IL NURSING NARRATIVO TRA FORMAZIONE E PRATICA – INTERVISTA A SUSANNA PONTI E MICHELA ZANANDREA 

Susanna Ponti e Michela Zanandrea sono infermiere, docenti e coordinatrici rispettivamente del secondo e del terzo anno del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università degli Studi di Ferrara. Da anni impegnate in ambito formativo, affiancano al ruolo accademico quello di facilitatrici nei laboratori di Medicina Narrativa promossi dalla SIMeN – Società Italiana di Medicina Narrativa.
Il loro impegno si muove nel solco di un’infermieristica che riconosce la centralità della narrazione come pratica clinica, formativa e riflessiva: uno sguardo che dà valore all’esperienza vissuta, sia del paziente che del professionista, alla soggettività, alla relazione come luogo di cura. È in questa direzione che si sviluppa anche il loro lavoro sul nursing narrativo, dentro e fuori il contesto ospedaliero.

  • Susanna, Michela, com’è nato il vostro incontro con la Medicina Narrativa (MN)? Ci sono stati episodi, letture o incontri che hanno acceso in voi l’intuizione che questo approccio potesse arricchire profondamente la professione infermieristica? 

Susanna: Personalmente, nel 2017 dopo aver terminato il Corso di perfezionamento in Bioetica presso l’Università degli studi di Padova, sentivo l’esigenza di approfondire metodologie che mi consentissero di comprendere e accogliere le istanze dei pazienti e dei loro familiari davanti a scelte complesse in merito ai loro percorsi di cura.  Sapevo che il loro vissuto era fondamentale per fare un’analisi pertinente ed eticamente appropriata, ma il mio modo di affrontare le situazioni cliniche era guidato, e forse condizionato, dall’evidence based nursing e questo limitava le mie capacità di ascolto profondo verso ciò che loro mi narravano. Avevo già letto diverse pubblicazioni di Giorgio Bert ed ero rimasta affascinata dalle sue riflessioni, la narrazione di malattia era materia centrale per il curante al fine di mettere realmente al centro di qualsiasi azione clinico-assistenziale la persona malata. Decisi così di iscrivermi al Master in Medicina Narrativa Applicata di ISTUD e fu una scelta sostanziale: conobbi il mondo della Medicina Narrativa, con la sua teoria, i suoi metodi e strumenti; sperimentai un modo “umanistico” di costruire la relazione di cura. Trovai così conferma di un sentire personale, che mi aveva accompagnato in tutta la mia vita professionale, ovvero che nessun agito assistenziale può prescindere da una relazione fiduciaria con l’assistito, per essere appropriato e personalizzato allo stesso tempo. È la relazione il luogo dove realizzare la cura. 

Michela: Ho iniziato questo percorso con la Medicina Narrativa grazie alle mille domande e dubbi che giorno dopo giorno ponevo a Susanna durante la sua frequentazione al master ISTUD. È stato un vero e proprio esempio di contaminazione positiva, virtuosa. Ero profondamente colpita dalla forza autentica delle parole, quelle vere, ascoltate direttamente dai pazienti: parole capaci di andare oltre i segni della malattia, impressi dolorosamente sui loro corpi, e in grado quasi di affrancarli, rendendoli consapevoli del proprio passato e del presente, e pronti a immaginare un futuro. Provengo da diversi anni di lavoro come infermiera in ambiente intensivo, dove i suoni degli allarmi prendono il posto della parola e la relazione di cura, per necessità, passa attraverso l’utilizzo di tecnologie. Proprio per questo, ho sentito l’urgenza di tornare a riconoscere l’unicità della persona e di fermarmi a riflettere, grazie alla Medicina Narrativa, sul senso profondo della Cura. Letture e riflessioni di Luigina Mortari mi hanno poi aiutato a coglierne la vera essenza: “La cura non è un sentimento o un’idea ma un atto, perché è qualcosa che si fa nel mondo in relazione con altri”. Allora capii che era arrivato il momento di coltivare, nelle professioni sanitarie, pensieri giusti e retti, capaci di fare del bene non solo ai pazienti, ma anche agli stessi professionisti, dando senso alle loro storie. 

  • L’approccio narrativo sembra infatti restituire spazio all’esperienza soggettiva del paziente e al vissuto del professionista. Qual è, secondo voi, il valore aggiunto che questo sguardo può offrire all’infermieristica contemporanea, sia in ambito formativo che nella qualità dell’assistenza e nella relazione di cura? 

S&M: Le competenze relazionali per il professionista infermiere sono fondamentali per garantire efficacia, appropriatezza e personalizzazione dell’assistenza erogata. Nella formazione infermieristica di base e avanzata troviamo i contenuti teorici rispetto tali competenze ma, di fatto, mancano le opportunità di sperimentarle nella pratica in modo significativo. Nei tirocini clinici prevale infatti l’apprendimento di skill tecniche, necessarie e fondamentali per garantire sicurezza delle pratiche, ma non esaustive per determinare un apprendimento che trasformi il futuro professionista in curante. Colui, cioè, che ha a cuore il far rifiorire la vita che ha di fronte, realizzando così la più alta delle forme della cura, che ben si traduce con il concetto greco di epimèleia. In questo senso, l’approccio narrativo richiede di affinare capacità di ascolto e di comprensione profonda verso l’altro, ma anche verso se stessi. Accompagna a una comprensione reale e contestuale dell’esperienza di malattia, garantendo personalizzazione dell’assistenza, in quanto condivisa e costruita con la persona. Inoltre, consente anche al professionista di riflettere su se stesso e sui propri vissuti, acquisendo così chiavi di lettura che stimolano la consapevolezza e la gestione delle emozioni positive o negative che emergono dalle relazioni di cura e che se non elaborate possono essere un fardello pesante e doloroso per il professionista. Per questo motivo è importante che anche questi strumenti, questa postura narrativa, vengano introdotti già nella fase iniziale della formazione. All’inizio gli studenti possono sentirsi intimoriti da questo modo di entrare e di stare nella relazione di cura. Tuttavia, grazie alla pratica, ne riconoscono il valore e le potenzialità, rimanendone spesso profondamente colpiti ed entusiasti. Imparano infatti a entrare in contatto e a maneggiare la loro emotività in modo più consapevole, e hanno modo di iniziare a costruirsi uno scudo protettivo – e non difensivo – che risulta fondamentale per salvaguardare la propria integrità, personale e professionale. 

  • All’interno dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara portate avanti un lavoro strutturato su questi temi. Ce lo raccontate? Quali sono le linee di sviluppo più significative che avete costruito in questi anni e con quali obiettivi? 

S&M: Ci siamo immaginate di delineare tre percorsi: implementare competenze relazionali attraverso la metodologia della Medicina Narrativa per i futuri professionisti; promuovere la trasformazione delle relazioni di cura attraverso l’acquisizione della postura narrativa negli infermieri; divulgare e diffondere la conoscenza della Medicina Narrativa nell’ambito dei professionisti della salute. 

Stimolare la curiosità del personale sanitario verso la Medicina Narrativa è stato il nostro punto di partenza. Il primo obiettivo era, infatti, promuovere interesse circa la possibilità di stare nelle relazioni di cura con atteggiamenti e comportamenti non solo “scientifici” ma anche “umanizzati”, sfatando così il pregiudizio – spesso non espresso – che ascoltare troppo le persone rischia di far cadere in uno storytelling inopportuno e talvolta dispendioso di energie, forse per qualcuno anche rischioso per la propria autorevolezza professionale. Ascolto attivo, condivisione, riflessione sui vissuti narrati e sui propri, erano le metodologie che desideravamo far conoscere e apprezzare, per costruire nuovi percorsi di cura con i propri assistiti. 

Nello stesso periodo, per la formazione universitaria, all’interno del corso triennale d’Infermieristica, il Consiglio di Corso aveva valutato l’opportunità di inserire moduli d’insegnamento che implementassero apprendimento di competenze relazionali e di conseguenza ci proponemmo di costruire un corso di Medicina Narrativa. Ad oggi, dopo 4 anni dall’attivazione del corso (a scelta), possiamo dire che fu una decisione positiva: circa il 70% degli iscritti al secondo anno sceglie di frequentare questo insegnamento e al terzo anno almeno 4 o 5 tesi di laurea trattano temi o propongono pianificazione dell’assistenza, su casi clinici specifici, utilizzando l’approccio narrativo. 

Inoltre, negli anni, abbiamo colto diverse opportunità di partecipare a convegni che, pur non trattando nello specifico di Medicina Narrativa, offrivano a noi di mostrare le potenzialità di quest’ultima come metodologia clinico-assistenziale. Ad esempio, nell’ambito delle iniziative dedicate alla salute delle donne, la nostra azienda ha organizzato un convegno sulla prevenzione e salute al femminile, e in questa occasione abbiamo affrontato la percezione del dolore attraverso la lettura di storie di donne affette da endometriosi, dove la sofferenza fisica si mescola continuamente con la frustrazione di vedersi negate e non riconosciute nella propria malattia, spesso anche discriminate da pregiudizi di genere. Recentemente, nel settembre 2024, abbiamo anche partecipato, con un workshop di scrittura creativa, a un altro evento promosso dall’AUSL di Ferrara, dal titolo “Le parole che curano: linguaggio poetico tra cura, cultura e prevenzione”, che ha visto coinvolti non solo i professionisti del mondo sanitario ma anche i docenti delle scuole e il personale educativo, rappresentando così un’esperienza nuova e stimolante, capace di creare connessioni inedite tra mondi diversi, uniti dal comune intento di prendersi cura, anche attraverso le parole. 

  • Nel 2022 avete promosso il progetto “Medicina Narrativa – Storie che uniscono, storie che curano”. Di cosa si è trattato esattamente, a chi era rivolto e quali sono stati, a vostro avviso, gli esiti più significativi, sia a breve che a lungo termine? 

S&M: Questo breve corso di 4 ore, condotto in modalità sincrona, era aperto a tutte le professioni sanitarie della nostra azienda ed è stato il lancio che, come un sasso nell’acqua, ha diffuso onde di interesse e voglia di conoscere meglio questo modo di approcciare le relazioni e di integrare la cura. In quest’occasione, grazie alla competenza delle relatrici Maria Giulia Marini e Paola Chesi di ISTUD Sanità e Salute e Stefania Polvani di SIMeN, si sono diffusi l’interesse, la curiosità e soprattutto la voglia di sperimentare la metodologia. In seguito, sono stati progettati un primo corso, in forma blended di 18 ore, rivolto a uno specifico gruppo di professionisti (Infermieri di famiglia e comunità) per rispondere al loro bisogno di migliorare le relazioni di cura sartoriali con il malato cronico al proprio domicilio, al fine di garantire compliance ed empowerment. La cartella parallela è stato lo strumento utilizzato da ciascun professionista e successivamente condiviso tra i partecipanti per riflettere e costruire nuove modalità di presa in carico dei loro pazienti. Successivamente un secondo corso, sempre di 18 ore in presenza, costruito come laboratorio esperienziale, ha coinvolto lo stesso gruppo di professionisti e incluso anche un gruppo di studenti del secondo anno che avevano frequentato il corso di MN. L’obiettivo era quello di supportare i curanti nell’elaborazione – tramite strumenti ludici e creativi – dei loro vissuti rispetto alle storie di cura quotidiane, per promuovere lo sviluppo di un’intelligenza emotiva che li aiutasse ad affrontare e sostenere emozioni e disagi scaturiti dall’esperienza professionale. Particolarmente interessante è stata anche l’interazione tra esperti infermieri e neofiti in formazione: l’esperienza dei primi e la genuinità dei secondi hanno dato vita a un contesto dinamico, creativo e costruttivo che ha generato un turbine di energie positive per il benessere di ciascuno. 

  • È previsto un aggiornamento o una prosecuzione di questi percorsi? Quali prospettive si stanno aprendo oggi all’interno dell’azienda per rafforzare l’approccio narrativo nell’assistenza infermieristica? 

S&M: Ad oggi, sono in progettazione altri due laboratori esperienziali, richiesti dalla direzione aziendale, per altri gruppi di professionisti di altre aree clinico assistenziali. Uno sarà dedicato all’equipe infermieristica coinvolta nel prelievo di organi e tessuti, e l’altro rivolto ai team multidisciplinari che operano nel dipartimento oncologico, con lo scopo di diffondere l’approccio narrativo, da un lato a supporto degli operatori e del loro benessere grazie alle pratiche riflessive, e dall’altro per migliorare lo sviluppo di relazioni terapeutiche autentiche tra curanti e curati, sulla base delle quali co-costruire i percorsi di cura. Promuoveremo apprendimenti riflessivi circa le modalità di comunicazione con l’obiettivo di trasformare la comunicazione terapeutica in comunicazione gentile, quella che parte dalle domande del paziente o del caregiver, che lo accompagna alla comprensione di ciò che sta accadendo e lo sostiene contestualmente momento per momento (nel qui e ora) nel percorso di cura, in virtù dei bisogni che la narrazione dei loro vissuti fa emergere. Infatti, non sempre sono gli stessi bisogni previsti dai protocolli di presa in carico e non sempre le risposte terapeutiche corrispondono alle priorità della persona. 

  • Postura narrativa, ascolto attivo, tempo di riflessione: si riesce davvero a mantenere questo approccio in un contesto ospedaliero spesso segnato da urgenza e pressione organizzativa? Quali sono i principali ostacoli — ma anche le opportunità — che incontrate in questo senso? 

S&M: L’utilizzo della formazione esperienziale ha un effetto “ingaggiante” verso i partecipanti che provano sulla loro persona l’efficacia del metodo, e ne rimangono così affascinati da continuare strenuamente, anche in situazioni organizzative critiche, a utilizzare quanto sperimentato: raccogliere una testimonianza del paziente o del caregiver, scrivere la propria storia rispetto a una frequentazione assistenziale, condividere nel gruppo i loro pensieri e agiti. 

  • In conclusione, perché a vostro avviso, vale la pena continuare a credere nella forza trasformativa del nursing narrativo all’interno delle organizzazioni sanitarie? Che tipo di impatto può avere, non solo sulla qualità della cura per i pazienti, ma anche sul benessere e sulla motivazione dei professionisti? 

S&M: Siamo fermamente convinte che gentilezza, comprensione, vicinanza, condivisione e gratitudine reciproche, possano essere una spinta promotrice per tutti i professionisti della cura, per affrontare le sfide quotidiane e future derivanti da un sistema sanitario complesso e sempre più tecnologico, che rischia di compromettere il riconoscimento dell’essere umano, limitando la posizione allocentrica che è propria delle professioni di cura. 

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