in quel volume, che riassume l’incontro tra medicina narrativa e Minimal English…

Lo sono? Caspita, me n’ero scordato. Sto solo scherzando… Hai praticamente del tutto ragione. Ho recentemente lavorato con Fondazione ISTUD nello sviluppo di una trama “universale” di malattia. L’idea era quella di guidare i pazienti nel parlare della loro malattia in un percorso semi-strutturato, così che tutti potessero concentrarsi sullo stesso genere di cose: come si sentivano prima della malattia, cosa accadde dopo, cos’hanno fatto, cosa è stato loro detto, come si sono sentiti, cosa sapevano, come ha cambiato le loro vite, cosa stanno facendo/provando ora, quali sono le loro speranze per il futuro, cosa provano quando raccontano o scrivono la loro storia. I pazienti naturalmente non usano la NSM o il Minimal English (o Italian, ecc.), ma completano tutti gli stessi suggerimenti, qualunque sia la lingua in cui essi sono formulati. Questo permette ai ricercatori di comparare più facilmente i feedback che ricevono dai pazienti. Inoltre, suggerimenti semplici sono più facili da completare di quelli formulati in gergo medico. E nell’elaborazione della traccia abbiamo usato il Minimal English piuttosto che la NSM. Abbiamo permesso alcune parole che sono assolutamente essenziali nelle conversazioni sanitarie, come dottore/infermiere/specialista – ma abbiamo comunque evitato parole come ospedale o pratica medica. Inoltre, ci siamo presi alcune libertà con la grammatica del NSM.

 

Quali sono le tue aspettative personali riguardanti questo lavoro?

Bene, credo di aver già risposto a questa domanda: l’uso di una trama “universale” di malattia, che possa essere tradotta in molte altre lingue con la minima distorsione (per una completa assenza di distorsione, avremmo dovuto usare la NSM, e non sarebbe stato facile), permette un paragone tra i feedback dei pazienti attraverso le lingue, e facilita inoltre le interazioni medico-paziente, dato che i suggerimenti sono più chiari e semplici da capire se sono formulati in maniera semplice e vicina all’universale. L’uso di una trama del genere sarà inevitabilmente benefico in termini di qualità della cura fornita. Naturalmente, sappiamo tutti che l’approccio evidence-based in sanità è insostituibile; ma non è l’unico approccio e non dovrebbe essere utilizzato in maniera esclusiva. In sanità così come in qualsiasi altro contesto, c’è spazio per una pluralità di approcci, tutti che possono contribuire ad una buona qualità nel risultato.

 

Questa è quasi una domanda “bizzarra” per concludere. Credi che le parole decomposte usate dal NSM possano avere effetti terapeutici, dato che le parole usate sono più semplici e tornano indietro all’essenziale?

Hai decisamente conservato la domanda più difficile per il finale… Quello che posso dire, come praticante della NSM che possiede inoltre altri interessi nell’area delle scienze linguistiche, è che, per me, formulare un’esplicazione in NSM spesso rimane un compito spaventoso e intimidatorio. Credo si tratti di qualcosa che non condivido con i colleghi che hanno votato le loro intere carriere alla ricerca della NSM. Per essere completamente onesto, sebbene Goddard si sia riferito a me in uno scritto come una “vecchia mano” (intendendo, presumo, il fatto che io conosca i trucchi del mestiere), spesso ritengo di formulare esplicazioni più a lungo possibile, però, quando finalmente faccio un primo tentativo, mi appassiono e voglio continuare a provare e provare… e provare, finché credo di esserci riuscito. Il piacere intellettuale che io derivo dal proporre le mie definizioni ad altri ricercatori della NSM, che le accetteranno a tutto cuore, o le faranno a pezzi, o qualsiasi cosa vi sia nel mezzo, è immenso. Quando un’esplicazione è criticata, per non dire demolita, dai miei colleghi, è naturalmente sempre un momento agrodolce: agro, perché sembra che i miei sforzi non abbiano portato a nulla, dolce perché so che dei progressi sono stati fatti in ogni caso e ulteriori miglioramenti sono dietro l’angolo. In questo senso, sì, si può dire che “fare NSM” abbia effetti terapeutici. Sono costantemente consapevole del fatto che le definizioni in uso (formulate senza alcun riferimento alla NSM) sono spesso insoddisfacenti, per varie ragioni, e il fatto che io possa tentare di fare di meglio e che abbia uno strumento che mi permette di farlo è un incentivo molto potente ad andare avanti.

 

  1. Cliff Goddard & Anna Wierzbicka, Words and meanings: lexical semantics across domains, languages, and cultures. Oxford, Oxford University Press, 2014, p. 215.
  2. Cliff Goddard & Anna Wierzbicka, Words and meanings: lexical semantics across domains, languages, and cultures. Oxford, Oxford University Press, 2014, p. 227.
  3. Cliff Goddard & Anna Wierzbicka, NSM analyses of the semantics of physical qualities: sweet, hot, hard, heavy, rough, sharp in cross-linguistic perspective, Studies in Language 31(4), 2007, pp. 765-800; Cliff Goddard, The conceptual semantics of numbers and counting: an NSM analysis, Functions of Language 16(2), 2009, pp. 193-224.
  4. Anna Wierzbicka, Terms of address in European languages: A study in cross-linguistic semantics and pragmatics. In Keith Allan, Alessandro Capone & Istvan Kecskes (Eds.), Pragmemes and theories of language use, Berlin, Springer, 2017, pp. 209-238.
  5. Cliff Goddard (ed.), Minimal English for a global world: Improved communication using fewer words. London: Palgrave Macmillan.
  6. Bert Peeters & Maria Giulia Marini, Narrative medicine across languages and cultures: using Minimal English for increased comparability of patients’ narratives. In Cliff Goddard (ed.), Minimal English: Improved communication using fewer words (note 5).

 

 

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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