Una parola in cinquecento parole – Connessione

Cartolina con palo del telegrafo e addetti

La parola “connessione” viene dal latino conexio (connessione, concatenazione, deduzione), sostantivo derivato dal verbo conecto (congiungere, unire, coinvolgere). Quest’ultimo è frutto della composizione del verbo necto (legare, congiungere, vincolare) con il prefisso con-, usato per indicare un essere o portare insieme oggetti diversi. Necato sarebbe infine legato alla radice protoindoeuropea *ned– che esprime l’idea di unire, legare. 

In italiano la parola “connessione” esprime la stretta unione fra due o più cose. Va forse sottolineato che questa vicinanza è, nella maggior parte dei casi, metaforica o figurata, ossia che gli enti in questioni non sono vicini nello spazio, bensì legati fra loro da legami di varia natura simbolica o comunque impalpabile. È interessante notare inoltre come “connessione” indichi sia lo stato di due o più enti tra loro in qualche modo uniti, sia il legame che li tiene assieme. Pluralità di enti ma singolarità di rapporto, legame ma distanza spaziale, stato e mezzo per cui questo si verifica: queste forse le principali caratteristiche della connessione.

La connessione, quando ben sfruttata, permette la costruzione di un terzo spazio tra le due (o più) individualità coinvolte. Questo luogo è terzo nella misura in cui ospita le entità distanti in un rapporto di comunanza e costituisce lo sfondo di una dinamica intersoggettiva dove l’identità del singolo si annulla in favore di un rapporto dialettico tra le parti: l’io e il tu si annullano in favore di un noi polivoco. Così la connessione avvicina noi tutti pur tenendoci distanti, accorcia la lontananza ponendoci in uno stato di mezzo tra presenza e assenza: due enti autonomi, diversi, due punti di vista, lontani nello spazio ma congiunti. 

Gli ultimi anni ci hanno dimostrato che, da un lato, la connessione virtuale è un valido surrogato della presenza quando non ci sono altre opzioni, ma, dall’altro, l’ambiguo spazio della rete non può essere un sostituto assoluto alla presenza. Infatti, nella telecomunicazione, la sottrazione del corpo annulla la componente della prossemica, ossia il significato dei gesti, la quale eventualmente tradotta in parole perde di spontaneità.

La telemedicina ha avuto un boom di crescita negli ultimi anni e tutt’oggi occupa un posto di prim’ordine nel PNRR. Strumento utilissimo in certi casi, nasconde tuttavia problematicità che forse non sempre sono adeguatamente sviscerate. La spersonalizzazione e l’invasività dello spazio privato del paziente sono, per fare un esempio, due di questi aspetti. Dal punto di vista del medico, invece, la necessaria traduzione in linguaggio verbale di tutte le componenti non verbali del discorso, rallenta drasticamente la proceduta e richiede al sanitario una cura e un’attenzione esponenzialmente maggiore che una regolare visita in presenza.

Lasciateci per favore una parola per il vostro sentimento di “connessione”.

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

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