L’ARTE PER CURARE  – DI MARIA GIULIA MARINI

Star light

I will be chasing a starlight.

Until the end of my life

I don’t know if it’s worth anymore…

My life

You electrify my life.

Let’s conspire to ignite

All the souls that would die just to feel alive

Luce stellare

Inseguirò la luce di una stella

Fino alla fine della mia vita

Non so se ne valga ancora la pena

La mia vita

Tu elettrizzi la mia vita

Cospiriamo per accendere

Tutte le anime che morirebbero solo per sentirsi vive

Muse

L’arte per curare

I benefici dall’arte sulla salute sono così evidenti che la World Health Organization (WHO) ha promosso, durante il primo congresso dedicatovi in Finlandia del 2019, l’integrazione tra arte e cure mediche. A ciò è seguita la messa a punto di linee guida per l’integrazione dell’arte nel percorso di diagnosi, terapia e assistenza.

Queste le aree di azione previste: aiutare le persone che soffrono di malattie mentali; intervenire nella malattia conseguente a traumi e abusi; sostenere l’assistenza per le persone in condizioni acute, ad esempio durante il ricovero ospedaliero, includendo la terapia intensiva; sostenere le persone con disturbi neurologici come l’autismo, la paralisi cerebrale e l’ictus, i disturbi neurologici degenerativi e le demenze; e ancora, assistere nel trattamento del tumore, delle malattie polmonari, del diabete e delle malattie cardiovascolari; e, infine, sostenere l’assistenza di fine vita. 

Anche in una fase acuta, destinata a diventare una nuova quotidianità, l’arte, come da evidenze nel report (Health Evidence Network synthesis report: what is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being?) aiuta a non pensare in modo ossessivo a quanto è accaduto e in un certo senso accorgersi che la vita offre nuove possibilità di esprimersi, nonostante tutto. Il processo creativo permette l’elaborazione e il superamento di un malessere interiore, migliorando dunque anche la qualità delle relazioni umane.

Il potere dell’arte nella cura è istituzionalizzato nel report della WHO, e esistono molteplici evidenze neuroscientifiche- maturate nell’ultimo ventennio grazie all’imaging- che provano gli effetti che i linguaggi artistici esercitano sul cervello del Sapiens- Neanderthal: questo non è sufficiente, una grande nebbia densa di pregiudizi e di utilitarismi desiderano confinare l’arte in una dimensione “altra”, lontana dai percorsi di cura. Pregiudizi dovuti al confinare l’arte in una dimensione “antiquata”, come se facesse parte di un folklore primitivo, svalutando anche la saggezza dei saperi tradizionali, e utilitarismo dovuto al fatto che non vi sono grandi investimenti dietro al dimostrare che l’arte è terapeutica: il mondo delle aziende farmaceutiche e biomedicali finanzia generalmente studi controllati per dimostrare l’efficacia di farmaci e dispositivi medici, e le ricerche spontanee sono rare.

Lo scopo di questo libro è raccogliere- per diverse forme d’arte e di bellezza, il significato, la storia, le tradizioni, il momento trasformativo nel passaggio da arte a arteterapia e chi ne sono stati i promotori.  Salto quantico è proprio questo passaggio da arte a arteterapia, avvenuto nel secolo scorso: alcuni artisti spesso anche clinici pionieri hanno cominciato a raccogliere le evidenze di come l’arte operasse sull’essere umano attraverso interviste quantitative e questionari. È stato l’avvento dell’imaging che ha permesso un ulteriore salto evolutivo, la comprensione di cosa avviene all’interno del nostro corpo durante l’immersione nell’arte. Questo libro è uno scrigno prezioso per gli scettici, perché possano iniziare a leggere che in alcune buone pratiche di cura si “prescrivono” musica, aromi, pittura, poesia, libri, scrittura, film, colori, suoni, canti, danza, teatro, scultura. Questi sono i linguaggi d’arte che chiamiamo Muse: alcuni sono primordiali, i colori e gli aromi, che rientrano  nella nostra storia di cacciatori raccoglitori, la scultura nel il modo di plasmare i primi oggetti con il fango, la pittura, le cui prime rappresentazioni sono nei santuari delle grotte di Lascaux o di Altamura, e i canti poetici di cui ci parla Bruce Chatwin nel “Le Vie dei Canti” presso il nomadismo degli aborigeni in Australia. 

Una probabile demarcazione storica esiste con l’invenzione della scrittura e della parola scritta – dove il simbolo sostituisce l’immagine, e infine con il cinema, che può riprendere il gioco che i nostri antenati facevano con le ombre proiettate dal fuoco dentro i luoghi chiusi, caverne, antri o capanne che fossero. Come a dire che queste arti si perdono nella notte dei tempi, linguaggi connaturati con la nostra capacità percettiva e creativa ed entrate nel nostro inconscio collettivo e DNA acquisito. 

Perché chiamiamo queste arti le nuove Muse? Nella tradizione classica erano nove sorelle, figlie di Zeus e di Mnemosine (la “Memoria”) e rappresentavano l’ideale supremo dell’arte, intesa come verità del “Tutto” ovvero l’«eterna magnificenza del divino».  Walter Friedrich Otto  ne traccia le caratteristiche: «Le Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosine, la Dea della memoria; ma ciò non è tutto, ché ad esse, e ad esse soltanto, è riservato portare, come il padre stesso degli Dei, l’appellativo di olimpiche, appellativo col quale si solevano onorare sì gli Dei in genere, ma – almeno originariamente – nessun Dio in particolare, fatta appunto eccezione per Zeus e le Muse.» Erano dunque divinità, fondamentale questo pensiero ispirante. E noi dove le abbiamo collocate? Con quali altre divinità abbiamo sostituito le arti?   Plutocrazia, avidità, efficientismo, potere, tecnocrazia, frontiere? 

L’etimologia di Musa, di Cura e delle Nuove Nove Muse per la Cura

Musa, dal greco antico mousai, radice indoeuropea Ma(n), conoscere, in sanscrito Maya, scienza, conoscenza. Essendo participio anche potenzialmente, aspirare. 

Cura, dal latino Cor Urat, cuore e scaldare, da cui scaldare il cuore, dalla radice Ku, osservare e guardare, dal sanscrito Kavi,  assennato, saggio.

Aroma, da aroma, in greco antico, profumo, il quale proviene da aeros, che significa aria. Dal sanscrito aer, che significano vento, luce e cielo.

Colore, dal latino coelare, nascondere, coprire dal sanscrito kala, nero, macchia, dal greco chromos, che proviene da chros, pelle, il vestito del corpo. 

Suono, dal latino sonus, suonare, voce, canto accento, parola, dal sanscrito, sweno- suonare rumoreggiare. 

Musica, dal greco moisike, l’arte e la tecnica delle muse, nell’antichità qualsiasi atto rivolto alle muse, indipendentemente dalla musica stessa. 

Canto, dal latino canere, cantus, participio, modulare la voce, in greco antico ode, da cui la parola melodia, canto dolce (melos, miele)

Danza, dal sanscrito ta- tan, tendere, distendere, sanscrito, tantum, filo, fila, proto francese dinjan, oscillare

Poesia, dal latino poesis, dal greco poiesis, creazione, fatto, poieo, creare, inventare, comporre, fare, radice sanscrita pu, generare, procreare

Scultura, dal latino sculpere, scolpire, incidere, intagliare, dare forma, scalpellum, coltello chirurgico, per incidere e intagliare.  Colpus, latino, battere, picchiare.

Pittura, dal latino pingere, dipingere, ornare e ricamare con fili di diverso colore, in greco antico zoografia, la scrittura della vita

Teatro, dal greco antico, teaomai, guardare, osservare, tauma, guardare con meraviglia, radice sanscrita, div-meravigliarsi, apparire

Lettura, crasi dal latino lectus, legere oculis, scegliere con gli occhi, cogliere con gli occhi.  comporre con le lettere le parole. 

Scrittura, dal latino scriptus, scritto, scribere, tracciare, lasciare segno, in greco antico graphia, descrizione, scrittura, studio, trattato. Radice, gra, graffiiare, grafite – la mina delle matite, il rumore dell’incisione su pietra, e del graffiare la pergamena e  la casta.

Cinema, dal greco antico kinema, movimento, kine– suffisso di muoversi, cinetica, studio dei movimenti.

L’esercizio dell’andare alle radice delle parole con l’etimologia è rivelatore dei significati più ampi delle stesse: la parola era sacra come le Muse, la parola era Dio (in principio era il Verbo, e il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio).  Sapere che Aroma significa un ‘invisibile aria o luce, che la musica era un atto delle muse, qualunque forma prendesse- teatro, danza o storia o astronomia (perché tra le muse antiche c’era anche Ourania musa dell’astronomia e della geometria e Clio, musa della storia): la musica andava oltre, era anche prima del Verbo, quindi, ancora prima di Dio.

Leggendo “scrivere e scolpire” sentiamo dentro le orecchie i colpi dello scalpello per lasciare i primi segni sulla pietra, sia che si tratti di un testo di simboli come la stele di Rosetta, sia che riguardi voler tirare fuori dall’inerte marmo la testa dei Medusa con i suoi capelli a forma di serpente. 

Il ritmo Ta tan della parola Danza ci evoca i tamburi e le distensioni, oscillazioni e piegamenti muscolari, a liberare il corpo e a coordinarlo con altri esseri umani che portano avanti gli stessi passi, creando un filo, in una antica coreografia (scrittura della danza, in greco choreia significa danza, e  la conducevano le chorai, le ragazze giovani). 

E quel curare, che significa fin dai tempi dei nostri antenati, guardare e osservare? Aver cura vuol dire essere concentrati con uno sguardo ampio, perché le altre persone possano sentire meno dolore di qualsiasi natura esso sia, sviluppare più creatività e anti-fragilità, un concetto che supera quello di resilienza, il tornare al punto di partenza rispetto all’impatto, ma che evolve invece rispetto al trauma.

Stiamo vivendo tempi bui, guerre ce ne sono sempre state (da bambina ho vissuto in epoca di guerra fredda USA-URSS) ma da quando generazione Y  e Z sono al mondo, mai  come ora abbiamo avuto così tanta guerra sulla soglia della porta: forse anche le arti sono un tentativo di liberare le emozioni che si provano, per trovare  in questo autunno  piovoso e bellicoso del 2023, dei raggi di sole – della luce stellare come scrivono e cantano i Muse – e pace, tra la pioggia che fa esondare i fiumi antropizzati  e la violenza generata dall’economia di guerra.

Non necessariamente l’arte  l’arteterapia devono rispettare i canoni classici dell’armonia, il codice delle proporzioni auree delle sculture di Lisippo, della Venere di Botticelli o della musica di Mozart, o degli inni trionfali in questo contesto attuale; forse sono le asimmetrie, i rossi e i neri a dovere uscire sulla tela, la musica intima, come Spiegel im Spiegel (specchio nello specchio, una riflessione infinita)  di Arvo Part, i libri  senza il lieto fine, per prender cognizione di come va questa Historia. Già prendere cognizione è un lieto fine, è terapeutico, svelare la verità produce maturità e progettualità per correggere, rimediare, risanare. 

Due suggerimenti

Cominciamo a leggere questo libro scritto da 48 scienziati partendo dall’ultimo paragrafo dei loro capitolo: Pratica di… Sono perline di arte che ogni persona può realizzare da sola, a pochissimo costo, oggi si dice sostenibile, che possano sprigionare benessere, non solo con l’altro ma anche con noi stessi: a volte ci trascuriamo troppo per fare spazio ai nostri doveri, impegni e agli altri e non conosciamo più l’arte della sosta.

Il secondo suggerimento riguarda le evidenze del fatto che l’arte funzioni per creare salute: questo libro è una ricerca vastissima di prove che vanno dalle neuroscienze ai primi studi per misurare l’effetto dell’arte. Quindi non solo desidera essere manuale ma fornire le prove dei benefici dell’arte agli “scettici”. Se gli studi sulle arti terapeutiche non includono un gran numero di persone malate, ipotizziamo anche il perché: si previlegia come dogma scientifico l’investimento economico per testare l’ennesimo antiinfiammatorio.  Per ironia, quei pochi studi effettuati ci indicano che la fruizione artistica riduce drasticamente il consumo di antiinfiammatori e antidolorifici.  

Lanciamo dunque un appello affinché gli investimenti in arte non siano solo ad opera dei collezionisti che si possono permettere gli originali delle tele alle aste da Sotheby’s, ma che Fondazioni Artistiche assieme a Fondazioni Scientifiche possano proseguire questa ricerca nel mondo altro delle arteterapie.  Magari gli stessi di Sotheby’s che ora stanno sostenendo la mostra “Love in Paradise” di Banksy e Keith Haring potranno finanziare i più grandi studi di efficacia delle arti nella cura. 

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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