Perché la diagnosi di molte malattie reumatiche arriva in ritardo? – intervista a Antonella Celano, presidente APMARR APS (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare)

Antonella Celano ha nel 1984 ho fondato APMAR, che negli anni è diventata APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) e nel 2000 ne è diventata presidente. APMARR si impegna quotidianamente per ottenere investimenti maggiori in termini di diagnosi precoce e terapie, abbattimento delle liste d’attesa, miglioramento nella qualità della vita dei pazienti e limitazione dei danni personali ed economici derivanti da gravi disabilità, che gravano non solo sul singolo, ma su tutta la società. Al tempo stesso lotta per un equo accesso alle cure in tutte le Regioni e per promuovere iniziative utili alla sostenibilità del sistema sanitario, come il sostegno dell’aderenza terapeutica e dell’appropriatezza prescrittiva, facendoci portavoce delle persone affette da patologie reumatologiche e rare con le Istituzioni. 


SAREBBE COSÌ GENTILE DA PRESENTARSI E RACCONTARE L’ATTIVITÀ DI APMARR?

Sono Antonella Celano, presidente Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche Rare. L’associazione ha come mission quella di migliore la vita delle persone affette da malattie reumatologiche rare. Tutte le nostre azioni ruotano intorno alla tutela del diritto alla salute e alla persona.
Parliamo di persone, non di malati, tanto che abbiamo redatto un documento di consenso per arrivare a questa conclusione con il sostegno di un esperto di medicina narrativa e di un’antropologa. Riteniamo, infatti, che la persona viva una vita fatta di una serie di sfaccettature, tra le quali c’è anche la malattia, ma non si possa identificare la persona nella malattia. Tanto meno ci esprimiamo con parole del tipo “la mia compagna di vita” in riferimento alla patologia, non è una compagna, è qualcosa che purtroppo è capitato, ma dalla quale ci si difende, non ci si convive.
Allo stesso modo non parliamo di paziente al centro della cura. Per noi deve esserci il percorso di cura al centro attorno al quale ruotano i vari soggetti coinvolti:  è il percorso che deve andare verso il paziente (e non il paziente ad andare verso il percorso di cura). Siamo per la multidisciplinarietà, siamo per un coinvolgimento totale del paziente non solo in un’ottica di empowerment

LA PIÙ GRANDE CONQUISTA DI APMARR DI QUESTI ANNI?

Quella di aver potuto coprire con le nostre attività il territorio nazionale e aver agito con azioni di advocacy, tanto da portare APMARR ad essere quello che è oggi: una realtà nazionale, considerata come opinion leader in Italia. 

QUAL È LA DIFFERENZA DI DEFINIZIONE DI PAZIENTE ESPERTO TRA QUELLA DI 10 ANNI FA E QUELLA DI OGGI?

Il paziente esperto del 2010 non è quello di cui si parla oggi. Dieci anni fa il paziente esperto non era il paziente consapevole, né empowered. Attualmente consideriamo il paziente esperto nel senso che porta un’esperienza di vita, di vita con quella determinata patologia. È un paziente esperto, consapevole che conosce tutte le sfaccettature della patologia, è empowerd, sollecita l’essere protagonista nel processo di cura, alla stregua degli altri attori coinvolti e ha consapevolezza delle conseguenze che subirebbe se non aderisse alla terapia. Per questo è importante la comunicazione medico-paziente, perché ovviamente una buona comunicazione oltre essere parte del processo di cura stesso, serve anche nella pratica quotidiana a migliorare l’aderenza e tutto ciò che è la qualità di vita.
In quest’ottica il paziente è anche una risorsa per il sistema sanitario nazione: se si conosce a fondo la propria patologia, se si conoscono il proprio corpo e i segnali che dà, si riesce ad autogestire (fino a un certo punto) la malattia e non ricorrere sempre al medico. Oggi il paziente esperto è anche colui che si forma in R&D e  può essere anche coinvolto anche nella progettazione di studi clinici.

PENSA CHE LA NARRAZIONE POSSA PORTARE VALORE AGGIUNTO ALLA MEDICINA? QUALI SONO I POSSIBILI VALORI AGGIUNTI CHE PORTA LA NARRAZIONE?

La persona non è solo un sintomo, non è solo un’articolazione, non è segmentata rispetto alle discipline/specializzazioni che se prendono carico. La persona va considerata in maniera olistica. La medicina narrativa una disciplina a sé che, se affiancata alla medicina basata sull’evidenza, crea l’opportunità di conoscere delle sfaccettature della persona che non si conoscerebbero altrimenti: progetti di vita, il contesto, se la persona lavora, tutto il mondo di questa persona.  Un’intervista narrativa che possa affiancare o addirittura anticipare la visita, aiuta a capire determinati comportamenti da parte del paziente che altrimenti resterebbero sconosciuti. Quindi affiancando le due discipline si arriva anche a una cura a trecentosessanta gradi.   

I RISULTATI DEL PROGETTO SPARE HANNO DIMOSTRATO CHE LE PERSONE ARRIVANO DA REUMATOLOGI ESPERTI TROPPO TARDI, CHE HANNO GIÀ VISITATO TANTI ALTRI MEDICI, CHE CONVIVONO CON QUESTO DOLORE FORTISSIMO PER CUI CI POTREBBERO ESSERE DELLE CURE, CHE LE DONNE SOPRATTUTTO NON VENGONO CREDUTE E CHE I MEDICI SPESSO PENSANO SIA SOLO UN DISTURBO PSICOSOMATICO. QUINDI È EMERSO IL TEMA DEL PREGIUDIZIO SULL’ASCOLTO DELLE DONNE (FORSE PERCHÉ LA MEDICINA SI STUDIA SU MANUALI DISEGNATI SU PAZIENTI MASCHI E QUINDI I MEDICI NE SANNO POCO DELLA FISIOLOGIA DEL MONDO FEMMINILE?). COME PENSA BISOGNEREBBE CAMBIARE L’EDUCAZIONE DEL MEDICO? E COSA POSSONO FARE LE PERSONE DAL CANTO LORO?

Bisogna partire dall’ascolto del proprio corpo e riconoscere quali possono essere i campanelli di allarme. In questo modo quando si arriva dal medico, si riesce ad essere più incisivi. Se si lamenta quello che viene interpretato come “un banale mal di schiena”, non si va ad approfondire per accertarsi della tipologia del dolore.
Cito, a tal proposito, un esempio emblematico di ritardo nella diagnosi: una persona che ha portato la propria esperienza durante una conferenza stampa in occasione della giornata mondiale della spondilite – un pizzaiolo di Milano che era totalmente piegato in due perché per quindici anni aveva sopportato un mal di schiena notturno, poi la mattina a fatica si alzava e si muoveva, andava a lavorare eccetera. I medici a cui si era rivolto avevano associato il mal di schiena al lavoro faticoso che svolgeva. 
Questi sono esempi della scarsa considerazione che si ha nei confronti del dolore e soprattutto in patologie nelle quali non c’è un cambiamento corporeo immediato. 
Si tratta pertanto di malattie anche “occupazionali“. Le persone con malattie reumatologiche sono seconde, nel nostro paese, per numero di giornate lavorative perse. È per questo che insistiamo sulla diagnosi precoce, sulla cura precoce e sulla aderenza terapeutica: quando i farmaci vengono vengo prescritti e assunti i farmaci in maniera precoce e adeguata, attenendosi alle indicazioni del medico, la malattia va in remissione e torni a riappropriarti del tuo tempo, del tuo lavoro, della tia famiglia, dei rapporti sociali. 

PERCHÉ SECONDO LEI IL PROGETTO SPARE HA EVIDENZIATO UNA QUESTIONE DI GENERE COSÌ EVIDENTE?

Un tempo si pensava che la spondilite fosse una patologia prevalentemente maschile, oggi i numeri ci dicono altro. 
Bisogna risolvere il problema dei tempi di diagnosi e bisogna, come già detto, non sottovalutare e informare sui sintomi, sui campanelli d’allarme cui fare attenzione.
Diciamo che oggi quasi tutte le patologie vengono sottovalutate, come se non ci rendessimo conto che per giungere a una diagnosi bisogna partire dall’indagine dei sintomi.

COSA SI PUÒ FARE per LA SANITÀ TERRITORIALE PERCHÉ SI POSSA OTTENERE UNA DIAGNOSI PRECOCE E DARE CONSAPEVOLEZZA DEL CARICO DI QUESTA MALATTIA CHE È ANCHE UNA MALATTIA OCCUPAZIONALE E DI GENERE? CAMPAGNE DI INFORMAZIONE? DA SPARE È EMERSO CHE L’ANELLO DEBOLE È IL TERRITORIO…

Oggi il territorio è più che mai in sofferenza, lo vediamo ormai da inizio 2020!
Ambulatori chiusi, visite cancellate, interventi chirurgici rimandati, diagnosi ritardate di cui sentiremo gli effetti nei prossimi anni in termini di aumento dei costi sociali. Col Covid sembra che tutto il resto sia scomparso, sembra che le patologie croniche non esistano più, tutto ruota esclusivamente intorno al Covid. 
E se prima la persona che lamentava un sintomo, vagava da uno specialista all’altro prima di arrivare da quello giusto, nel nostro caso il reumatologo, che finalmente gli faceva una diagnosi, oggi questo percorso è ancora più complesso. 
Bisogna potenziare i servizi, le infrastrutture, investire sulla formazione e sul personale, ridurre al minimo le liste d’attesa … Bisogna, in sostanza, adeguare l’offerta alla domanda di salute.
È inoltre necessario puntare sull’informazione, per fornire strumenti non solo al paziente ma anche al medico: le informazioni devono essere divulgate a trecentosessanta gradi. Riconoscendo i sintomi di una patologia si arriva a una diagnosi precoce e quindi a cure precoci, che cambiano totalmente l’outcome della patologia. Ovviamente il cittadino non deve fare un’autodiagnosi, anzi, dovrebbe evitare di rivolgersi al “dottor google” per averla ; deve, al contrario, essere il medico a dare le informazioni giuste e  indirizzarlo  dallo specialista giusto. 

DUE ASPETTI, DUNQUE, QUELLI DA MIGLIORARE: UNO DI SISTEMA, COMPRENDENTE LE LISTE D’ATTESA INFINITE E UNA PENURIA DI PROFESSIONISTI SANITARI CHE IL COVID OGGI HA PURE ASSORBITO; L’ALTRO DI METODO, POTREMMO DIRE, OSSIA LA CAPACITÀ DI ASCOLTARE DA PARTE DEL MEDICO.

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