Il documento WHO sulla ricerca narrativa per il settore sanitario: intervista a Trisha Greenhalgh

Intervista a Trisha Greenhalgh, accademica riconosciuta a livello internazionale, sul documento Cultural Contexts of Health: The Use of Narrative Research for Health Sector, da lei curato per conto della World Health Organization

D. Professoressa Greenhalgh, qual è l’importanza di questo documento?

TG. Il documento rappresenta un importante cambiamento nel modo di pensare della World Health Organization riguardo alle evidenze. Molte delle questioni che la WHO cerca di affrontare, potremmo definirle “grandi sfide”. Mentre i risultati degli studi randomizzati, le meta-analisi e le grandi serie di dati quantitativi raccolti sono cruciali per affrontare alcuni aspetti di queste grandi sfide, vi è un crescente riconoscimento del fatto che vi sono questioni che necessitano una gamma di metodologie di ricerca più ampia. Recentemente, questo è stato ben espresso nell’introduzione di un libro sui metodi qualitativi di ricerca nel campo della salute pubblica:

Negli ultimi decenni, c’è stato un crescente riconoscimento delle forze complesse che contribuiscono alla salute pubblica – fattori che interagiscono a livello dell’individuo, della famiglia, della comunità, della popolazione e della politica. I fattori sociali, economici, politici, etnici, ambientali e genetici sono associati con le odierne preoccupazioni della salute pubblica. I problemi della salute pubblica sono complessi, non solo a causa della loro multi-causalità, ma anche come risultato dell’emergere di nuovi problemi sanitari a livello nazionale e internazionale. Di conseguenza, gli operatori della sanità pubblica e i ricercatori riconoscono che serve una molteplicità di approcci per comprendere i problemi e sviluppare interventi efficaci che affrontino le questioni della sanità pubblica contemporanea.

– Ulin PR, Robinson ET, Tolley EE. Qualitative methods in public health: a field guide for applied research. John Wiley & Sons; 2012, p. xiii.

D. Perché questa attenzione alla ricerca con metodi narrativi?

TG. Come ho spiegato nella monografia, la “verità narrativa” è molto diversa dalla verità logico-deduttiva dell’evidenza scientifica. Una narrazione (una storia) è una versione soggettiva degli eventi; ha anche una dimensione intersoggettiva – la relazione dialogica (narrante-ascoltatore o scrittore-lettore) di chi narra con un pubblico reale o immaginato. La narrazione riguarda il dare senso a quanto accade nelle nostre vite, conferendo un significato e sottolineando (o questionando la mancanza di) un ordine morale. Vi do un esempio. Sono stati intrapresi centinaia di studi randomizzati sull’educazione del paziente nella gestione del diabete di tipo 2. Viene sottolineata l’importanza di “comportamenti sani” (fare esercizio fisico e limitare la dieta a determinati alimenti in piccole porzioni). Sappiamo che l’educazione alla gestione del diabete funziona per alcune persone, ma ha un’efficacia limitata nel cambiare il comportamento di altre – in particolare quelle provenienti da alcuni gruppi culturali e sociali. Attraverso la narrazione, siamo in grado di scoprire cosa significano davvero i “comportamenti sani” suggeriti per la popolazione target. A volte, scopriamo che stiamo chiedendo loro di intraprendere pratiche sociali con un significato culturale molto negativo (come rifiutare un dono, discutere con una suocera, agire in modo sfrontato). Naturalmente le persone resistono alle pressioni di seguire tali raccomandazioni! L’attenzione sistematica alle trame culturali che modellano e limitano le azioni delle persone ci permetteranno di progettare programmi sanitari pubblici migliori con una maggiore possibilità di successo.

D. Quali sono i punti cruciali di questo documento?

TG. Penso vi siano tre punti chiave. In primo luogo, l’ho nominato prima, ossia la narrazione come evidenza che può completare e ampliare quelle più tradizionali nel campo della salute. In secondo luogo, nella ricerca narrativa possiamo mettere in campo un’ampia gamma di approcci per cogliere, attraverso le storie, i contesti culturali. Questi approcci comprendono

  • il tradizionale studio del caso clinico (in particolare quando è attentamente analizzato da una prospettiva accademica);
  • gli studi sociologici sulla narrazione della malattia (solitamente colta attraverso delle interviste narrative);
  • gli studi sociologici contemporanei sulle narrazioni multi-vocali delle comunità online (tipicamente colte dall’analisi narrativa dei siti web);
  • gli studi antropologici sulle pratiche culturali (utilizzando tecniche quali l’etnografia e la foto elicitazione);
  • la costruzione di casi-studio sulle organizzazioni o sulle comunità;
  • lo studio delle “trame” o meta-narrazioni che intessono le politiche (usando l’analisi del discorso).

I criteri di qualità includono delle misure per garantirne l’affidabilità, la plausibilità e la criticabilità. In terzo luogo: come tutte le ricerche, la ricerca narrativa può essere condotta bene o male. Le persone hanno bisogno di essere formate rispetto alla metodologia e agli standard di qualità della ricerca narrativa: altrimenti i risultati della ricerca non sarebbero validi. Mentre la WHO inizia a impiegare con successo la ricerca narrativa per arricchire i suoi report e informare le sue strategie future, un’attenzione sistematica va data al potenziamento delle capacità e allo sviluppo del ricercatore.

Dobbiamo diffidare dall’uso improprio della ricerca narrativa. La settimana scorsa, un gruppo di omeopati professionisti ha citato il mio lavoro sulla narrazione per sostenere che l’omeopatia “funziona”. Il loro ragionamento era che, se la ricerca narrativa è un approccio legittimo, allora non abbiamo bisogno di studi randomizzati per valutare l’efficacia di un farmaco – possiamo prendere anche solo le storie individuali dei pazienti. Ovviamente, questo non ha senso. Per valutare l’efficacia di un farmaco è necessario uno studio randomizzato controllato! Questo esempio ci mostra perché dobbiamo prestare particolare attenzione agli standard di qualità e al bisogno di far corrispondere alla domanda di ricerca la metodologia appropriata. Se la struttura della domanda di ricerca è “Qual è il significato di…”, è plausibile che la narrazione ci dia informazioni sulla risposta. Ma se la domanda è quantitativa (“Qual è la portata dell’effetto…”), la narrazione non è la strada da intraprendere.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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