Le grandi arcate delle cura: ascoltare e parlare – Intervista a Silvana Baldini

Silvana Baldini è medico ospedaliero con particolare esperienza in Sclerosi Multipla e malattie neurologiche croniche. Autrice di un centinaio di pubblicazioni scientifiche. Nutre un parallelo interesse per medicina narrativa, teologia spirituale, giardinaggio e gatti. Vincitrice nel 2012 del concorso letterario nazionale “Il Volo di Pegaso. Racconta una Malattia Rara” promosso dall’Istituto Superiore di Sanità di Roma. Vive tra Milano e la campagna toscana.


VUOLE PRESENTARSI E SPIEGARE IL SUO LAVORO? 
Ho lavorato come neurologa ospedaliera per tutta la vita, sia come urgentista che come parte di un centro sclerosi multipla. La sclerosi multipla notoriamente non è una malattia rara, ma molto frequentemente la sua diagnosi va in diagnosi differenziale con una serie di altre malattie rare: la neuromielite ottica di Devic, la neuropatia di Leber, la paraparesi spastica ereditaria e via enumerando lungo il ben noto elenco. Questo per dire che attraverso l’interposizione della sclerosi multipla ho avuto una lunga consuetudine con le malattie rare. Adesso lavoro in un hospice dove mi occupo del fine vita, l’esatto contrario della malattia rara perché la morte è un traguardo a cui tutti siamo attesi.

CHE COSA SONO LE MALATTIE RARE? E QUAL È LA SUA ESPERIENZA CON ESSE?
Ci sono dei criteri statistici che sul piano matematico dicono la maggiore o minore frequenza di un certo quadro. Io ho sempre pensato che questo aggettivo, “raro”, fosse un indicatore più significativo per i medici che per i pazienti. Infatti, per chi è affetto da qualsivoglia patologia, che sia rara o comune, quello che si dà sempre è uno scompaginamento delle vicende personali e dell’immagine di sé. È un mondo che si frantuma, non soltanto un corpo. 

LEI HA VINTO NEL 2012 IL CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE “IL VOLO DI PEGASO” – CHE COSA VUOL DIRE RACCONTARE LE MALATTIE RARE?
Si raccontano le malattie rare come quelle comuni. È una questione di prospettiva: per raccontare una malattia l’occhio si deve spostare non tanto sulla rarità statistica della malattia, ma sull’unicità del soggetto nel quale questa si estrinseca. Da questa unicità impreteribile viene il racconto. Basta avere un po’ di uso della parola scritta e pensata ed è semplice immaginare una storia, con tutte le caratteristiche delle storie, in cui si muove quell’unico singolo protagonista con la sua originalità, tra cui la malattia rara.

PARLANDO INVECE DEL SUO PIÙ RECENTE, UN SILENZIO AURORALE, COSA VUOL DIRE PER LEI SAPER ASCOLTARE UN PAZIENTE AFFETTO DA UNA MALATTIA RARA?
Come si ascolta un malato raro, si ascolta un malato comune: si ascolta in silenzio. Ma con questa parola, “silenzio”, intendo non tanto un silenzio ambientale o verbale, quanto un silenzio interno da parte del medico: un silenzio non opacizzato, che metta a tacere la propria bravura, l’ultima rielaborazione della materia, il so-io-quello-che-va-bene-perte; tutte cose che ci devono essere, ma che nel momento in cui si ascolta il paziente devono stare a lato. Si ascolta, poi, con attenzione. È un fuoco attenzionale autenticamente incentrato su chi si ha davanti, che permette di non di non lasciarsi sfuggire i dettagli, che spesso non sono solo dettagli, ma aspetti fondamentali su cui si gioca la relazione medico paziente.

E INFINE, QUINDI, LA MEDICINA NARRATIVA COME CONTRIBUISCE A PRENDERSI CURA DI UNA PERSONA CON UNA MALATTIA RARA E COSA DI CONCRETO BISOGNEREBBE FARE PER ATTUARLO?
La medicina narrativa è fondamentale nel processo di cura. La mia proposta si è giocata nei miei ultimi anni di carriera ospedaliera nel tentativo di organizzare per ogni paziente una “cartella narrativa”, in cui, come in un deposito, venissero ad essere annotate le informazioni profughe, quelle che non hanno il permesso di soggiorno nella cartella clinica tradizionale, ma che sono informazioni fondamentali per il paziente: da quali situazioni viene, che carattere ha, che relazioni ha, le sue convinzioni, chi è insomma. Non si tratta di dettagli trascurabili perché, anzi, servono per decidere la cura, per impostare la relaziona, servono per scegliere il linguaggio da usare, non sono conversazioni inutili o superflue. Sono, secondo me, le grandi arcate della cura.

UN SILENZIO AURORALE. PER UNA MEDICINA TRA SCIENZA E CURA

L’ospedale come luogo di cura e di conoscenza. Come crocevia di linguaggi. I silenzi della giornata ospedaliera. Dove sono e come sono. Nell’elaborazione della diagnosi. In terapia intensiva. A fianco del malato terminale. Nell’ascolto delle storie di vita dei pazienti. Il racconto di un’esperienza pratica. Da una crepa troppo ampia non passa alcuna meraviglia. 

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