Gratitudine: attitudine e collante sociale – intervista a Sergio Ardis

Sergio Ardis è Medico Direzione Sanitaria presso USL Toscana Nordovest e Docente di comunicazione basata sul Kalamazoo Consensus Statement, nonché Segretario nazionale Gruppo italiano felicità e salute positiva.


Potrebbe presentare il suo lavoro, il suo gruppo, e la sua attività ai nostri lettori?

Sono Sergio Ardis, segretario nazionale e rappresentante legale del Gruppo italiano felicità e salute positiva. È un’associazione che non ha presidenti, ha solo segretari perché è improntata sull’operatività e sulla attività. Il Gruppoitaliano felicità e salute positiva è nato nel luglio 2021; è quindi un gruppo giovane che però ha già fatto tantissimo e ha colto l’eredità del dell’Osservatorio italiano di salute nazionale di benessere soggettivo. Si tratta di un osservatorio finalizzato a misurare la salute positiva, il benessere, le dimensioni come quella di cui vogliamo parlare oggi. Abbiamo fatto tante riunioni, ma anche promosso varie ricerche, anche sulla gratitudine, che abbiamo studiato in quanto aspetto molto importante della salute positiva. 

Mi viene quindi da chiederle che cos’è la gratitudine e perché è importante? 

Se apriamo un dizionario troviamo una definizione di gratitudine abbastanza immediata: uno stato emotivo, una sensazione, ciò che proviamo quando riceviamo un dono, un beneficio inatteso, non dovuto. Questa è una forma di gratitudine che ci piace perché ci piace ricevere gesti, ma è una definizione abbastanza limitata dal momento che non comprende sfumature di gratitudine che noi sperimentiamo in circostanze diverse. Per esempio, il bel tempo quando si esce di casa la mattina o l’aria fresca e pulita. 

La gratitudine assoluta, cioè non indirizzata verso una persona o un gesto, è legata a una disposizione personale a sperimentare gratitudine. Possiamo infatti provare gratitudine per le cose che ci accadono nella vita quotidiana o anche per riflessioni più profonde, come per il fatto di essere nati in un ambiente fortunato, in una famiglia che ci ha permesso di studiare, eccetera. Tutte questi sono esempi di circostanze che non corrispondono al ricevere un dono immediato e tangibile, ma che sono in qualche modo frutto della nostra tendenza al decodificare come doni le cose belle che ci accadono durante la vita. 

Potrebbe approfondire questa idea della gratitudine come attitudine?

Definire la gratitudine come attitudine la avvicina al concetto di ottimismo disposizionale, cioè alla tendenza ad essere ottimisti, che non è la tendenza ad aspettarsi cose positive, ma ad interpretare in maniera favorevole ciò che ci accade. Similmente per la gratitudine, si può parlare di gratitudine disposizionale: io mi aspetto cose positive e sono grato per le cose che mi accadono.

Ma se la gratitudine è anche qualcosa di disposizionale, allora vuol dire che si può insegnare e coltivare?

Sostanzialmente sì, ed è importante farlo. Innanzitutto, noi tutti abbiamo imparato ad essere grati, perché si tratta di un approccio culturale, quindi acquisito e non innato. 

Come si può migliorare e come si può insegnare? Qui cito una collega, Enrica Brachi, pedagogista un’educatrice, che si occupa appunto di queste dimensioni. Lei, per esempio, insegna a pensare a una cosa positiva che ci è capitata ogni giorno, anche nei momenti più complessi, e ad esprimere gratitudine per quella. Insegna poi anche a dire ‘grazie’ e quindi a non interpretare ciò che ci accade sempre come qualcosa di dovuto. Per cosa posso essere grato io? Banalmente, provo forte gratitudine per la mia doccia della mattina. Coltivare la disposizione a percepire gratitudine, permette di imparare ad essere grati anche per le piccole cose, come la doccia la mattina. Questo, quindi, riflette in una condizione attitudinale, modo di essere, cioè la tendenza a sperimentare gratitudine.

E perché è importate coltivare l’attitudine alla gratitudine?

La gratitudine ha una forte azione sul nostro benessere soggettivo, innanzitutto perché, come altri stati emotivi di salute positiva, ha una funzione sociale. Cosa significa? Significa che provare gratitudine rafforza i legami con le altre persone. 

Possiamo immaginarci come sia nata la gratitudine quando gli australopitechi sei milioni di anni fa hanno cominciato a camminare in piedi nella savana e a cooperare. Il sentirsi parte del gruppo e sperimentare gratitudine nei confronti degli altri membri ha cementato i rapporto tra gli individui. Nei milioni di anni successivi, finché non siamo diventati Homo sapiens, quindi fino a 120-130 milioni di anni fa, questa attitudine si è sempre di più sviluppata. Negli ultimi 120.000 anni è stata fondamentale per il successo della nostra specie, perché ha rafforzato, insieme ad altri stati emotivi negativi e positivi, il gruppo e quindi ci ha permesso di essere solidali. 

La gratitudine ha fatto nascere in qualche modo la solidarietà; infatti, provoca un certo senso di obbligo: quando riceviamo un dono, siamo grati per il dono ricevuto e contemporaneamente avremmo desiderio di ricambiare il dono ricevuto. A tal punto che in alcune circostanze la gratitudine può diventare però anche problematica, può cioè suscitare un’emozione negativa di imbarazzo.

Quando si sperimenta gratitudine si secerne un ormone, l’ossitocina, che è lo stesso che, per esempio, viene segreto durante il parto. È l’ormone della felicità, del legame, dell’abbraccio, e dell’empatia. Si tratta dunque di un ormone legante, prosociale. Possiamo solo immaginare quando sia stato importante, nel corso della nostra evoluzione, e continua ad essere ancora oggi, nonostante la corteccia prende il sopravvento. Ma la gratitudine la sperimentiamo ancora, provando ancora forte piacere. E provare gratitudine fa bene. Infatti, più alti, sono i punteggi di gratitudine, più alti sono i punteggi di benessere soggettivo. 

Come si misura la gratitudine? 

La gratitudine ha una scala molto semplice, con sei domande contenute nel Gratitude Questionnaire – Six Item Form che richiedono di esprimere il proprio accordo con affermazioni quali per esempio “Ho molte cose per cui sentirmi grato”. Quando si mettono in rapporto i punteggi della gratitudine con quelli del benessere abbiamo sempre una forte correlazione: le persone che provano più gratitudine sono più felici.

Che ruolo ha la gratitudine in ambito sanitario? 

Purtroppo, c’è scarsa attenzione alla gratitudine e in generale a tutte le dimensioni della salute positiva in ambito sanitario. Oggi si cura tanto con i farmaci, con la psicoterapia, rivolta per lo più al risolvere uno stato di malessere o malattia, ci si concentra quindi sugli aspetti negativi della vita; invece, poca attenzione è riservata a coltivare e promuovere un approccio positivo, ossia volto all’aumento del proprio benessere psico-sociale. 

In letteratura ci sono degli studi soprattutto sui pazienti, pochi sui medici. La gratitudine aiuta a guarire meglio e a guarire prima, anche se non ci sono evidenze forti in questo senso. Non sappiamo se realmente promuove un processo di guarigione biologica più accelerato nei pazienti o aumenta solo la sensazione del benessere, ma siccome la salute non è mera assenza di malattia, possiamo comunque pensare che un ruolo quindi ce l’abbia.

Per ora c’è più attenzione, per esempio, per la speranza, però non escludo che in futuro ci sarà ampio spazio di applicazione della psicologia positiva e della gratitudine come strumento per migliorare le condizioni dei pazienti e anche le condizioni di lavoro dei professionisti sanitari.

C’è altro che vuole aggiungere?

Stiamo ripetendo per la quarta volta dal 2018 lo studio nazionale sul benessere soggettivo dei sanitari e nelle ultime tre volte abbiamo inserito la gratitudine. È molto interessante misurare la gratitudine soprattutto da dopo l’inizio della pandemia. 

A proposito di gratitudine e pandemia, abbiamo pubblicato un articolo ipotizzando che proprio questa dimensione sia stata responsabile del mantenimento del benessere dei sanitari durante il lockdown. Infatti, abbiamo visto che i sanitari hanno mantenuto abbastanza il benessere soggettivo rispetto al 2018 e soprattutto hanno aumentato la soddisfazione per il lavoro. 

Questo studio è stato ripreso in un articolo scientifico da Robert Emmons, uno psicologo che si occupa di psicologia positiva ed oggi forse il massimo esperto di gratitudine al mondo, che prende proprio ad esempio le nostre ipotesi per dire come la gratitudine ha potuto avere un ruolo durante la pandemia.

Attualmente noi stiamo ripetendo questo studio, e alla fine cominceremo ad avere un tracciato, un grafico, una sorta di misura della febbre della gratitudine e ci aspettiamo purtroppo che in questo momento la gratitudine dei sanitari sia in calo perché stiamo soffrendo un periodo difficile.

Questo articolo ha un commento

  1. Pierpaolo

    Grazie Sergio! Come sempre pensiero positivo e documentazione scientifica.

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