La cura tra umano e non umano

Post-contemporanea è come viene definita l’era in cui viviamo; la filosofa Francesca Ferrando va oltre questa definizione, parlando di era post-umana [1]. Questo significa che abbiamo ormai superato l’approccio antropocentrico umanistico, arrivando ad abbracciare le potenzialità delle Intelligenze Artificiali, pure sentendocene in qualche modo minacciati. Le relazioni post-umane [2] sono già qui, in paesi come il Giappone, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Cina e in altri paesi occidentali, ed evocano un futuro in cui gli esseri umani potrebbero dipendere non uno dall’altro, ma dai robot e da altre entità non umane.

L’uomo per natura è un essere socievole; chi vive fuori dalla comunità per natura e non per qualche caso, o è un abietto o è superiore all’uomo. La società è anteriore all’individuo. Chi non è in grado di entrare nella comunità o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte della società, e di conseguenza è o bestia o dio, citando la Politica di Aristotele: parole che sono alla base della nostra cultura occidentale, ma sono ancora valide? Abbiamo ancora bisogno degli altri esseri umani, o possiamo affidarci alle macchine intelligenti?

I paesi occidentali, dal punto di vista demografico, stanno invecchiando in modo significativo, con famiglie frammentate, un considerevole numero di persone sole e un sostanziale bisogno di sentirsi seguiti nella cura. La nostra società sta spingendo troppo verso il modello biomedico, e non verso quello biosociale, psicologico e spirituale, in cui l’importanza del tocco e del legame umano rimane paradigmatica. In poche parole, il rischio di questo paradigma sociale di cura delle persone anziane è quello di troppe malattie croniche prese in cura dai robot e di troppo poche energie provenienti dalle relazioni umane – ma è anche più di questo, persino nella nostra società civile.

La cura è un insieme di azioni ed emozioni: persone anziane, persone malate, e coloro che vivono una situazione di vulnerabilità possono guarire attraverso questo approccio combinato di dati concreti ed empatia.

Il tocco, il contatto umano è cruciale per lo sviluppo del bambino: l’abbraccio è la prima cosa che permette la creazione di legami e uno sviluppo sicuro. Quando siamo malati, in qualche modo regrediamo a quel momento di ricerca di un legame, di appartenenza alle persone a noi vicine, al nostro clan, ad altri esseri umani o esseri viventi.

In questo articolo, esamineremo due campi di applicazione della robotica: i robot come caregiver da una parte, e come medici dall’altra.

La parola robot viene dal ceco robotnik e indica una persona obbligata a lavorare, da robota, che significa lavoro forzato, un servizio obbligatorio. Vivono solo nei libri di fantascienza di Asimov, i robot? No, sono già qui con noi.

A livello globale, secondo le Nazioni Unite, dobbiamo aspettarci che il numero di persone di 60 o più anni si innalzi da 962 milioni del 2017 a 2,1 bilioni nel 2050. Allo stesso tempo, innumerevoli persone usano regolarmente la tecnologia, come gli smartphoneo Google Home, per migliorare la propria vita.

In un articolo [3] Laura Petrecca dell’AARP (American Association of Retired People) afferma che, se il software di iPal, progettato per le persone anziane, è ancora in fase di sviluppo, potrebbe presto essere in grado di ricordarti di prendere le medicine, intrattenerti con enigmi stimolanti, e altro ancora. Una volta sul mercato, si andrebbe ad unire ad altri robot socialmente assistivi, come… Mabu e ElliQ di Intuition Robotics, entrambi già di supporto nelle attività fisiche e nell’educazione alla salute degli statunitensi più anziani.

In un commento riportato nello stesso articolo, William Dale, geriatra e specialista di Medicina Palliativa presso il City of Hope National Medical Center della California meridionale, riconosce questa tecnologia come piena di promesse: può immaginare un dispositivo che aiuti con alcuni compiti, come ricordare ai pazienti di prendere le medicine, mangiare o fare una passeggiata. Secondo Dale, i robot socialmente assistivi possono essere utili, in particolare quando i pazienti sono nelle prime fasi del declino fisico o cognitivo. Tuttavia, aggiunge che le persone hanno anche bisogno di empatia e gentilezza da parte di altri esseri umani: I benefici sociali che ne derivano sono difficili da sostituire… Ci sono cose che richiedono il giudizio umano, e sottolinea che rimangono dei limiti a ciò che può fare un dispositivo guidato da algoritmi.

Dal Giappone arriva un altro robot “terapeutico”: si chiama Paro, ha le sembianze di una foca ed è un robot interattivo avanzato. Paro rende possibili i benefici della pet therapy, che andrebbe somministrata a pazienti ricoverati in ambienti dove la presenza di animali vivi presenterebbe delle difficoltà logistiche o di trattamento, come gli ospedali o le strutture di assistenza. Paro ha cinque tipi di sensori, che rispondono al tatto, alla luce, al suono, alla temperatura, alla posizione del corpo, con cui il robot può percepire la persona e l’ambiente che lo circonda. Paro può riconoscere la luce e il buio, la direzione della voce e parole come il suo nome, i saluti e gli elogi: nel contesto giapponese funziona, in quanto risultato di un processo storico in cui i robot sono stati consapevolmente progettati per suscitare dei sentimenti positivi [4]. Potremmo pensare che questo sarebbe sfidante in una cultura come la nostra, eppure, Paro è stato esportato anche qui.

Paro, che a noi potrebbe apparire bizzarro, ha raggiunto il Regno Unito [5] dove viene impiegato per curare le persone affette da demenza. La foca-robot, tramite la sua intelligenza artificiale, può “apprendere” e ricordare il suo nome, quale comportamento corrisponde alla risposta di una piacevole carezza e ripeterlo. Dal punto di vista clinico funziona, ed è questo il motivo per cui un progetto congiunto tra la Sheffield Health and Social Care NHS Foundation Trust e la University of Sheffield ha valutato l’efficacia di inserire Paro all’interno del contesto di cura per le persone affette da demenza.

I robot socialmente assistivi potrebbero sostituire il duro lavoro del caregiver, che può essere noioso, terribilmente intimo e fisicamente ed emotivamente estenuante. Il tempo da dedicare al supportare la persona malata o anziana sembra non finire mai: le vite dei caregiver, che sono per lo più donne con un basso reddito o persino non retribuite, cambiano drammaticamente, insieme all’erodersi della loro autorealizzazione. Le esperienze di chi si prende cura vengono consumate dalla simbiosi, ricercata o indesiderata, con l’anziano o con il paziente. Dei caregiver umani, empatici, sono certo preferibili a dei robot, ma forse, dato l’eccessivo esaurimento dei primi, i robot assistivi potrebbero rappresentare una valida alternativa a una persona inaffidabile o abusante, o a un familiare estenuato dopo aver dato totalmente se stesso/a.

C’è una corrente filosofica chiamata Estropianesimo, che vede la sua origine in I principi dell’Estropianesimo di Max More [6], e implica una continua evoluzione di valori e standard per il miglioramento della condizione umana. Chi segue l’Estropianesimo, crede che i futuri progressi della scienza e della tecnologia permetteranno alle persone di vivere indefinitamente, e vorrebbe poter contribuire a questo obiettivo, facendo ricerca o testando volontariamente nuove tecnologie. Il pensiero dell’Estropianesimo enfatizza soprattutto il pensiero razionale e l’ottimismo pratico. Secondo More, questi principi non specificano delle particolari credenze, tecnologie o politiche. Gli “estropici” condividono una visione ottimistica del futuro, aspettandosi progressi considerevoli nel campo del potere computazionale, nelle nanotecnologie e nell’indefinita estensione della durata della vita, e del recupero, grazie ai futuri progressi nella tecnologia biomedica o nel potenziamento della mente, di corpi e cervelli conservati con la crionica. Il nome Estropia è stato dato in opposizione all’Entropia, la misura del caos e del disordine. Questo paradigma è chiamato anche trans-umanesimo, diverso dal post-umanesimo nella misura in cui nel primo vi è un continuo interscambio tra umano e tecnologia per dare senso al vivere, in un mondo in cui ogni vita individuale è interconnessa attraverso la tecnologia relativamente non solo al presente, ma anche al futuro.

Ora, vi chiedo di provare a riflettere su Come sarebbe essere assistiti da un robot caregiver? Quali potrebbero essere i requisiti minimi per consentire a un robot di essere il nostro caregiver? Cosa pensiamo della pet therapy con Paro? Come ci sentiremmo, al contratio, a subire violenze o abusi da chi si dovrebbe prendere cura di noi? E, ultimo ma non meno importante, Definiremmo questo fenomeno “estropico” o distopico [7]? Non tutti potrebbero avere accesso alle più recenti applicazioni dei robot, e questo creerebbe ulteriori disuguaglianze.

Vediamo ora se, per la professione medica, la robotica è una minaccia tale che i medici possano davvero essere sostituiti da dei robot intelligenti.

I ricercatori del John Radcliffe Hospital di Oxford, in Inghilterra, hanno sviluppato un sistema di Intelligenza Artificiale per la diagnostica che è più accurato, rispetto ai medici, nella diagnosi delle malattie cardiache, almeno nell’80% dei casi. Alla Harvard University, i ricercatori hanno creato un microscopio “intelligente” in grado di rilevare infezioni ematiche potenzialmente letali: lo strumento, assistito dall’Intelligenza Artificiale, è stato addestrato su una serie di 100.000 immagini prese da 25.000 vetrini trattati con del colorante per rendere meglio visibili i batteri. Questo sistema può già classificare i batteri con una percentuale di precisione del 95%. Uno studio della Showa University di Yokohama, in Giappone, ha rivelato che un nuovo sistema endoscopico computerizzato potrebbe indicare i segni di una crescita potenzialmente cancerosa nel colon con una sensibilità del 94%, una specificità del 79% e un’accuratezza dell’86% [8] [9].

In alcuni casi, i ricercatori stanno constatando che l’Intelligenza Artificiale può avere prestazioni migliori rispetto a quelle dei medici umani in quelle sfide diagnostiche che richiedono un giudizio rapido, ad esempio del determinare se una lesione è cancerogena. In uno studio, pubblicato nel dicembre 2017 su JAMA, gli algoritmi ad apprendimento profondo [10] sono riusciti a diagnosticare meglio un cancro mammario metastatico rispetto ai radiologi umani. Mentre questi ultimi possono lavorare bene quando hanno un tempo, se pure limitato, per rivedere i casi, nel mondo reale (specialmente in ambienti affollati e con tempi concitati, come il pronto soccorso) una diagnosi rapida potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte. Tuttavia, questo non è neppure così nuovo, dal momento che la tecnologia ha sempre supportato i medici nella formulazione delle diagnosi. La domanda è: Con quali parole i medici comunicano informazioni sulla diagnosi? Con le proprie, scelte con saggezza ed empatia, o anche questo aspetto verrà delegato ai robot per avere meno problemi di tipo difensivo?

Passiamo alla chirurgia: i robot chirurgici sono un’estensione del chirurgo umano, che controlla il dispositivo da una consolle. Una delle procedure più ambiziose si è svolta nel 2010 a Montreal: è stata la prima operazione in tandem che ha previsto un chirurgo e un anestesista (Mc Sleepy) entrambi robot; i dati raccolti sulla procedura ne riflettono le prestazioni impressionanti.

Nel 2015 il MIT ha effettuato un’analisi retrospettiva dei dati della FDA per valutare la sicurezza della chirurgia robotica. Il rapporto ha rilevato che la stragrande maggioranza delle procedure ha avuto successo e non ha comportato alcun problema; tuttavia, il numero di complicanze in aree chirurgiche più complesse, come la chirurgia cardiotoracica, erano “significativamente più alti” rispetto a campi come la ginecologia e la chirurgia generale. Significa che per i medici, come per i chirurghi, una carriera futura è garantita per procedure molto complicate, ma in termini di sostenibilità, per operazioni sicure, nonostante i pazienti possano urlare e cercare il tocco umano, il Dr Knife è qui [11].

L’avvio di un programma accademico tra Hunimed, la facoltà di Medicina dell’Università Humanitas, e la facoltà di Ingegneria del Politecnico [12] è una notizia recente: l’obiettivo di questo programma è la creazione di un ibrido, il medico-ingegnere. Questa fusione potrebbe essere molto utile per assicurarsi che i medici possano contribuire alla realizzazione dei loro robot: a oggi, questa rientra in un processo di co-creazione condotto da medici, ingegneri biomedici ed esperti di informatica. Qui viene creata una nuova competenza – e questo è il mio pensiero – sbilanciata verso le abilità tecniche. Al contrario, si sarebbe potuto puntare sull’unire la Medicina alla Filosofia, per creare un ibrido che fosse un medico-filosofo. O un medico-umanista, con anche delle competenze robotiche. Sappiamo che l’Estropia andrà avanti, creando nuovi Paro per trattare la sempre maggiore solitudine all’interno della nostra società, e che saranno creati nuovi robot come caregiverintelligenti ma senza emozioni, con la possibilità di diagnosticare la nostra salute: penso dunque che i pensieri, i sentimenti e le parole umani rimangano necessari, e che debbano essere preservati in questo mondo tecnocratico. Investire nella creazione del “medico-ingegnere” è di valore per la sopravvivenza della “specie medico”; dato il modo in cui la maggior parte delle facoltà di Medicina insegnano la cura attraverso gli algoritmi, questa avventura è tattica, ma non so dire quando strategica sul lungo periodo.

Il salto quantico sarebbe stato rappresentato dal lasciare lavorare i robot, in continuo miglioramento grazie agli esperti in Intelligenze Artificiali, inclusi però dottori, filosofi, economisti, antropologi, psicologi, e infermieri, caregiver, pazienti e individui, in un vero team multidisciplinare. Le carriere eviterebbero così la minaccia di “perdere il lavoro”, focalizzandosi maggiormente su questioni esistenziali, sulla comunicazione, sulle emozioni, su parole e gesti: ossia, le Humanities per la Salute.

Solo in poche facoltà di Medicina e Infermieristica la Comunicazione, la Bioetica e le Medical Humanities sono materie obbligatorie per gli studenti. Ritengo che, da una parte il caso di Mr Quintana, informato della sua imminente morte da un robot, e dall’altra i notevoli effetti terapeutici che si hanno quando persone competenti nelle Medical Humanities usano le giuste parole ed emozioni, ci forniscano l’evidenza del fatto che non possiamo più posporre la ricerca di un equilibrio tra la tecnologia e Humanities.

Un robot può imparare velocemente a fare una doccia piacevole alle persone anziane, a cucinare un buon pasto; oggi, può operare pazienti di media complessità e domani potrà operare casi più complessi. Stiamo ancora aspettando un robot che possa scrivere delle poesie, o creare dei capolavori artistici, senza copiarli da qualcosa già visto e memorizzato.

È il bello delle nostre interconnessioni cerebrali, il piacere di una carezza, il profumo di una camminata dopo la pioggia: se un giorno i robot saranno più naturali e creativi di un essere umano, se l’Estropianismo arrivasse a farcela, sarei la prima a dire Chapeau.

[1] Francesca Ferrando, 2013. Posthumanism, Transhumanism, Antihumanism, Metahumanism, and New Materialisms: Differences and Relations. In Existenz: An International Journal in Philosophy, Religion, Politics, and the Arts, vol. 8 n. 2, pp. 26-32.

[2] Per una più approfondita analisi delle relazioni post-umane, si veda https://robotics.leeds.ac.uk/research/medical-robotics/medical-humanities/

[3] Articolo completo disponibile su https://www.aarp.org/caregiving/home-care/info-2018/new-wave-of-caregiving-technology.html

[4] Per un’ulteriore analisi delle relazioni tra robot e umanoidi e cultura giapponese, si veda Yulia Frumer, 2018. Cognition and emotions in Japanese humanoids robotics.

[5] Notizia completa disponibile su https://www.brighton.ac.uk/research-and-enterprise/groups/healthcare-practice-and-rehabilitation/research-projects/the-paro-project.aspx

[6] Per ulteriori dettagli sull’Estropianesimo, si consulti  https://web.archive.org/web/20131015142449/http:/extropy.org/principles.htm

[7] La distopia è una descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro che, in contrapposizione all’utopia, presenta situazioni e sviluppi sociali, politici e tecnologici altamente negativi.

[8] Yuichi Mori et al, 2017. Computer-aided diagnosis for colonoscopy. In Endoscopy 49:8

[9] Erwin Loh, 2018. Medicine and the rise of the robots: a qualitative review of recent advances of artificial intelligence in health. In BMJ Leader 2:59-63

[10] Babak Ehteshami Bejnordi et al, 2017. Diagnostic Assessment of Deep Learning Algorithms for Detection of Lymph Node Metastases in Women With Breast Cancer. Jama 318(22):2199-2210.

[11] Per ulteriori dettagli, si veda https://futurism.com/ai-medicine-doctor

[12] Articolo completo disponibile su https://www.ilsole24ore.com/art/a-milano-nasce-medico-ingegnere-doppia-laurea-politecnico-e-humanitas-AC2r3YN

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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