Intervista a Egidio Moja

DSC_0135La comunicazione medico-paziente è uno dei temi su cui si è concentrata la ricerca del Centro di Psicologia Clinica dell’ospedale San Paolo di Milano. Responsabile del Centro, per diversi anni, è stato Egidio Moja, professore straordinario di Psicologia Clinica e autore, insieme a Elena Vegni, del manuale “La visita medica centrata sul paziente”.

D. Perché il tema della comunicazione medico-paziente sta ricevendo un’attenzione maggiore rispetto al passato?

E.M. La principale ragione credo stia nel numero crescente di lavori che dimostrano che alcuni stili comunicativi influenzano in modo positivo i risultati delle consultazioni cliniche.

D. Che caratteristiche hanno questi stili comunicativi?

E.M. Il metodo clinico in cui i medici sono usualmente formati è stato definito come disease-centred: come conseguenza la comunicazione si concentra solo sulla malattia, intesa come deviazione dalla norma di variabili biologiche, ed esclude, come ininfluente, il significato che essa ha per il malato. Negli ultimi decenni è risultata sempre più chiara l’utilità di raggiungere, accanto alla comprensione della patologia, una sufficiente comprensione delle interpretazioni, dei sentimenti e delle aspettative che i sintomi generano nel paziente. Questa proposta culturale viene in genere indicata come medicina centrata sul paziente e ha precise conseguenze sullo stile comunicativo delle consultazioni cliniche.

D. Potrebbe fare qualche esempio?

E.M. Pensiamo ad un paziente che si rechi dal proprio medico e dica qualcosa come: “Dottore, ho una specie di peso qui al centro del petto e sono preoccupato. Sa con questo maledetto internet…”.  E’ naturalmente necessario che il medico, partendo dal sintomo, risalga alla eventuale malattia e alla proposta di una terapia, ma oltre a questi passaggi è spesso straordinariamente utile che il medico esplori l’altra parte del messaggio del paziente. Una domanda come: “Mi ha detto che è preoccupato per qualcosa che ha trovato su internet. Cosa ha letto?” può permettere al paziente di rivelare idee e sentimenti costruiti intorno al sintomo  e al medico di spiegare, educare e, quando opportuno, rassicurare.

D. Che vantaggi comporta uno stile centrato sul paziente? Si possono misurare?

E.M. Sì. E’ un’area oggetto di numerose ricerche. Per ora sappiamo che ci sono dei vantaggi, come dire immediati, che riguardano l’accresciuta soddisfazione del paziente al termine di una consultazione clinica condotta secondo questo stile. Ci sono poi importanti vantaggi a medio-lungo termine: l’accresciuta aderenza alle terapie proposte è probabilmente l’esempio più importante. Le ragioni appaiono relativamente semplici: la visita ha rappresentato un momento in cui il paziente ha potuto anche discutere una serie di pensieri e sentimenti – ingenui, magari, ma per lui importanti – che non avrebbero trovato alcuno spazio in una consultazione rivolta unicamente alla malattia.

D. Che rapporti ci sono tra medicina centrata sul paziente e Medicina Narrativa?

E.M. Entrambi questi movimenti culturali hanno ben presenti i limiti dell’odierna medicina centrata sulla malattia ed entrambi cercano di ampliare le capacità di ascolto del medico. Diversa è però l’origine: la medicina narrativa deriva da discipline umanistiche; la medicina centrata sul paziente da ricerche inizialmente condotte nel campo della general practice. La differente origine si traduce in una maggiore ‘operatività’ della medicina centrata sul paziente. L’indicazione ‘Devi prestare attenzione alle interpretazioni di malattia del paziente’ è più concreta dell’indicazione ‘Ascolta la storia del paziente’. Questa è naturalmente un’opinione di parte (ho passato gli ultimi vent’anni a studiare alcuni aspetti della medicina centrata sul paziente). Per attenuare questa posizione di parte posso dire che la medicina centrata sul paziente corre maggiori rischi, rispetto alla medicina narrativa, di un utilizzo meccanico delle tecniche di comunicazione e quindi di un impoverimento relazionale analogo a quello della medicina centrata sulla malattia.

Alessandra Fiorencis

Laurea magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata nel campo dell’antropologia medica, ha condotto attività di formazione a docenti, ingegneri e medici operanti in contesti sia extra-europei che cosiddetti “multiculturali”. Ha partecipato a diversi seminari e conferenze, a livello nazionale e internazionale. Ha lavorato nel campo delle migrazioni e della child protection, focalizzandosi in particolare sulla documentazione delle torture e l’accesso alla protezione internazionale, svolgendo altresì attività di advocacy in ambito sanitario e di ricerca sull’accesso alle cure delle persone migranti irregolari affette da tubercolosi. Presso l’Area Sanità di Fondazione ISTUD si occupa di ricerca, scientific editing e medical writing.

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