La scoperta dell’applicazione universale della Metalingua Semantica Naturale nella Medicina Narrativa

Mi capita di sedere a tavole rotonde, riunioni, aule di formazione, gruppi di studio interdisciplinari dove sono presenti le tradizionali competenze delle Humanitas per la Salute e della Medicina Narrativa: medici, infermieri, antropologi, psicologi, esperti in scienze della comunicazione, associazioni di pazienti e ancora tante altre professioni di aiuto. Mancano gli esperti della parola a questi incontri, i linguisti. La linguistica in parte è appresa nel corso di laurea in lettere, lingue, filosofia, antropologia, psicologia, ma spesso si tratta di un esame difficile, poco collegato al resto del programma di studi. Insomma, vive un po’ lo stereotipo che chi sia un linguista, ossia voglia decifrare i segreti della struttura del nostro linguaggio, sia a volte uno poco concreto, con un’attitudine un po’ “nerd”. Nulla di tutto ciò. C’è una profonda tensione all’esplorazione del mondo del pensiero, delle azioni umane proprio a seguito dello studio della struttura delle parole, da come sono state usate nei secoli, a come si sono costruiti i dizionari con le loro distorsioni, all’importanza della comunicazione e della comprensione del significato, sia nella lingua propria che in un’altra lingua.

In Fondazione ISTUD, pur amanti della letteratura, abbiamo scelto l’approccio linguistico per raccogliere le narrazioni e con questo abbiamo costruito delle tracce molto libere che i pazienti, le persone con disabilità, i familiari e i professionisti di cura scrivono. Chiediamo, se possibile, di scrivere a mano, usando il digitale in misura inferiore, perché sappiamo che quest’ultimo attiva zone cerebrali più primitive rispetto a quelle evocate dalla scrittura a mano.

Nella Medicina Narrativa, dialogando di metodi qualitativi, il mondo, grossolanamente, è divisibile in due parti: una prima composta dai “senza traccia”, coloro che scrivono su foglio bianco, come neve fresca e mai battuta, e percorrono il loro “fuori pista” in modo acrobatico e faticoso. I secondi sono coloro che scrivono “nelle tracce”, in un percorso le cui parole sono delimitate da altre parole che conducono la pista all’arrivo, in modo apparentemente meno creativo, probabilmente meno eccentrico, ma più ibero e spedito.  La pista si srotola da sola con le parole evocative della traccia, da come si era prima della malattia, a come si vive la malattia, fino alla riflessione sul futuro, usando i termini della Metalingua Semantica Naturale [1]. La notizia con cui poi ci si confronta, oramai grazie alle migliaia di narrazioni raccolte attraverso la versione originale della traccia, con le sue minime modifiche a seconda del contesto, è che emerge l’eccentricità di ogni singola persona. Sono proprio queste parole universali nel significato, che costituiscono la metalingua semantica naturale, tradotte in inglese, italiano, portoghese, francese, spagnolo e ora anche russo, a risvegliare il narratore nel paziente, familiare, altro professionista d’aiuto, a stimolare non solo la cronaca ma anche l’introspezione sui suoi desideri, sentimenti, e fonti di piacere.

Le parole della traccia sono semplici e devono essere semplici… Io prima della malattia… Poi, qualcosa è cambiato… Allora per sapere ho fatto… Oggi… Io mi sento… Il mio corpo… Per domani vorrei… sono solo alcuni degli universali usati nel copione, quegli atomi di significato che vanno a comporre molecole più complesse, le parole strutturate. Abbiamo dato un’interferenza alla storia scegliendo il fattore-Kronos, e infatti la traccia segue diacronicamente lo Ieri, l’Oggi e il Domani. Però c’è anche Kairos presente, lo spazio dell’opportunità del cambiamento nel qui e ora, non nella nostalgia del passato, (di cui uno se ha voglia è libero di scrivere ma non di rimanerci “irretito”), ma nell’oggi, perché il tempo che sappiamo ci è dato è limitato, e dunque il “cambiare” (altra parola universale) e il muoversi (pure) sono dati dal ritmo dello scrivere e di quel “Io vorrei”.

Più andiamo avanti a studiare e esplorare la Medicina Narrativa con le tracce, più ci “divertiamo” a cambiare le parole a seconda del contesto: Il cibo eraIL cibo è …un semi universale (near universal) inserito in Healthy, un progetto europeo per promuovere stili di vita più salutari. Tramite la stessa traccia, tradotta in italiano, romeno, bulgaro, turco e spagnolo, abbiamo raccolto le storie di persone con obesità nei relativi paesi e, sulla base dei loro bisogni, difficoltà e desideri, abbiamo strutturato un sito di risorse per promuovere uno stile di vita sano. Cambiando campo d’applicazione, dietro a quella condizione che etichettiamo come “depressione”, ci muoviamo tra il voler vivere e il voler morire, Io voglio…, Non voglio… Siamo riusciti  a far sì che le persone “depresse” prendessero una penna, dando la pressione necessaria per fare uscire i propri pensieri sul foglio. Le persone molto depresse ci hanno lasciato cosa significhi convivere con questa condizione non solo dopo – e questa è impresa più facile – ma durante il tempo triste.

Uno studio dell’applicazione del Natural Semantic Metalanguage e delle Lingue Minime (composte da universali e semi universali) nelle persone con autismo è stato pubblicato, e l’ho riportato come caso [2]: la semplicità delle parole e la loro inconfondibilità aiuta coloro che soffrono di spettro autistico che prendono ogni parola alla lettera. Poiché stiamo parlando di lingua minima e non equivocabile, questa lingua tranquillizza la loro psiche, in un mondo troppo confuso e indecifrabile.

E ancora, far scrivere sempre grazie a questi universali, che sono correlati al modo di pensare, provare emozioni, conoscere, fare di noi esseri umani, nel pieno rispetto non solo nel costrutto antropologico, ma delle diversità delle persone: hanno scritto bambini, ragazzi, adulti affetti da disabilità mentale, quelli che vengono denominati “portatori di ritardo mentale” e che a scuola hanno bisogno dell’insegnante di sostegno.  Attraverso le tracce vengono rivelate le altre intelligenze, rispetto a quelle generalmente computate dal Quoziente Intellettivo, quella linguistica e quella matematica.  È un fiorire di intelligenze multiple [3], quella Visiva, Cinestesica, Musicale, Interpersonale, Introspettiva, Naturale e Esistenziale, che emerge dai racconti di queste persone con qualità “altre” rispetto ai normodotati. A stupirci poi è la monotonia con cui viene considerata l’intellingenza nella normalità: avete mai provato a fare i test sul quoziente intellettivo? È quasi tutto imperniato sul mondo logico matematico: il resto non interessa.

Tornando alle narrazioni raccolte con la metalingua semantica naturale, è quasi un paradosso, ma grazie a un semplice schema, si abbattono gli schemi per far risaltare l’originalità dell’individuo in modo essenziale, al di là dei veli del “pensiero autobiografico” che se non “risvegliato” con le parole giuste, continua a portare avanti l’immagine del falso sé e dunque dei propri falsi desideri.

Il copione che a un certo punto propone Le cose che voglio fare… evoca un senso di movimento, di rivoluzione rispetto al caos che la malattia ha creato. In un progetto con emicrania sappiamo che ci sono problemi fisici con il “vedere” e il “sentire”, due altri universali: li terremo sott’occhio e in ascolto per capire, al di là dell’universalità delle azioni, cosa e come ciascun sente e vede durante un attacco di emicrania.

Bert Peeters, Professore Associato di Linguistica alla Australian National University c spiega l’importanza non solo di sapere usare gli atomi delle parole, ma di imparare a decostruire le parole complesse e ridurle fino ai termini universali: cuore, anima, mente ridotti ai numeri primi, non divisibili che per sé stessi, nelle varie lingue del mondo. Impressionante la diversità tra quello che semplicemente veicoleremmo usando la lingua franca inglese come “soul” anima, in Psiche nella Bibbia di Re Giacomo, in giapponese Tamashi,: nella  prima il significato decostruito sta a indicare qualcosa che non si può vedere, che è dentro il corpo, che esce dal corpo al momento del morire…. E poi seguiranno i giudizi a seconda di quello che ha fatto la persona in vita. Nella seconda decostruzione è qualcosa che non si vede, è dappertutto, si muove, nelle persone, negli animali, negli alberi, nella penna con cui ho scritto la prima versione di questo articolo a mano e nella tastiera con cui sto scrivendo la seconda stesura. Ho scritto a mano, perché dato che abbiamo detto che si dovrebbero attivare zone più evolute del cervello usando il segno a mano, ho deciso di abbandonare per la prima riflessione la tastiera del computer. “La penna era animata, aveva una cosa dentro che non si poteva vedere che la faceva viva”: e questo usando le 65 parole universali.

Vi consiglio di studiare le 65 parole meravigliose a memoria [4], di provare a giocarci e di vedere quanto sono presenti in quei linguaggi dove si deve arrivare dritto all’essenza… Ho visto cose che (voi umani– semiuniversali)… Tempo di morire, sono tutti  termini universali , tratti dall’ epico monologo di Rutger Hauer in Blade Runner, il replicante robot che salva il cacciatore di taglie umano (?).

È con queste parole che si costruisce anche l’epica, e la poesia, e questo ci può stupire, perché forse, prima di affrontare la linguistica, pensavamo fosse solo un insieme di operazione di assemblaggio di termini in modo matematico e combinatorio.

E poi ci sono parole specifiche del contesto culturale di Roy Batty, frammiste agli universali volgiamo ricordare assieme a Rutger Hauer:

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:

navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,

e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser,

E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,

come lacrime nella pioggia.

Tempo di morire

A noi la leggerezza di scoprire cosa è di Roy e del suo mondo di fantascienza e cosa invece è universale per tutti quanti. La bellezza del monologo e delle scene lascia senza respiro, come la magnificenza di queste 65 parole  della Metalingua Semantica Naturale  e delle infinite possibilità di associazione è sublime: ben-essere e mal-essere, lo si voglia o no sono tutti universali.

[1] Goddard, Cliff; Wierzbicka, Anna, eds. (2002). Meaning and Universal Grammar: Theory and Empirical Findings. John Benjamins.

[2] Marini Mg, Languages of care in Narrative Medicine, Springer 2019

[3] Howard Gardner, The frame of mind: multiple intelligences, 1983

[4] https://en.wikipedia.org/wiki/Semantic_primes

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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