In salute e in malattia: le narrazioni di persone con carcinoma prostatico e delle loro compagne di vita

La vecchiaia non è solo un destino biologico, ma anche storico-culturale. Quando il tempo era ciclico e ogni anno il ritmo delle stagioni ripeteva se stesso, chi aveva visto di più sapeva di più. Per questo “conoscere è ricordare”, come annota Platone nel Menone, e il vecchio, nell’accumulo del suo ricordo, era ricco di conoscenza. Oggi con la concezione progressiva del tempo, non più ciclico nella sua ripetizione, ma freccia scagliata in un futuro senza meta, la vecchiaia non è più deposito di sapere, ma ritardo, inadeguatezza, ansia per le novità che non si riescono più a controllare nella loro successione rapida e assillante.

Umberto Galimberti in – Quando essere vecchi significava saggezza

In un recente progetto ISTUD di medicina narrativa dal titolo “Vivere, assistere e curare le persone con carcinoma prostatico in fase metastatica” sono stati indagati il vissuto di persone con diagnosi di carcinoma prostatico metastatico e i loro famigliari e curanti. I risultati dello studio sono stati discussi in importanti Congressi Scientifici quali il XIX Congresso AIOM, svoltosi il 29 Ottobre 2017, e il XXVII Congresso nazionale della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO) tenutosi il 20 Aprile 2017 e ripresi da testate giornalistiche tra cui Repubblica.

Il progetto aveva lo scopo di ripercorrere il viaggio nelle cure delle persone con questa patologia, con particolare attenzione al suo impatto fisico, psicologico, sociale, economico sull’intero nucleo paziente famiglia. Nonostante l’età media alla diagnosi si stia progressivamente  abbassando, grazie soprattutto alle campagne di screening che portano ad una diagnosi sempre più precoce di questo tipo tumorale, circa il 70% degli uomini anziani oltre gli 80 anni ha una qualche affezione alla prostata.

Paradossalmente in un periodo che dovrebbe essere finalmente più sereno, libero da impegni, con molto tempo libero a diposizione, una diagnosi di malattia oncologica può sembrare un ostacolo che preclude dal raggiungimento degli obiettivi di vita che la persona si era prefissata. Una volta attivo lavoratore, nell’età senile molti desiderano comunque dedicarsi alle attività, agli hobby e le passioni che fanno star bene e che permettono di superare anche le conseguenze più impattanti della malattia come il continuo senso di stanchezza e il forte dolore osseo.

Dallo studio queste alcune delle testimonianze che i pazienti ci hanno rilasciato, sulle attività che permettono loro di affrontare al meglio gli ostacoli che la malattia impone:

“gli ho attaccato la nonnite, ci gioco molto con i  nipoti, fanno un casino in casa. Li porto al teatro al cinema perché vogliono vedere i film.”; “noi abbiamo due nipotini che ci fanno dimenticare tutto”; “Ho un piccolo giardino e ho sempre fatto tutto io”,”ho un orto con alberi da frutta, le vigne facevo il vino e nonostante tutto mi sono sforzato a farlo e quest’anno vorrei riprendere, certo alcune cose non posso farle.”; “mi fa star bene il lavoro”,” Io quando lavoro sto bene”,”lavoro vicino ai giovani, con i pensieri dei giovani con gli obiettivi dei giovani ed è stato sempre un piacere”; “Mi piace Leggere, giocare, ascoltare la musica, mi fa star bene, andavo prima a ballare. Mi piace tanto il cinema a vedere i film, ho messo Sky, pure le partite. Mi piace andare al mare, a fare le gite”.

Stralci di narrazioni dei pazienti da “Vivere, assistere e curare la persona con carcinoma prostatico in fase metastatica“, Fondazione ISTUD

 

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Per molti versi si può dire che la piena realizzazione di un uomo la si raggiunge a pieno proprio nella fascia d’età più avanzata, in quella fase della vita in cui si è in grado di guardare indietro al passato, agli anni passati, il bilancio di una vita, quello che è fatto è fatto…  ma forse una realizzazione ancora più ampia e completa dell’intera propria esistenza è da ricercare nell’amore e la vita di coppia.

Dalle narrazioni raccolte è evidente un forte impatto della malattia sugli aspetti più profondi e intimi della vita di coppia, troppo spesso inizialmente “ignorato” dai pazienti poiché omesso o non affrontato in modo chiaro ed efficace in sede di visita medica. Non si tratta però di mera sottovalutazione da parte della persona malata, ma vera e propria inconsapevolezza, in quanto il paziente è spesso tenuto nell’ignoranza delle conseguenze delle terapie, di ciò che la malattia avrebbe comportato. Dato significativo, non vi è una diretta correlazione fra l’età media di coloro che sono ancora in una fase di “ricerca di soluzioni per la sessualità perduta” e chi ha accettato passivamente le conseguenze della malattia e delle cure sulla sessualità (età media di 75 anni), trovando una nuova dimensione di intimità con la propria compagna di vita. Dunque, un aspetto che condiziona non solo la vita degli uomini più giovani ma anche delle persone più in là con l’età.

“Ero molto arrabbiato perché non mi hanno prospettato le conseguenze sulla sessualità. Mi hanno detto <<facciamo due punturine e le conseguenze sessuali erano passate>> e invece questo ha stravolto la mia vita.”; “La mia intimità sessuale è cambiata ma mi sto facendo curare, finisco il ciclo a febbraio/marzo e poi forse torno dall’andrologo”

Stralci di narrazioni dei pazienti da “Vivere, assistere e curare la persona con carcinoma prostatico in fase metastatica“, Fondazione ISTUD

Diversamente, dalle narrazioni le donne, le compagne che vivono e assistono la persona con carcinoma prostatico avanzato hanno mostrato uno spirito positivo e propositivo, ci hanno descritto un mondo più dolce e affettuoso, una dimensione sicuramente molto diversa di vivere l’intimità, a cui spesso gli uomini non sono abituati. Si può dire che, al contrario di quanto avviene per molte condizioni che abbiamo avuto modo di approfondire in progetti ISTUD passati, nell’indagine narrativa  di questo tipo di tumore davvero anche la famiglia è colpita nel profondo, ed è di conseguenza particolarmente coinvolta nel processo di coping del paziente.

Dunque, la valutazione attenta delle conseguenze delle cure sulla sessualità, l’impatto che può avere sulla vita di coppia, l’ascolto attivo delle prospettive di vita della persona ma anche della sua famiglia, sono aspetti che dovrebbero sempre essere presi in considerazione da un team multidisciplinare per condividere con il paziente e la sua compagna quella che è la strada più adeguata da perseguire.

Silvia Napolitano

Ricercatrice dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. Laurea Magistrale in Biotecnologie Industriali presso l’Università di Milano-Bicocca, Master Scienziati in Azienda presso Fondazione ISTUD. Esperta di Medical Writing con una declinazione nelle aree di ricerca qualitativa e Medicina Narrativa. Collabora su progetti di ricerca, formazione e sviluppo aventi per oggetto il miglioramento della qualità di vita e di cura di pazienti affetti da patologie genetiche o croniche.

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