La necessità della leggerezza dei fiori

Dear Prudence, won’t you come out to play
Dear Prudence, greet the brand new day

The sun is up, the sky is blue
It’s beautiful and so are you
Dear Prudence won’t you come out to play

Dear Prudence open up your eyes
Dear Prudence see the sunny skies

The wind is low the birds will sing
That you are part of everything
Dear Prudence won’t you open up your eyes?

Look around round
Look around round round
Look around

Dear Prudence let me see you smile
Dear Prudence like a little child
The clouds will be a daisy chain
So let me see you smile…

John Lennon 

Sento il bisogno di chiamare la gente a giocare dopo tutto quello che abbiamo passato. Qualunque sia il futuro. Ora è quasi il solstizio d’estate, il caldo è probabilmente insopportabile, ma mi piace. Il sole è alto, il cielo è blu… le nuvole formeranno una catena di margherite, quindi per favore uscite a giocare come un bambino.

Miliardi di persone hanno sofferto emotivamente a causa della pandemia di Covid-19, giovani generazioni, adulti, anziani e operatori sanitari, in tutto il pianeta: ma c’è un momento in cui la leggerezza è necessaria, forse favorita nel nostro emisfero dalla buona stagione in arrivo. Smettiamo di andare fanaticamente a leggere delle nuove varianti (ieri ce n’è stata una nuova, scoperta a Perù): forse potremmo iniziare una nuova collezione, so che sembra ironico, ma ogni nuova variante ormai è pane per i denti per le testate dei giornali. Siamo stati fortunati: siamo qui, con qualche vaccino che sembra funzionare. Non sappiamo per quanto tempo, ma funzionano per alcuni mesi: siamo prudenti, ma mettiamo insieme anche questa catena di margherite. Non è una follia formare una catena di margherite, o ogni catena di fiori, è iniziare a gioire della bellezza del mondo circostante.

La parola margherita deriva da “day’s eye” che si chiudono al tramonto. In italiano lo stesso fiore è chiamato con un nome che ha il significato di tesoro: “margherita” da margara, cioè perla. In entrambe le culture questo fiore significa purezza, e innocenza e speranza; forse le risate dei bambini quando corrono nei campi aperti. Sono fiori minuscoli, che non si possono raccogliere perché non resistono nell’acqua di un bicchiere: si chiudono subito perché hanno bisogno del loro humus, della loro erba verde. I loro colori, giallo e bianco, sono leggeri e in qualche modo la forma ricorda il modo in cui i bambini disegnano il sole con i suoi raggi.

Diamo un’occhiata al significato simbolico dei fiori (nota semplicemente nel modo della tradizione, la rosa rossa significa amore romantico, la rosa nera la magia, la gardenia secerne amore). No, c’è più di queste connessioni artificiali: il libro molto interessante The Well Gardened Mind di Sue Stuart Smits, psichiatra, psicoterapeuta, ci dà una visione profonda del rapporto umano con i fiori. Immanuel Kant, il filosofo tedesco, diceva che amiamo i fiori “liberamente e per conto loro”, dove una bellezza libera prescinde da qualsiasi utilità.

Passando dal concetto di bellezza si arriva ad una possibile spiegazione evolutiva del nostro amore per i fiori: Stephen Pinker, psicologo cognitivo canadese-americano, linguista e autore di un bellissimo libro L’istinto del linguaggio – fortemente consigliato a chi vuole occuparsi di scienze umane per la salute – nella sua indagine sulla teoria delle evoluzioni umane chiama in causa il potere dei fiori: l’uomo è diventato attratto dai fiori perché questi rappresentavano le future scorte di cibo: i cacciatori raccoglitori sapevano che dai fiori ci si aspettavano poi dei frutti. E come guadagno immediato, dove c’erano i fiori era presente anche l’ape con il miele.

Dal punto di vista neuro-estetico, apprendiamo da Semir Zeki, che quando i fiori sono intorno a noi e li vediamo, il solo vedere i loro colori e la loro forma, ci sentiamo in una zona di comfort, e la nostra corteccia visiva occipitale si attiva rilasciando dopamina, che allevia lo stress, e ci mette in una modalità di contemplazione e resilienza. Forse questo è dovuto al rapporto della sezione aurea, 1,618, che si può osservare nei sistemi di ramificazione, nella fillotassi, nei fiori e nei semi, e spesso nella disposizione a spirale degli organi vegetali (Modelling golden section in plants, febbraio 2009, Progress in Natural Science). Quando giochiamo con la sezione aurea ci sentiamo a casa; è possibile che il nostro universo sia basato sulle sezioni auree, dalle galassie, ai fiori, al fiocco di neve, alle proporzioni nel corpo umano, al DNA. Perciò amiamo i fiori, sono nel nostro linguaggio interiore ereditato, portano leggerezza, non nuove complessità da affrontare. E in particolare le margherite hanno 34, 55 o 89 petali. Tutti questi sono numeri di Fibonacci, legati alla bellezza della sezione aurea. Non solo i loro colori e la loro forma ci rassicurano, ma la loro matematica ci dà uno spazio sicuro.

Ma ho iniziato questa piccola riflessione includendo la parola leggerezza che significava allo stesso tempo luminosità e il contrario di pesantezza; i petali dei fiori sono così delicati e così effimeri: possono vivere solo pochi giorni ricordandoci il ciclo esistenziale. Il Wabi Sabi è al centro di una filosofia giapponese e significa la contemplazione dell’effimero: Wabi connota la semplicità, la freschezza o la tranquillità, e può essere applicato sia agli oggetti naturali che a quelli fatti dall’uomo come espressione di sobria eleganza, e penso che le semplici margherite appartengano a questa categoria. Sabi si riferisce alla bellezza o serenità che viene con l’età, quando la vita dell’oggetto e la sua impermanenza sono evidenziate nella sua patina e usura, o in qualsiasi riparazione visibile.

Nella loro leggerezza, i fiori vengono a ricordarci la bellezza e l’impermanenza, a lasciare spazio al futuro. E anche di cogliere l’attimo delle margherite, gli occhi del giorno, sacri alla Freia, dea dell’amore e della fertilità. Margherite significa un nuovo inizio, una nuova partita da giocare.

Ora, per favore, chiudete gli occhi e per prima cosa scrivete il nome del fiore che vorreste avere ora, e per seconda cosa, cosa vorreste giocare, magari ascoltando nel frattempo la fantastica canzone dei Beatles, Dear Prudence.

Lasciatemi finire queste brevi riflessioni citando frammenti del guru del linguaggio e della leggerezza, Italo Calvino, che scrisse, nelle sue lezioni americane, quelle per il terzo millennio, un saggio sulla leggerezza:

La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: “Il faut être léger comme l’oiseau, et non comme la plume” [si dovrebbe essere leggeri come un uccello, e non come una piuma]. […] Un alleggerimento del linguaggio per cui i significati vengono convogliati su un tessuto verbale come senza pe- so, fino ad assumere la stessa rarefatta consistenza. Lascio a voi trovare altri esempi in questa direzione. Per esempio Emily Dickinson può fornircene quanti vogliamo: A sepal, petal, and a thorn Upon a common summer’s morn – A flask of Dew – a Bee or two – A Breeze – a caper in the trees – And I’m a Rose!
[…] Così, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi.

Italo Calvino, Leggerezza, in Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985

Svuota la tazza: forse è troppo pesante per fare una margherita leggera.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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