Una parola in quattrocento parole – civiltà

La parola civiltà deriva dal latino civilitas, a sua volta derivato dall’aggettivo civilis col significato di attinente al civis (cittadino) e alla civitas (città).

La civitas era la cellula fondamentale del mondo romano perché costituiva un luogo di civiltà dove la comunità degli uomoni era retta dalle stesse leggi, univa pertanto cultura e ordinamento giuridico.

Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo d.C.) così definisce la civitas nelle Etimologie (XV, 2, 1):

La città (civitas) è una moltitudine di uomini che si raccoglie per un vincolo sociale, che prende questo nome dai cittadini (cives), ovvero i residenti stessi della città (urbs) […] in effetti l’urbs è fatta dalle mura stesse, ma la civitas prende il suo nome non dalle pietre, ma dagli abitanti.

In epoca romana, infatti, la città è l’anello intermedio della società, tra famiglia e Stato, dal momento che nella città non sono solo condivisi aspetti urbanistici, ma anche giuridici, politici, sociali ed economici.

Dalla città alla civiltà. Quest’ultima è una parola complessa dal momento che include aspetti della vita materiale, sociale e spirituale d’un popolo. Oltre ad avere un significato ricco, il termine ha anche una sua storia particolare di violenze, discriminazioni e soprusi perché ha spesso costituito la bandiera, quella dell’“incivilimento”, sotto la quale si sono combattute guerre religiose, di conquista o coloniali. Spesso è inserita in retoriche che portano avanti argomenti della dissociazione di noi contro loro, civiltà contro barbarie, progresso contro oscurantismo.

Nonostante quindi non sia un termine neutro, è interessante recuperare gli spunti semantici che la sua etimologia ci può dare, ossia ripensare a quel nodo di questioni giuridiche, politiche, sociali ed economiche che la civitasportava con sé. La caratterizzazione locale di quest’ultima è persa nella scala globale del nostro mondo, ma l’idea che l’appartenere alla comunità allargata del genere umano comporti diritti che debbono essere tutelati da leggi è idea che non si può non condividere. Basterebbe forse non pensare per civiltà discrete, ma per un’unica, quella umana. Così la civiltà diventerebbe strumento e bandiera di giustizia sociale.

In ambito di salute e benessere siamo ancora lungi da aver raggiunto questo obiettivo, e su questo riflette Carol-Ann Farkas. La medicina narratica diventa strumento di giustizia sociale perché permette l’ascolto e la comprensione dell’altro, ci spiegano i portavoce di Adelante Dolmen e Vivere Onlus. Infine, una storia di impegno per la giustizia sociale, senza progetti di narrazione, ma nata dalla capacità di ascolto di sei giovani dentisti, la storia dell’Ambulatorio Odontoiatrico Popolare di Làbas a Bologna.

Lasciateci per favore una parola per il vostro sentimento della civiltà.

Enrica Leydi

Milanese di nascita, ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Sta attualmente completando il corso di laurea magistrale in Italianistica, sempre presso la medesima università emiliana. Collabora con ISTUD da aprile 2021 in qualità di coordinatrice della rivista «Cronache di Sanità e Medicina Narrativa».

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