Fondazione ISTUD – Oltre quindici anni di esperienza nella ricerca sul ruolo del caregiver

Il termine inglese “caregiver” significa letteralmente “chi che dà le cure”, e viene utilizzato per indicare chiunque presti assistenza, supporto, si prenda cura di una persona ammalata. Spesso in Italia, il caregiver coincide con la figura di un familiare o di una persona cara, amica, vicina. Molto spesso converrebbe parlare de “la caregiver” poichè i numeri indicano una percentuale maggiore del 70% di donne che assistono i propri cari malati, rispetto agli uomini.

Comprensibilmente, quando un proprio caro ha un qualche problema serio di salute, tutte le nostre forze sono dedicate al prendersi cura di lui, dimenticandoci spesso di prenderci cura di noi stessi. La fatica fisica, mentale, usurante, persistente negli anni , a cui si va incontro nelle professioni di aiuto, incluso il caregiving domestico, è uno stato noto nel mondo scientifico con il termine di compassion fatigue. L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha definito “la salute è uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto l’assenza di malattia e infermità”. È dimostrato infatti che uno stato di sofferenza persistente, dettata da frustrazioni, abusi, violenze psico-fisiche quotidiane associate al caregiving possano portare ad una condizione di stress elevato che, nel tempo, può addirittura sfociare in vere e proprie sindromi patologiche fisiche e mentali più o meno gravi per il familiare che assiste [1]. Nel 1976 Hans Seyle definì il termine stress come una “rottura o usura nel far fronte alle sollecitazioni ambientali, a valenza negativa”. Sebbene il livello soglia di stress sopportabile sia una caratteristica fortemente individuale, quando questo valore soglia viene superato si può raggiungere uno stato critico chiamato burn-out. Spesso definito come “la sindrome delle professioni di aiuto” (come i medici curanti, gli assistenti sociali, gli insegnanti…), si può affermare che anche il doppio ruolo di famigliare e caregiver presenti purtroppo tutti i requisiti per predisporre la persona che assiste ad incorrere in tale sindrome. Il burn-out si manifesta generalmente con affaticamento fisico ed emotivo, atteggiamento distaccato, apatia nei rapporti interpersonali e sentimento di frustrazione. Inoltre, recentemente, le neuroscienze hanno dimostrato la correlazione fra l’ambiente circostante, la risposta biologica flight or fight del corpo umano e la capacità di risposta immunitaria fisiologica, aprendo le porte ad una nuova disciplina chiamata “psico-neuro-endocrin-immunologia” (PNEI). Tale meccanismo molecolare suggerisce inoltre  la correlazione diretta fra lo stress psichico a cui il ruolo di caregiver va incontro e la comparsa di patologie fisiche del caregiver stesso, (quali cancro, malattie cardiovascolari, infezioni, diabete) dovute a carenze nell’attività immunitaria [2].

Nel nostro Paese, la famiglia ha culturalmente un ruolo chiave nella vita di ognuno di noi e sta crescendo la sensibilità in ambito sanitario e l’attenzione alla figura del caregiver. Sin dalla sua fondazione, nel 2002, l’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD ha portato avanti importanti ricerche su diversi ambiti di Sanità Pubblica, di qualità di vita di pazienti, di comunicazione medico-paziente, e pioneristicamente sul ruolo del caregiver.

Il primo progetto pubblicato a nome Area Sanità e Salute, difatti, si proponeva proprio l’obiettivo di indagare e valutare la qualità di vita delle famiglie di pazienti terminali, l’impatto con le strutture di cure palliative curanti e le conseguenze economiche ricadenti sulla famiglia stessa (“LA FAMIGLIA E IL MALATO TERMINALE – 2005”). L’importanza di un’indagine “allargata” all’intero contesto affettivo-familiare del malato si esprime sia nel delineare un quadro tridimensionale del vissuto del paziente, sia attraverso le molteplici applicazioni a livello istituzionale. Il bilancio di vita della famiglia che assiste un paziente cronico o terminale è dunque a tutti gli effetti uno strumento altamente informativo ed efficace per poter indirizzare con migliore consapevolezza le azioni degli operatori coinvolti nei servizi. Il metodo utilizzato a tal scopo comprende l’applicazione della medicina narrativa e della ricerca qualitativa in quanto strumenti  dall’elevato potere informativo rispetto a molti test quantitativi standardizzati, sulla qualità di vita dei pazienti.

In una recente intervista, Angelo Mastrillo, Segretario della Conferenza permanente delle classi di laurea delle professioni sanitarie ha affermato che le professioni che in futuro andranno per la maggiore saranno quelle per la terza età, confermando che l’assistenza di anziani, spesso affetti da malattie croniche, neurodegenerative o terminali, sia un argomento particolarmente attuale. Non di rado i ritmi frenetici e gli orari di lavoro dei membri familiari più giovani non sempre coincidono con le molteplici cure di cui la persona malata ha bisogno e pertanto la famiglia si trova spesso nella condizione di chiedere supporto ad un professionista, un’assistente familiare, un operatore socio-sanitario, un infermiere.

Il ruolo del familiare caregiver nell’assistenza ai propri cari anziani è un tema di particolare interesse anche per il nostro team di ricerca. Alcuni esempi: il libro STORIE DI VITA NEGLI ANNI D’ARGENTO (2013), volume che racchiude oltre 50 narrazioni, testimonianza a più voci sulle fragilità delle ‘tempie grigie’, ma anche sui punti di forza e le risorse a disposizione degli anziani e delle famiglie;  Bisogni e costi delle persone con lesione midollare e dei nuclei familiari di riferimento” del 2009 ha coinvolto 218 persone con lesione midollare e 63 persone che appartengono al loro nucleo familiare/amicale (caregiver), e ha messo in luce aspetti innovativi del caregiving della persona adulta con disabilità, difficoltà sommerse, carenze istituzionali nel supporto economico e lavorativo.

“Lui aveva paura ed io di più. Non è stato facile. Mio marito è tetraplegico, avevamo fatto pochissimi weekend pre-dimissioni, lui non è autonomo, c’è sempre bisogno di un’altra persona che lo assista 24 ore su 24. Il rientro a casa è stato pesante. Più che problemi di reinserimento sociale, siamo stati sommersi da problemi pratici: badante, assistenza domiciliar e, cose che ci mancavano in casa (ausili, iter burocratici ecc.) tante cose da affrontare da soli.”

“Bisogni e costi delle persone con lesione midollare e dei nuclei familiari di riferimento”,  2009

Alcuni progetti ISTUD in cui il forte stress emotivo e fisico del famigliare-caregiver è emerso in maniera preponderante sono: il progetto “Back to Life” (2014), che ha indagato il cosiddetto burden of illness (letteralmente “fardello”, carico, peso della malattia) di persone affette da mielofibrosi e delle loro famiglie; “La vita di persone con piastrinopenia immune (2016) che ha avuto come obiettivo far emergere il vissuto di pazienti con una grave patologia ematica e dei loro caregiver; “Vivere, assistere, curare la persona con carcinoma prostatico in fase metastatica (2017) che ha delineato un quadro di vita particolarmente drammatico per i pazienti, soprattutto a causa dei forti dolori provocati dalle metastasi ossee e ha fatto emergere una forte pressione emotiva e fisica sulle rispettive mogli che li assistono.

Nel panorama internazionale, il ruolo del caregiver risulta spesso marginato a pochi selezionati ambiti di particolare interesse per la comunità scientifica, quali l’assistenza agli anziani, ma anche la malattia mentale e le difficoltà cognitive di bambini, adulti e anziani. Tuttavia, a testimonianza del forte interesse di ISTUD nei confronti di tutto il cosmo che ruota attorno alla figura del paziente, numerosi sono i progetti che hanno indagato il ruolo del caregiver nell’assistenza al malato. Nel 2007, il progetto COSTELLAZIONE PAZIENTE, FAMIGLIA E PROFESSIONISTA SANITARIO ha indagato l’intera “costellazione sociale” del paziente, dalla vita domestica al rapporto con i curanti.

“Questo ruolo di badante, infermiera, assistente diventava prevalente rispetto al mio ruolo di moglie. Questo in un rapporto di coppia è pericoloso. L’aiuto proprio per tener presente di esserci come moglie. Più ci sono altre figure e più l’equilibrio di coppia funziona. E’ importante tenere separati i due ruoli. Questo l’ho imparato con il tempo”.

COSTELLAZIONE PAZIENTE, FAMIGLIA E PROFESSIONISTA SANITARIO, 2007

Un recente intervento del Ministero della Salute indica la donna come il vero caregiver dell’intera famiglia, colonna portante della salute all’interno delle mura domestiche. Dal 2013 al 2017, numerose donne, madri, mogli, hanno lasciato attraverso i canali ISTUD la loro preziosa testimonianza in qualità di caregivers.  Fra questi, il progetto CRESCERE (2013 – 2016 https://www.medicinanarrativa.eu/crescere) ha previsto per la prima volta l’applicazione della medicina narrativa allo studio dei bambini con deficit di statura, il progetto Nascere prima del tempo (2014) ha indagato il vissuto dei genitori, soprattutto le madri, di neonati nati prematuramente, il progetto NOI (2017) che approfondisce il ruolo della tecnologia nella gestione del diabete e il progetto vivere, assistere, curare la persona con carcinoma prostatico in fase metastatica (2017), un’importante opera di ascolto delle mogli, compagne di vita di pazienti con carcinoma prostatico.

<<Volevo che finisse tutto il prima possibile: se dovevo partorire un feto di 22 settimane, volevo che succedesse il prima possibile, per tornare dal mio bambino grande che mi aspettava a casa. Ascoltavo le altre mamme che partorivano, i vagiti dei bambini che nascevano e mi sembrava un incubo. Mi chiedevo se avrei voluto vedere o no il mio bambino morto. Ero disperata.>>

Nascere prima del tempo, 2014

La disperazione e la sofferenza sono fortunatamente solo una faccia della medaglia; numerose infatti sono le testimonianze raccolte dall’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD, esempi di positività e resilienza delle famiglie e dei pazienti, esempi di coping, ovvero di strategie creative che i pazienti e caregivers hanno adottato per superare i limiti fisici, gli ostacoli dovuti alla patologia, con le quali hanno potuto positivamente reagire, non facendosi scoraggiare e regalandosi veri e propri momenti di serenità nonostante il calvario della malattia. Ciò sottolinea ulteriormente l’importanza di proseguire la ricerca la  comprensione sempre più approfondita sul ruolo del caregiver, in particolare per divulgare la necessità di un supporto istituzionale e sociale, di vicinanza alle famiglie di persone malate e per sensibilizzare al problema.

Bibliografia

  1. Ferrara MP et al. La “metacura” delle donne caregiver. Cura, disagio, malattia.
  2. http://www.pnei-it.com/1/prospettive_pnei_2151981.html

Silvia Napolitano

Ricercatrice dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. Laurea Magistrale in Biotecnologie Industriali presso l’Università di Milano-Bicocca, Master Scienziati in Azienda presso Fondazione ISTUD. Esperta di Medical Writing con una declinazione nelle aree di ricerca qualitativa e Medicina Narrativa. Collabora su progetti di ricerca, formazione e sviluppo aventi per oggetto il miglioramento della qualità di vita e di cura di pazienti affetti da patologie genetiche o croniche.

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