Intervista a Miro Silvera, scrittore, saggista e archivista del Piccolo Teatro di Milano

Intervista a Miro Silvera, scrittore, saggista: archivista del Piccolo Teatro di Milano, fra i fondatori del Salone Pier Lombardo di Milano, oggi Teatro Franco Parenti. Dal 1965 al 1975 svolge funzioni di consulente per la narrativa straniera per l’editore Bompiani e traduce diversi volumi di narrativa e di saggistica dal francese e dall’inglese. Scrive di cinema e di letteratura su Cosmopolitan, Giallo Mondadori, Linus, Arbiter, collaborando saltuariamente anche a Panorama, L’Espresso, Storia Illustrata. Dal 1992 al 2002 dirige per la Sperling & Kupfer due collane di saggi parascientifici. Pubblica anche Libroterapia, 2007, con Salani, Cinema & videoterapia, 2010, Salani e Libroterapia Due, 2012, Salani

Il cinema è terapia?
Assolutamente sì in modi, per le emozioni che può dare perché se ne può discutere in famiglia con gli amici, è uno strumento di condivisione e di confronto generazionale. Un genitore finalmente riesce a parlare con il figlio e anche questo è terapeutico. A ben vedere può essere sia uno strumento di collegamento ma anche di scontro, e comunque fa sorgere dei colloqui e può provocare delle dichiarazioni controverse.

Quindi in alcuni casi incita anche la separazione, la contrapposizione?
Le emozioni al cinema sono facilissime da provocare. Non sono volute al 100% dal regista ma sono provocate nello spettatore. Se poi le emozioni e le impressioni sono controverse il film diventa una “conversation piece” e questo richiama più spettatori.

Parliamo di film o serie TV che le persone vogliono vedere in momenti di fragilità: abbiamo ricevuto circa 700 titoli di film che abbiamo classificato tra drammatici, commedie, cartoni animati, fantasy, romantici, serie tv, comici musicali, thriller. Vedendo i risultati è prevalso il genere drammatico, come mai?
Perché il conflitto è sempre attraente. Devi prendere delle posizioni, ti identifichi dentro i personaggi, con chi stai; il film drammatico è sempre stato un grande motore delle emozioni. Però bisogna essere equilibrati per vedere un film drammatico, soprattutto quando si è in un momento di fragilità: direi di stare attenti al “non volersi fare del male”, ci sono registi quasi patologici come Lars Von Trier e il suo Melancholia. Nel sondaggio emerge chiara la convergenza verso “La vita è bella” che è un dramma voltato in commedia. Il film drammatico è la base di qualsiasi cosa, è una rappresentazione della vita, anche il film giallo, in cui il protagonista può finire male o bene.

Noi però di film thriller ne abbiamo raccolti pochi…
Possibile che le persone che stanno male non vogliano soffrire come tensione: ad esempio, Hitchcock con gli uccelli genera troppa paura in persone fragili.

Poi ci sono le commedie come le classifichiamo?
Le commedie sono più accettabili, presentano un punto di vista umano “s-drammatizzato”, a cui ci toglie il peso del dramma e diventano leggere. Ecco perché “Quasi Amici” vince nel sondaggio, c’è una persona con una condizione di disabilità, quindi di fragilità, ma c’è anche compassione, ironia, simpatia, azione: ci possiamo identificare con il passeggero sulla carrozzella oppure con l’accompagnatore. Sì le commedie sono un genere consolatorio.

Poi sono emersi tanti fantasy tra cui Harry Potter, Star Wars e il Signore degli Anelli
Sono delle saghe. Abbiamo bisogno di epica perché abbiamo bisogno di sognare la magia in Harry Potter, con Guerre Stellari di vedere altri mondi, e nel Signore degli Anelli, seguire la lotta eterna tra il bene e il male.
Sono comunque dei prototipi delle serie attuali che ora hanno successo. Spielberg ha lottato contro il premio Oscar da dare alle serie TV, che sarà invece incluso l’anno prossimo. Questo perché le serie sono dei concorrenti troppo forti per i film singoli; se un episodio è andato male si cambia il regista, c’è tempo per fare vedere i dettagli di storie e trame intricate.

Passiamo ai cartoni animati, come mai spicca Inside out, un film cerebrale sulle emozioni?

Topolino è un prototipo antico, ci siamo cresciuti, è una figura molta amata dai bambini, ma Inside Out è un film geniale, ha messo in pista una educazione alle emozioni per i bambini- e anche per gli adulti n.d.r.- come queste si influenzano vicendevolmente, come possono prendere il sopravvento e come controllarle. Altro film cartone capolavoro che qui però non è stato scritto, è Coco, emozione allo stato puro, una continua connessione con un aldilà coloratissimo insegnato ai bambini, una nonna che continua a vivere in un’altra dimensione. E che quello che conta è il ricordo dei vivi per le cose passate.

Parliamo di film romantici, pochi?
È morta ora Doris Day, quasi centenaria, la commedia rosa è sua, con Rock Hudson, Cary Grant, James Garner, tutti belli prestanti, film scacciapensieri per signore, da questi film sono derivati gli attuali film romantici. Le donne ci si proiettano con le emozioni del cuore. Ma forse in tempi amari “troppo miele” non va bene.

A ciascuno il suo film?
Si, ciascuno si deve fare la sua cineteca privata. E’ come scegliere un libro, così come abbiamo una biblioteca ideale, dobbiamo avere una cineteca ideale. Bisogna farsi consigliare, vedere i registi con cui siamo in sintonia.: “segui i tuoi registi.” Come si scelgono i libri per scrittore, e non per titolo, lo stesso va fatto con il cinema. E’ impossibile e impensabile standardizzare il cinema come terapia: se una persona richiede leggerezza, leggerezza sia, Stanlio e Ollio, Totò, Fantozzi, se vogliono peso, che sia Forrest Gump e altri drammi.

Domanda che non c’entra con il sondaggio, quando è che la finiremo di essere colonizzati dai film americani?
Sono troppo bravi, ci sanno colonizzare. Da Roberto Rossellini, in Roma Città Aperta, c’era la scena in cui i soldati portavano il cinema. Il nostro cinema italiano d’autore di allora era molto interessante a partire da Rossellini e da De Sica, ma oggi? Opaco, c’è un prevalere dei film buoni per la televisione. Di contro nei paesi sotto dittatura o instabili è facile che esca qualcosa di buono: Cafarnao, Il passato, L’insulto, film di registi Iraniani e Libanesi. In questi paesi, il film diventa un atto di accusa per qualche cosa.

Consigli per guardare un film?
Con un occhio benevolo, altrimenti spegnere subito, quando necessario. Se non ci serve quell’emozione, quell’attore, quel messaggio si può dire ciao e arrivederci. Altrimenti non è più terapia ma fonte di ulteriore dolore; impariamo ad ascoltarci mentre guardiamo un film.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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