C’era una volta. Le mie parole per te

PROJECT WORK REALIZZATO NELL’AMBITO DEL MASTER IN MEDICINA NARRATIVA APPLICATA ED.XIII

di Roberta Nicolò, Pedagogista Clinica

Il progetto “C’era una volta, le mie parole per te” è un’attività laboratoriale sviluppata su due incontri, fruibili in presenza o in modalità telematica.
La necessità di dover parlare ai propri figli della malattia oncologica o oncoematologica, trovando le parole adatte per affrontare l’argomento e di conseguenza le emozioni associate, ha spinto i pazienti a cercare una nuova modalità di comunicazione che fosse semplice ed efficace.

L’attività è stata strutturata partendo dalla scrittura della propria storia di tumore, per intraprende un percorso rielaborativo e di accettazione del proprio vissuto: si è arrivati dunque a costruire una favola prendendo come riferimento cardine la quotidianità, spesso mutata, della famiglia.

Affrontare emotivamente, vivere e rivivere il percorso oncologico, oltre ad essere psicologicamente difficile, comporta un processo di esternalizzazione complesso e articolato che si deve basare sull’ascolto delle proprie emozioni e sull’autenticità del proprio io: per tale motivazione l’attività è stata strutturata con un duplice obiettivo.

In primo luogo vuole essere uno strumento di elaborazione di quanto si sta affrontando: è emerso dai racconti e dalle testimonianze quanto sia stato fondamentale fermarsi e dare voce ai propri pensieri. Metterli su carta ha permesso una maggiore presa di consapevolezza, per cui è stato di conseguenza accelerato il percorso di accettazione del trauma.

In secondo luogo, il trasformare il proprio vissuto in una favola fa sì che si abbia del materiale da poter utilizzare con bambini, strutturato e illustrato, utile a far arrivare in maniera istantanea il significato della storia. Inoltre, a causa dei lunghi ricoveri e della lontananza spesso anche fisica dei genitori, si sviluppa il bisogno di volersi sentire utili e presenti nelle vite dei propri figli: scrivere e dedicare del tempo per un progetto che li riguardi aumenta lo sviluppo dell’autostima e della forza interiore.

Dopo quindi il primo incontro durante il quale viene scritto il proprio vissuto oncologico, si procede ad analizzare il testo al fine di rendere il paziente maggiormente consapevole delle fasi che sono emerse da quanto lui stesso ha scritto. Partendo da questa delineazione si procede con l’individuare i protagonisti, gli aiutanti e il pericolo o il problema da dover risolvere.

Molto spesso capita infatti che sono loro stessi, nel primo elaborato, a creare un’immagine della malattia attraverso metafore o parole simboliche: questa stessa definizione diventa in seguito la trasposizione del cancro nella favola.
Visto come “un bosco fitto dal quale non riuscivo a

trovare la strada di casa, ero sola, non vedevo nessuno intorno a me”, “Assenza di luce” o “onda che mi ha scaraventato in acqua”, sono sempre loro a trovare un volto: in questa maniera possono sentire la favola vicino alla loro esperienza e trovare in ogni personaggio che interviene le strategie di coping che anche nella realtà sono state utilizzate.

Nel progetto condotto sono stati coinvolti cinque pazienti, nessuno dei quali ha fatto emergere la malattia secondo l’approccio del Disease, ovvero in percezione clinico patologica, piuttosto hanno esposto la propria emotività conseguentemente alla diagnosi, mettendo in mostra le fragilità e le difficoltà riscontrate, secondo una prospettiva incentrata sulla Illness e sulla Sickness.

Probabilmente, essendo un laboratorio che ha coinvolto genitori con patologie oncologiche e oncoematologiche, essendo quindi presenti bambini nelle loro vite, la proiezione verso il futuro emerge anche a livello di struttura del testo. L’attivazione di comportamenti propositivi in risposta al trauma della diagnosi, e la presenza e la relazione con i più piccoli, ha creato narrazioni sviluppate su tre tempi: il passato, il presente e il futuro.

Parole come malattia, spegnere, triste, buio, perdita, capelli, assumono un ruolo marginale nel contesto nelle quali sono state inserite. Vengono predilette invece vita, essere, insieme, luce, vivere, diventare, speranza, desiderio, ascolto, sorriso, spiaggia, dono.

I termini utilizzati sono lo specchio di un vissuto nel quale la paura lascia lo spazio alla necessità di credere alla guarigione, essendo presente chi dipende costantemente dalla loro persona.
L’elaborazione grafica è stata poi restituita ai pazienti come punto di partenza per l’elaborazione del secondo scritto, quello della favola.

Il progetto ha evidenziato il raggiungimento degli obiettivi inizialmente prefissati.

L’utilizzo della scrittura ha permesso ai pazienti di potersi fermare sulle proprie emozioni e la possibilità di metterle su carta ha fatto sì che si fortificasse la consapevolezza di quanto stavano e avevano vissuto.

Il processo di creazione e sviluppo della favola non ha fatto emergere difficoltà da parte dei pazienti: a differenza della stesura della loro storia a cui è stata lasciata libera espressione sia nelle modalità che nelle tempistiche, per quanto riguarda la favola sono stati accompagnati e supportati nel delineamento del racconto.

I risultati ottenuti a livello emotivo da parte dei partecipanti sono stati ottimi, per cui si proseguirà al fine di estendere il servizio a chi interessato, nel sostegno ai pazienti oncologici e le loro famiglie.

Le persone coinvolte sono state entusiaste e felici di aver aderito al progetto il quale verrà portato avanti attraverso l’associazione di pedagogia clinica StudioPed.Lab, rimanendo un servizio gratuito per chi ne ha bisogno.

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