EFFICIENZA ED EFFICIENTISMO – INTERVISTA A MASSIMO CASTOLDI

Il Dott. Massimo Castoldi è Direttore Sanitario presso l’ospedale polispecialistico privato Humanitas Gavazzeni e Castelli.

Da un nostro report sulla qualità della vita nelle organizzazioni sanitarie risulta che i professionisti sanitari traggono le loro energie e trovano la loro motivazione nel rapporto con i colleghi e con i pazienti, mentre il vero problema sembra essere il confronto con la struttura dirigenziale. Come potrebbe essere utile agire per provare a ovviare a questo problema?

Parlando della mia esperienza personale, credo che sia impreciso confondere l’efficienza con il senso di appartenenza a un ospedale o a un’organizzazione. Cerco di spiegare questo concetto: è chiaro che per noi è importante massimizzare l’utilizzo delle risorse, come i posti letto e le sale operatorie, in modo che siano pienamente sfruttate quando assegnate a un chirurgo, evitando inefficienze. Questo, a mio parere, è un punto da tenere in considerazione. Se continuiamo a limitare i finanziamenti al Servizio Sanitario Nazionale, e i costi principali sono il personale, la tecnologia e le strutture, è chiaro che non renderemo efficienti queste risorse al massimo delle possibilità.

In caso contrario, se non riusciamo a garantire l’efficienza delle strutture, delle tecnologie e del personale, inevitabilmente sprecheremo risorse, perché non saremo in grado di investire in tecnologie innovative, aumentare il personale o rinnovare le strutture. È essenziale trovare un accordo su questo punto. Ad esempio, in Italia ci sono molte strutture ospedaliere non conformi alle norme antincendio, quindi è necessario agire in modo concertato.

I medici e gli infermieri denunciano delle tempistiche troppo stringenti che tolgono tempo alla cura. Come è possibile provare a contrastare questa tendenza all’efficientismo esasperato?

L’efficienza può essere considerata un difetto? Direi di no. Tuttavia, l’efficientismo, come tutti gli “-ismi”, può rappresentare un problema, su questo sono d’accordo. Ma quando diventa un problema? Quando consideriamo che i nostri operatori sanitari, che siano infermieri, medici o tecnici, svolgono un ruolo monotono, sia che si tratti di visite, interventi in sala operatoria o altre attività. Questo è un fatto obiettivo. Dobbiamo immaginare che all’interno della nostra organizzazione coinvolgiamo tutti gli operatori nei progetti strategici. Ciò significa dedicare del tempo per comunicare loro le nostre direttive, formarli, misurare e discutere gli obiettivi di qualità, non solo di quantità.

A titolo di esempio, nel mio ospedale abbiamo implementato un sistema di monitoraggio della mortalità e delle infezioni in sala operatoria, insieme a tutti gli altri standard pertinenti che discutiamo con i medici durante riunioni mensili di gruppo o in caso di deviazioni dagli standard attesi. Quello che sto sottolineando è che all’interno di un sistema efficiente, è necessario prevedere momenti dedicati a questo tipo di attività, che contribuiscono indirettamente alla produzione di risultati.

Ad esempio, durante le nostre riunioni di bilancio di quest’anno, non ci concentreremo solo sugli obiettivi quantitativi, perché li raggiungiamo ogni anno. Piuttosto, ci concentreremo sugli obiettivi qualitativi. È importante valutare non solo il numero di interventi eseguiti, ma anche la soddisfazione del cliente della nostra unità operativa, così come la qualità dei protocolli seguiti. È su queste questioni che ci concentriamo e qui torniamo al tema dell’efficientismo.

Certamente, l’efficienza implica non solo garantire tempi operativi adeguati, ma anche dedicare tempo alla gestione della qualità e alla relazione con il paziente, il che può essere difficile da conciliare. Tuttavia, ritengo che sia questo equilibrio che stabilisce una buona relazione tra i professionisti e la dirigenza. È evidente che se trattiamo i nostri professionisti come semplici esecutori, senza tener conto delle loro competenze e della loro importanza nel processo decisionale, si creano inevitabilmente tensioni.

Come descriverebbe il suo team di professionisti sanitari con una metafora?

Lei conosce la storia della pirateria? I pirati, in effetti, erano dei briganti, ma in un certo senso erano anche strumentali al sistema. Infatti, erano chiamati corsari perché avevano una sorta di patente rilasciata dallo Stato della nazione a cui facevano riferimento. Alcuni di loro sono diventati persino nobili in Inghilterra, come ad esempio Sir Francis Drake, che aveva il permesso di attaccare le navi spagnole.

Questa situazione può essere paragonata ad un sistema complesso come quello di un ospedale. Ci sono professionisti che svolgono principalmente compiti di produzione, concentrati sulle loro mansioni, e poi ci sono professionisti che sono coinvolti nell’organizzazione dell’ospedale, gestendo il tutto come se fosse una macchina ben oliata. Entrambi i modelli hanno i loro meriti, ma personalmente ritengo che il secondo modello, gestito dalla direzione sanitaria, sia più efficace. Questo modello è in grado di strutturare e sostenere l’organizzazione secondo standard elevati ed essere attrattivo per i pazienti.

Tuttavia, è importante trovare un equilibrio tra questi due approcci. Nel mondo reale, sappiamo tutti che c’è una crisi di personale medico, soprattutto nei settori più critici come il pronto soccorso e la medicina d’urgenza. Spesso i giovani professionisti preferiscono svolgere solo attività ambulatoriali e le specializzazioni come la medicina d’urgenza rimangono sottobanco, mentre altri reparti, come l’oculistica, sono sempre affollati. Le organizzazioni che riescono a dialogare con entrambi i tipi di professionisti possono ottenere il massimo beneficio. 

Esiste una differenza, soprattutto nella finalità, ma gli strumenti a disposizione sono gli stessi. Passiamo al punto cruciale. Se un’organizzazione coinvolge i professionisti in un progetto incentrato sulla qualità oltre che sulla quantità, credo che stia facendo ciò che deve fare. È fondamentale garantire una relazione solida tra la dirigenza, che illustra il progetto e implementa gli strumenti, e gli operatori sanitari a tutti i livelli.

Come agisce Lei nel concreto per ovviare ai questi conflitti tra medici e dirigenza? Qual è la Sua esperienza da questo punto di vista?

Quello che ho detto finora chiaramente si riflette poi nel luogo in cui lavoro. Se guardiamo le classifiche pubblicate da Agenas per il 2022, Humanitas Rozzano è al primo posto in Italia con il Policlinico di Ancona per la qualità delle cure, Humanitas Gavazzeni è al terzo posto e Humanitas Castellanza è al quarto. Queste valutazioni non sono fatte da noi, ma dall’Agenas, l’agenzia dei servizi sanitari. Questo perché forse il modello da seguire è valido. È una combinazione di efficienza, efficacia e qualità che si misura tramite le valutazioni fornite da Agenas. L’efficienza è misurabile, ma chi pensa che la qualità non lo sia, si sbaglia: o la qualità è misurata o non è qualità. Qui misuriamo l’efficienza, misuriamo l’efficacia che determina la qualità e misuriamo anche vari altri indicatori. È qui che, secondo me, si trova il giusto rapporto con i professionisti. Devo chiedere loro sia qualità che quantità.

Voglio dire che le organizzazioni, secondo me, se percepiscono che un’organizzazione richiede entrambi, allora si sentono coinvolte, altrimenti si sentono sfruttate. Il nostro ambiente non è un paradiso terrestre, quindi anche noi abbiamo bisogno di collaborazione e affrontiamo delle difficoltà. Tuttavia, la strada da seguire è questa: devi chiedere efficienza, efficacia e qualità. Se l’organizzazione fa questo, secondo me ha un buon rapporto costi-benefici, perché non si tratta solo di perseguire numeri, ma di raggiungere uno standard qualitativo più elevato. Ed è qui che entra in gioco anche la soddisfazione del medico.

Per chiarire, ciò di cui ho parlato riguarda gli strumenti che utilizzo. Ogni mese organizzo un incontro con tutti i responsabili medici per lavorare insieme come squadra. Durante questi incontri, distribuisco loro i loro standard di qualità misurabili, come accennato precedentemente. Ognuno di loro ha modo di leggere le proprie performance e ne discutiamo insieme.

Ogni anno fissiamo obiettivi di qualità diversi. Quest’anno, stiamo introducendo i PROMIS [Patient-Reported Outcomes Measurement Information System] in alcune unità operative, ovvero misure basate sulle percezioni dei pazienti riguardo al servizio ricevuto. È necessario creare un sistema in cui si instauri un rapporto soddisfacente. È chiaro che anche noi perdiamo personale, poiché altre opportunità possono essere più attraenti per loro. Se i progetti che proponiamo comprendono sviluppo, l’implementazione di nuovi standard e l’efficienza nella produzione, allora la direzione non sembrerà così irragionevole, né concentrata solo sulla produzione o sulla teoria. 

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.