Maternità, neonatologia e narrazione – Intervista a Martina Bruscagnin e Monica Ceccatelli di Vivere Onlus

Martina Bruscagnin  – Presidente di Vivere Onlus.
Monica Ceccatelli – Vicepresidente di Vivere Onlus.


Vorreste presentare l’attività di Vivere Onlus?

Vivere Onlus – Coordinamento Nazionale delle Associazioni per la Neonatologia, è un punto di riferimento per la tutela dei bambini nati prematuri o ammalati, ricoverati alla nascita in un centro di cure intensive, e delle loro famiglie. È formato da oltre 50 associazioni di genitori che si trovano su tutto il territorio italiano e che localmente agiscono in autonomia per le necessità locali, ma sono unite dal Coordinamento per tutte le istanze che sono relative ai bambini ed alle famiglie a livello nazionale. Nel caso non ci siano associazioni locali Vivere si relaziona con i genitori e da remoto è in grado di sostenere una attività di sostegno e supporto per le famiglie e di consulenza relativa alle loro problematiche amministrative, come ad esempio il congedo di maternità. Vivere è in contatto anche con altre associazioni nazionali italiane ed è in rete con associazioni europee ed extraeuropee. Fa parte di EFCNI European Foundation for The Care of Newborn Infants. 

Nel vostro statuto si legge che operate a vari livelli, da quello inter-associativo a quello della ricerca, sempre con l’obiettivo di sostenere e tutelare i nati prematuri e le loro famiglie. Qual è adesso la situazione in Italia da un punto di vista giuridico e sociale? Quali sono le questioni più urgenti e quali sono state le vittorie più grandi degli ultimi anni?

Dobbiamo necessariamente fare un distinguo fra la situazione pre-pandemica e quello che stiamo vivendo. Anche prima della COVID-19 il congedo di maternità, anche se molto migliorato, non era perfetto. La nostra Carta dei Diritti del Bambino Nato Prematuro non era stata adottata dalla totalità delle TIN Italiane e con la pandemia le chiusure totali delle TIN sono state molte e tantissime anche le severe restrizioni di orario, purtroppo. In più le varie Direzioni Sanitarie che hanno deciso operativamente sugli accessi in ospedale, hanno parificato e confuso genitori e visitatori, quindi in molti casi è stato necessario l’intervento dell’associazione locale con il sostegno di Vivere Onlus per poter ottenere qualcosa di più. Non sempre ci siamo riusciti, perchè è stato davvero faticoso far comprendere che la relazione fa parte della cura. Dal punto di vista sociale le difficoltà, che erano molte anche prima, si sono moltiplicate. La sospensione dei percorsi di abilitazione e riabilitazione e la successiva ripresa, spesso con modi e tempi diversi e peggiori rispetto a prima, terapie che avevano un orario di un’ora ridotte a 45 minuti. Ed è davvero complicato svolgere qualsiasi attività con un neonato in 45 minuti. A questo si devono aggiungere le liste di attesa, per che spesso sono lunghissime, quando sarebbe importante intervenire precocemente.  Riveste un aspetto importante anche la situazione familiare. Sono aumentate le famiglie con difficoltà economiche. La prematurità è di fatto un costo anche per le famiglie che si devono spostare quotidianamente durante i mesi del ricovero del bambino, oppure alloggiare nei pressi dell’ospedale e non sempre l’ospedale o l’associazione sono in grado di fornire un alloggio gratuito. Il congedo dei padri è aumentato, ma in caso di parto prematuro e di un bambino ricoverato in TIN, con la mamma spesso ancora in ospedale perché il parto è avvenuto per una patologia legata alla gravidanza, risulta essere assolutamente ancora inadeguato. 

L’urgenza sarebbe quella di aprire H24 tutte le TIN italiane, perché non dovrebbe esserci differenza, a secondo del luogo dove un bambino nasce. Purtroppo al momento è così, per l’orario di accesso alle TIN, conta dove il bambino nasce, nonostante le evidenze scientifiche sull’importanza della presenza della famiglia, del contatto e della relazione. 

Le nostre vittorie più grandi sicuramente sono state:  il Manifesto e la Carta dei Diritti del Bambino Nato Prematuro, il miglioramento del congedo di maternità, le Raccomandazioni del Ministero della Salute in merito all’allattamento materno e alla presenza dei genitori H24 nei reparti di Terapia Intensiva Neonatale e la partecipazione alla traduzione di The European Standards of Care for Newborn Health. Tutto questo in collaborazione con la Società Italiana di Neonatologia, perché è indispensabile che questi argomenti siano affrontati insieme. 

Con ISTUD avete svolto la ricerca narrativa Nascere Prima del Tempo: il vissuto delle famiglie in Italia. Come è avvenuto il vostro incontro con la medicina narrativa? Che cosa ha portato questo tipo di approccio alla vostra attività?

In realtà è avvenuto quasi per caso, volevamo dare evidenza al vissuto delle famiglie e ci è stato proposto di farlo attraverso la medicina narrativa. Ed è stato chiaro fin da subito che era lo strumento giusto per quello che noi volevamo far emergere e per quello che volevamo comunicare. Questo tipo di approccio ci ha dato la possibilità di avere un documento che ha fatto comprendere meglio il vissuto dei genitori, ha dato voce alle nostre richieste e valore alle istanze che abbiamo promosso relative ai diritti del bambino, della famiglie e degli operatori.

Secondo voi la medicina narrativa e in generale la narrazione possono essere strumento di giustizia sociale? Perché?

La narrazione è fondamentale,  perché solo dalle storie possiamo avere la fotografia esatta di quel momento e la percezione di quello che è stato per chi in quel momento si trovava in quella situazione. Le difficoltà dei genitori di bambini prematuri o ammalati che alla nascita si trovano ad affrontare il duro percorso del ricovero in un centro di cure intensive, sappiamo quali sono, perché i genitori le hanno narrate. Ma non sono sovrapponibili a quello che è accaduto durante la pandemia. A quello che conoscevamo si è aggiunta la solitudine, anche adesso entra un solo genitore, la distanza dagli altri, non è stato possibile per i genitori “far gruppo” e condividere le storie e il quotidiano. In alcun casi sono stati tagliati fuori dai primi mesi della vita dei loro  figli, li hanno visti solo tramite un tablet e li hanno toccati tre mesi dopo,  alla dimissione. Oppure sono rimasti con i propri bambini solo per un’ora al giorno a volte anche a giorni alterni. Sono pochi i centri che sono rimasti aperti H24 e queste differenze, questi vissuti devono essere raccontati per poter comprendere. Per questo la medicina narrativa è importante e per questo ci piacerebbe fare di nuovo una ricerca sugli stessi argomenti ma in tempo di COVID-19. Perché il vissuto di ognuno non può essere mai equiparato ad un numero e basta. I numeri da soli non raccontano il dolore, non generano soluzioni, non danno la percezione dell’urgenza delle situazioni che devono essere cambiate. I numeri devono sempre essere accompagnati dalle storie, solo così possono provare ad essere uno strumento di giustizia sociale e promuovere i diritti dei nostri piccolissimi bambini. Questa è la sinergia che ci serve e che è utile per il continuo processo di miglioramento necessario per dare un concreto sostegno per il benessere di famiglie e operatori. 

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