L’impiego della cartella parallela nel progetto DRONE: intervista a Maria Clara Tonini

Intervista a Maria Clara Tonini, Segretario ANIRCEF (Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee) e docente ASC (Associazione per una Scuola delle Cefalee). La dottoressa Tonini è tra i professionisti del Board del progetto DRONE, condotto da Fondazione ISTUD in collaborazione con Novartis Italia e volto a comprendere l’esperienza e il vissuto dell’emicrania in Italia. 

MGM. La cartella parallela sposta l’attenzione dal modello biomedico al modello bio-psico-socio-spirituale: come si concretizza di fatto per lei, dottoressa Tonini, scrivendo dei pazienti in questo altro modo?

MCT. Vorrei premettere che nel nostro complesso “mestiere” nessuno ci insegna a relazionarci, ad avvinarci a un paziente sotto un aspetto che non sia quello strettamente scientifico, mirato a formulare una diagnosi che sia la più corretta possibile con strumenti prettamente  clinici – informazioni, sintomi, esami, risultati, relazioni – e a individuare il trattamento, il più consono per curare la sua malattia – basato su evidenze di efficacy, di safety e di security.

Questa modalità esercitata nel tempo, negli anni abitua la mente ad un ragionamento preciso, meticoloso, ma profondamente asettico, oggettivo, che ci allontana dalla percezione del vissuto emozionale del paziente nei confronti della malattia che sta vivendo, soprattutto se cronica, come può essere considerata l’emicrania, che comprende una serie di co-fattori sia della sfera emotiva, psichica nella sua manifestazione – non solitamente presi in considerazione – ma anche di tipo sociale per l’impatto sul benessere, sui costi e  sulle decisioni in politica sanitaria. Modalità che ci allontana anche da quell’empatia che è fondamentale e necessaria nella relazione di cura.

Approcciarsi al paziente con lo strumento della cartella parallela ci offre una doppia opportunità: una riflessione  sulla relazione che abbiamo con il nostro paziente e quindi a porre l’attenzione sul grado di empatia o di non empatia instaurato con lui nell’affrontare la sua vicenda di malattia, costruire i fatti e le azioni; ma anche una comprensione sul nostro stato emozionale evocato da questa relazione – le nostre fragilità, i dubbi, le paure, gli errori – su cosa proviamo – sconcerto, fallimento, scoperta, curiosità.

Questa narrazione di noi curanti attraverso la cartella parallela può aiutare ad una maggiore conoscenza di noi stessi, ad accogliere le nostre emozioni, a rapportarci con il “prendersi cura” della persona, presupposti utili a portare un cambiamento nel modo di vedere la nostra pratica professionale, passando così dal rigido modello biomedico a quello psico-sociale e avvicinandoci maggiormente alla complessità del nostro paziente che non è solo disease ma soprattutto illness.

MGM. La cartella parallela segue lo scorrere del tempo di un paziente che convive con emicrania nel progetto DRONE: questo senso del tempo chiuso in un documento è registrato normalmente in cartella clinica? O la cartella parallela riunisce quello che la cartella clinica separa?

MCT. Sappiamo come la cartella clinica raccoglie e aggiorna la narrazione clinica del percorso diagnostico-terapeutico di un paziente (anamnesi fisiologica, patologica, gli esami da eseguire, etc), che viene trascritto in un ordine cronologico preciso, in alcuni casi oserei dire maniacale, per la durata di un ricovero ospedaliero o di una visita ambulatoriale, scandito da un tempo limitato in entrambi i casi.

Ma questa temporalità dello stato di salute, lunga o breve che sia, riportata sul foglio di una cartella clinica o di una visita sacrifica, trascura l’aspetto emozionale del paziente, che vive con la malattia, e al contempo di noi curanti che dovremmo pensare alla malattia del nostro paziente anche con una modalità diversa.

Se ci capacitassimo che l’utilizzo della cartella parallela in qualsiasi setting di cura, non è una perdita di tempo, ma un continuum del foglio della cartella clinica o della visita ambulatoriale, quello strumento che ci permette di avvinarci al nostro paziente attraverso il nostro sentire, il nostro stato d’animo, il nostro modo di prenderci cura di lui, potremmo pensare a ricostruire una relazione medico-paziente  circolare paritaria, una partnership capace di affrontare la sofferenza nel modo più empatico possibile.

MGM. Anche per lei c’è stata una prima volta nello scrivere la cartella parallela: quali sono state le resistenze iniziali? E come le ha superate?

MCT. Non parlerei di resistenze, ma di una difficoltà a rapportarmi con questo nuovo strumento. Quando utilizziamo qualcosa di nuovo abbiamo sempre un certo disagio, una certa ritrosia; il timore di non esserne capaci.

Per di più, non siamo abituati a scrivere in modo riflessivo sulla malattia e tanto meno sull’esperienza di noi stessi nel rapporto con i nostri pazienti; a fermarci a parlare dei nostri sentimenti, sia che avvenga attraverso una narrazione libera che attraverso una narrazione guidata – implica uno sforzo, una grande energia.  Qui sì userei la parola resistenza, a confrontarci con la sofferenza del nostro paziente perché può sprigionare la nostra di sofferenza, può sottolineare i nostri limiti, le nostre fragilità: la distanza protegge, ci salva.

Ho superato tutto questo cercando di non vivere la cartella parallela come un ulteriore compito di fine giornata, bensì come l’occasione di una ricerca personale del senso del mio lavoro di medico, di ascolto dei miei bisogni, di puntare l’obiettivo come una telecamera su quelle fragilità o interrogativi da superare; ma anche di mettere a fuoco con maggiore chiarezza e lucidità la relazione con il paziente al fine di migliorarla.

MGM. La cartella parallela non è oggetto di giudizio: non è un tema scritto bene o male, perché altrimenti perderebbe il suo senso. Può essere che ci sia una resistenza proprio per il timore di essere giudicati?

MCT. Non penso. È proprio una difficoltà a utilizzare uno strumento nuovo, che non si conosce. Alcuni medici la prima volta che affrontano con la scrittura narrativa un percorso di cura e, in particolare, un progetto di ricerca narrativa, i cui strumenti includono anche la cartella parallela, non ne conoscono il loro intrinseco significato.

È una competenza che andrebbe insegnata. Non è sempre semplice cambiare un atteggiamento mentale quando si ha poca conoscenza dell’argomento, poiché si è diffidenti. Così come non è semplice per tutti scrivere “dell’esperienza emozionale della malattia”; è più facile addentrarsi in progetti diagnostici-terapeutici con i quali si ha più famigliarità.

È una bella prova con noi stessi a cui bisogna lasciarsi andare, bisogna “provare”. Sono convinta che il mettersi in gioco in questo ambito non può che portare a un cambiamento in termini di benessere sia per il paziente sia per noi curanti. 

MGM. Lei crede nella cartella parallela: quali sono, a suo dire, i vantaggi che questo strumento offre nella quotidianità della pratica clinica? E per il progetto DRONE?

MCT. Credo nella medicina narrativa e quindi nei suoi strumenti di applicazione, anche se nella nostra pratica clinica quotidiana non è sempre facile attuarli con sistematicità e costanza.

Ma, trovare un tempo da dedicare alla cartella parallela – nel caso specifico alla cartella parallela del progetto DRONE – in modo aperto, curioso può regalarci attraverso la narrazione di noi stessi, conoscenze inattese che non potranno che aiutarci a consolidare il nostro rapporto con il paziente, a capire che ogni persona è unica di fronte alla stessa malattia, a rafforzare una medicina più umanizzata.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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