Arte e Medicina. Prospettive di cura e approcci umanistici – Congresso (Lecce, 2-3 ottobre 2021)

L’Umanizzazione della Medicina mira a creare una maggiore sensibilità verso il tema della comunicazione medico-paziente, al quale va restituito un ruolo centrale nella pratica medica. L’arte assume, all’interno di tale visone, il ruolo centrale di ‘spazio  della comunicazione’, attraverso la capacità di suscitare e veicolare emozioni propria delle manifestazioni artistiche, dalla musica, alla pittura, alla poesia, al teatro.


Arianna Dell’Anna, Ennio Brunetta, Gianni De Rinaldis, Vito Cannazza, Rossana Becarelli, Renato Gregorini, Marcello Aprile, Nicola Baldi, Francesco Spada, Vincenzo Pagliara, Giovanni Costantini, Sara Invitto, Ilio Torre, Dario Marangio

Arianna Dell’Anna, Ginecologa, Ennio Brunetta, Pneumologo, Gianni De Rinaldis, Cardiologo, Vito Cannazza, radiologo, Rossana Becarelli, antropologa Torino, Renato Gregorini, Cardiochirurgo, Nicola Baldi, cardiologo, Marcello Aprile, docente di Linguistica Italiana, Università del Salento, Francesco Spada, medico di base ASL Taranto, Responsabile Casa Museo Spada-Antichi strumenti Musicali, Lecce, Vincenzo Pagliara, oculista, Giovanni Costantini, docente di Tecnologie per il suono e di Intelligenza artificiale, Università di Roma “Tor Vergata”, Sara Invitto, docente di Psicologia generale e di Scienze Cognitive – Università del Salento, Ilio Torre, psicologo, Dario Marangio, poeta


Sofferenza e speranza hanno la stessa desinenza, eppure vi è qualcosa di lieve,
come un’organza,
come i passi precisi, eppure silenziosi, di una danza, qualcosa che ha in sé una dimensione che sembra delegare il mio impegno, fermo ad aspettare,
certo a confidare,
ma quella forza di cui posso essere capace, adesso,
tace?

(Dario Marangio) 

Con questa poesia si è aperto il sipario sul Congresso Arte e Medicina tenutosi a Lecce nel mese di ottobre presso il Museo Sigismondo Castromediano. Il Convegno si è posto l’ambizioso obiettivo di dimostrare come sia possibile coniugare arte e scienza, partendo dal presupposto che la medicina sia “la più umanistica tra le scienze”, così poesia e musica si sono frapposte alle relazioni. Durante i due giorni sono intervenuti relatori e medici artisti, che hanno tradotto in emozioni i dati scientifici. Le relazioni hanno avuto come scopo quello di spiegare come l’arte possa, in assoluto, portare beneficio alla salute del paziente e migliorare la risposta alla terapia medica.

Il congresso si è aperto con la relazione della Prof.ssa Rossana Becarelli, fondatrice nel 2009 della rete Europea Euromediterranea (Humana Medicina), sull’umanizzazione della medicina, intesa come maggiore attenzione alla qualità delle cure e di conseguenza alla qualità della vita. Negli anni 60-70 il boom tecnologico ha enfatizzato la cura, non il prendersi cura, allontanando e in parte disumanizzando il rapporto medico paziente.

La dicotomia fra scienza e umanesimo è un equivoco intellettuale, perché la medicina non può essere interamente fondata sulla scienza e l’umanesimo non può prescindere dal metodo scientifico, senza scadere in una metafisica “utopistica e sentimentale”.

(P-Oddifreddi) 

Le Medical Humanities sono il primo passo per far misurare la medicina del ‘900 con le sfide della post-modernità e della rivoluzione cibernetica.
ll concetto di umanizzazione della medicina, prevede che l’individuo sia considerato capitale umano, affiancabile alle risorse fisiche, finanziarie e umane della pratica sanitaria. Il limite intrinseco della medicina, incapace di risolvere e guarire illimitatamente, impone la necessità di costruire un dialogo medico-paziente che consenta di decidere insieme la tipologia delle cure, la loro opportunità, e persino la durata. 
Lo sviluppo delle Medical Humanities in America, ha fatto sì che la New York University nel 1993 varasse un database in cui confluiscono i dati di oltre 30 università, riguardanti poesia, prosa, cinema e arte. Iniziativa analoga è stata presa dal College Medical School di Londra, che ha inserito nel percorso di studi della facoltà di medicina le Medical Humanities. 

Vi sono altre assonanze: sofferenza e distanza, ad esempio,
quando quel crepaccio dischiuso da un protocollo sanitario,
si apre nel ghiaccio della ripida scalata di un malato e puo’ inghiottire, improvviso, ogni possibile ” abecedario ” di nuove relazioni, tradire, con questo, già sul nascere, le migliori intenzioni di un medico che, alla professionale distanza, preferisce l’umana vicinanza, che fu perfino indicata al missionario per giungere a più convinta conversione.
Quale altra assonanza ricercare che suggerisca modi e mondi nuovi, che disegni, non solo nel nostro immaginario, e scriva quel nuovo abecedario, di visioni poetiche che sostituisca ritmate prassi e modalità mediche, scandite da ciò che non si può fare, più che quanto ancora sia possibile dare, offrire, regalare, amare.
Sofferenza e scienza,
intesa, questa, nella sua pretesa accezione più recente, occidentale, secondo molti la vincente, quella che vale: telematica, tecnologica,
ma talvolta assente
nella sua nostalgia di potenziale vibrazione dell’essere e del divenire, nel suo legame saldo con la filosofia e col pensiero…
Quale scienza, quella del numero o del nome vero del paziente, quella dell’afflato, da ricercare anche quando non si crea, nel boato delle troppe inutili parole… Nostalgici perdenti, noi, solo perché, più di altri, siamo stati quei pazienti dallo sguardo smarrito, che sguardo compito, ma assente, non sostiene, quelli che dicono:
“Dottore, cosa è meglio… e lui: il meglio è nemico del bene! “
Quelli che non vogliono essere ingannati, ma ascoltati, si, nella loro paura che esprime solo un lamento che lo sfiorare di una semplice premura trasforma in lenimento. Nostalgici perdenti che alla tecnologia non si sono adeguati, rimanendo ancorati ad una pratica ormai ancestrale?
No! Sarebbe da idioti
non ammettere l’utile valore dei risultati di una ricerca, non utilizzare
strumenti moderni
nella battaglia aperta
contro il male,
che confina un’antica medicina
ai suoi antichi inverni…
No, non è questa l’umanizzazione della medicina, non è questo ciò che voi medici artisti volete riaffermare da Ieri mattina, ma è quel dubbio,
che è un tarlo buono
se vi rende attenti
a non trasformare in casi e numeri e statistiche
i pazienti
e della loro musica il suono!

(Dario Marangio) 

La relazione successiva del dott. Renato Gregorini ha sottolineato come un approccio meno “tecnico” al paziente possa migliorare la qualità della cura, in quest’ottica si evidenzia il ruolo della medicina narrativa, che attraverso strumenti convalidati, permette di conoscere più approfonditamente chi necessita di cure. L’Istituto Superiore di Sanità definisce la Medicina Narrativa “una metodologia clinica assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa”. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel periodo di cura. La medicina narrativa ha quindi valore epidemiologico, organizzativo (diritti del malato), e fornisce elementi per migliorare i servizi. 

Nel 2011 uno studio clinico randomizzato ha evidenziato che pazienti afroamericani con ipertensione arteriosa, assistiti con metodiche di medicina narrativa affiancate alla terapia medica, presentavano una migliore risposta alla terapia farmacologica (Therapy of hypertension in African Americans. Flack JM, Nasser SA, Levy PD.Am J Cardiovasc Drugs. 2011;11(2):83-92. Review). In letteratura sono accertati benefici riguardanti una minore ospedalizzazione con riduzione dei giorni di assenza dal lavoro nel caso di malattie croniche o invalidanti, migliore risposta allo stress e quindi migliore funzionalità del sistema immunitario, umore più sereno e migliori relazioni interpersonali (Narrative medicine: feasibility of a digital narrative diary application in oncology.Cercato MC, Colella E, Fabi A, Bertazzi I, Giardina BG, Di Ridolfi P, Mondati M, Petitti P, Bigiarini L, Scarinci V, Franceschini A, Servoli F, Terrenato I, Cognetti F, Sanguineti G, Cenci C.J Int Med Res. 2022 Feb;50(2) (Integrative Approaches to Stress Management. Carlson LE, Toivonen K, Subnis U.Cancer J. 2019 Sep/Oct;25(5):329-336. Review). Testi come “Le stanze dell’addio” di Yari Selvetella (Bompiani, 2018 ) “Non Morire” Di Ann Boier (La nave di Teseo, 2020) e “Bianco è il colore del danno” di Francesca Mannocchi (Einaudi, 2021), raccontano come lo strumento narrativo, essendo gli autori loro stessi pazienti e narratori, sia utile per raccontare il proprio personale disagio, attraversarlo e persino superarlo. 

La relazione del prof Marcello Aprile ha raccontato l’utilità della parola per evocare immagini, sollecitare paure e angosce. L’utilizzo di una parola rispetto ad un’altra, ad esempio disagio invece di malattia, apre una maggiore possibilità di dialogo con il paziente. Quando bisogna comunicare la presenza di una malattia cronica, di una neoplasia, la scelta delle parole influisce sulla percezione che ha il paziente di sé, sull’elaborazione del contenuto e sulla possibilità di essere più o meno aderente alle cure. 

Un recente lavoro di medicina narrativa analizzando mediante un’analisi qualitativa dei testi, quali fossero le parole “giuste” per comunicare a un paziente di essere affetto da sclerosi multipla, una patologia del sistema immunitario cronica e ingravescente, ha evidenziato come ci siano delle parole “sedia a rotelle”, “non potrai più fare..” “carrozzina”, rimaste impresse nella memoria degli intervistati anche dopo 10 anni dalla diagnosi. Molti di loro lamentavano la freddezza e il tecnicismo con cui è stata “spiegata” loro la patologia e di come sia stato faticoso, riordinare le idee dopo la diagnosi ed elaborare un personale sistema di organizzazione della vita. Questo ci fa riflettere sul ruolo del medico, che va guidato e protetto nel percorso di cura dei pazienti per evitare che diventi solo un “operatore full time”. Lo stigma sociale che impone al medico un’efficienza continua risulta esasperante e spesso diviene un’arma contro i pazienti, che rappresentano la causa dello stress (Trovare le parole giuste – project work narrativo con pazienti affetti da sclerosi multipla. Lopatriello S, Borriello G, Dell’anna A. Istud X EDIZIONE

La certezza che possano sostituirsi al pianto lacrime di gioia, un giorno, e nuovi baci, anche attraverso le parole, che forse non trovo, ma che possano essere, più di un farmaco efficaci, nel loro contagio d’energia, nell’incredibile portata del pensiero positivo che irrora le cellule, nella magia della musica, punto di contatto tra il nostro finito e l’infinito, nella necessaria voglia di usare, e mai essere usati, dalla tecnologia, ma utilizzare quale rete delle reti le cellule della simpatia, della musica, dell’empatia, della poesia, con la diffusione più ampia dei risultati delle neuroscienze, con l’obiettivo di umanizzare la medicina e le sue conoscenze, perché, mai da eretico, si possa, poi, con franchezza e coraggio rispondere alle domande mai smarrite: sei un medico o fai il medico?

(Dario Marangio) 

Oltre le parole, la musica, le immagini, i colori, ci permettono di comunicare. I suoni sono alla base della comunicazione verbale e nella sua relazione il prof. Vincenzo Pagliara ha illustrato come il tono della voce del medico influenzi lo stato psichico del paziente, modulando la voce secondo tonalità calde e accoglienti permetterebbe di ridurre lo stato ansioso dell’assistito, garantendo così una migliore interazione. 

Medicina basata sull’Evidenza ed individualità

L’organizzazione mondiale della sanità ha definito come salute, uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia, investendo il medico e l’assetto politico-sociale di una responsabilità che la medicina del passato non aveva. Non è sufficiente quindi non avere una malattia per essere in salute, ma anche essere soddisfatti di sé e avere una buona sfera emotiva e sociale. La responsabilità della salute di ognuno di noi, grava prima su noi stessi e successivamente sull’assistenza medica e sociale, che dovrebbe promuovere stili di vita sani, campagne di prevenzione, facilitare gli scambi relazionali, garantire un buon sistema educativo e scolastico e dare la possibilità di lavorare e di realizzarsi. 

Tutti questi aspetti legano chi si occupa di salute con chi si occupa di istruzione, ambiente, cultura, svago e lavoro e rendono il sistema molto complesso. Un sistema complesso non può essere “ridotto” unicamente a segni e sintomi, come la medicina basata sull’evidenza (EBM) con il suo ragionamento ipotetico deduttivo ci ha insegnato. 

Nella pratica clinica anamnesi ed esame obiettivo servono ad interpretare sintomi, si utilizza deduzione per argomentare e l’induzione per generalizzare un risultato. Tuttavia, se nel mondo della logica, il paradigma ipotetico-deduttivo funziona (metodo scientifico), nella pratica clinica ci riserva delle sorprese. In quest’ottica entra in campo la teoria del ragionamento abduttivo, che partendo da fatti empirici, con un ragionamento a ritroso cerca di trovare le premesse da cui quei fatti possono logicamente seguire, senza operare generalizzazioni, integrando il modello scientifico deduttivo con l’individuo stesso e la sua individualità (Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce. Umberto Eco. Bompiani, 2000). 

La relazione del dott. Nicola Baldi ha spiegato come la dicotomia fra arte e scienza sia un errore storico, infatti, analizzando la Divina Commedia ci si accorge di come il metodo scientifico sia già presente fra delle righe del testo e che anzi guidi Dante nella stesura della Divina Commedia con un rigore da manuale scientifico. La creatività artistica non si differenzia di molto da quella scientifica, entrambi i processi seguono un percorso investigativo individuale che deve avere una sua continuità e una sua analitica ricerca. Damasio sostiene che la scienza è sempre creativa e che ha il compito di liberare gli uomini da false credenze e costruire un futuro più che indagare sul passato: qualsiasi scelta o ricerca razionale è spinta da un sentimento. In sostanza cambia la direzione o il punto di vista ma la partenza per la ricerca scientifica e artistica è la stessa, un’emozione (A. Damasio, lo Strano ordine delle cose, Adelphi, 2018). 

La musica, il linguaggio del corpo nel suo dinamismo, sono mezzi per comunicare carichi di suggestioni, in grado di trasmettere simboli e metafore, di fare intuire ciò che non è visibile, ciò che accade nel profondo. Il dott Francesco Spada, attraverso un viaggio nella storia della musica e degli strumenti musicali arcaici ha spiegato come la musica abbia svolto un ruolo fondamentale nell’elaborazione delle emozioni e nella socialità, i primi flauti risalgono infatti a cinquantamila anni fa. L’uomo scoprì che certi suoni producevano un’emozione piacevole, rassicurante, e se più suoni venivano armonizzati, raccontando magari una storia, amplificavano la sensazione di piacere. Per classificare i suoni musicali in termini affettivi ci basiamo su associazioni antiche che precedono la comparsa degli esseri umani e fanno parte del nostro bagaglio neuronale standard. 

La musica è stata portatrice di eventi omeostatici dall’antichità, suscitando emozioni e facendo nascere idee. La danza a sua volta è stata intimamente legata alla musica, i movimenti esprimevano sentimenti analoghi: compassione, desiderio, esultanza per una conquista, amore, aggressività. Viene da sé la funzione delle arti figurative (teatro, pittura, racconto orale), che sono state fonti di chiarimento nel confronto problematico con la realtà, e hanno contribuito all’ordinamento e all’organizzazione del sapere.
Le arti sono state fonte di SIGNIFICATO. 

Se analizziamo la letteratura scientifica i dati riportano che l’utilizzo della musica o di pratiche artistiche ha effetti di miglioramento sulla capacità di cura degli operatori, riducendo il Burnout, si riducono i livelli di ansia e depressione nei pazienti oncologici (Music Therapy in the Psychosocial Treatment of Adult Cancer Patients: A Systematic Review and Meta-Analysis. Köhler F, Martin ZS, Hertrampf RS, Gäbel C, Kessler J, Ditzen B, Warth M. Front Psychol. 2020 Apr 16;11:651), migliorano i parametri vitali come pressione sanguigna e frequenza cardiaca nelle patologie cardiovascolari, migliorano gli stati clinici dei neonati ricoverati in terapia intensiva. L’ aumento della sensazione di comfort, la riduzione dei livelli di stress e un maggiore controllo della pressione sanguigna durante le procedure mediche, migliora la gestione del dolore, consentendo la riduzione dell’uso di farmaci antidolorifici e dell’utilizzo di sedativi dopo un intervento chirurgico.
(Effect of music therapy on blood pressure of individuals with hypertension: A systematic review and Meta- analysis.Amaral MA, Neto MG, de Queiroz JG, Martins-Filho PR, Saquetto MB, Oliveira Carvalho V. Int J Cardiol. 2016 Jul 1; 214:461-4.); (Effect of Music Therapy on Pain After Orthopedic Surgery-A Systematic Review and Meta-Analysis.Lin CL, Hwang SL, Jiang P, Hsiung NH.Pain Pract. 2020 Apr;20(4):422-436). 

L’immagine che ne deriva è di un professionista sanitario immerso nella realtà, che coadiuva con vari strumenti, il processo di guarigione e di cura di un paziente consapevole e presente. In quest’ottica l’utilizzo della tecnologia diviene sostanziale per abbreviare dei percorsi diagnostici e lasciare più spazio al dialogo interpersonale e alla cura. 

Nella medicina odierna bisogna considerare l’avvento della digital health, la rivoluzione genomica ed informatica. Gli strumenti tecnologici hanno la capacità di elaborare enormi volumi di dati, di mettere in relazione infinite opzioni e possibilità, di imparare mediante algoritmi e aiutano il medico aprendere decisioni, sulla base di quello che risulta più efficace, efficiente ed economico. 

Il prof Giovanni Costantini ha illustrato la capacità dei computer di identificare mediante il suono della voce patologie neurodegenerative all’esordio. Tuttavia, sottolinea il professore come lo strumento tecnologico ci possa guidare in una diagnosi precoce, ma non sostituire, perché le variabili, emotive, ambientali che possono intervenire sono innumerevoli ed è necessario che il paziente vada inquadrato da un medico nella sua individualità. 

Omeostasi 

Il filo conduttore del congresso di Arte e Medicina si può riassumere in una parola Omeostasi, ossia la capacità di ogni essere vivente di interagire con l’ambiente esterno ed interno al fine non solo di perdurare, ma di prosperare. Essa è il filo invisibile che unisce le nostre menti al brodo primordiale in cui la vita ebbe inizio. Scopriamo così, non senza stupore, che i batteri, organismi unicellulari privi di mente e di cervello, hanno regolato per miliardi di anni la propria esistenza seguendo uno schema automatico che prefigura comportamenti usati dagli esseri umani nella costruzione delle culture, incluse forme avanzate di socialità e di cooperazione. I batteri furono la prima forma di vita sulla terra e sono attualmente la più numerosa, non solo, ma molti di loro sono parte integrante di noi esseri umani. 

La prof.ssa Sara Invitto, nella sua relazione, ha dimostrato come il suono abbia la capacità di modulare lo stress in modelli animali, e di come possa garantire l’omeostasi. Le emozioni di base, infatti, sono codificate nel tronco dell’encefalo, cioè in una struttura molto arcaica, che l’uomo ha in comune con i rettili. Il che significa che la parte emotiva viene prima delle altre, nello sviluppo di una specie: “l’io primario non pensa, ma reagisce e si emoziona”. ( A. Damasio, lo Strano ordine delle cose, Adelphi, 2018). 

Da qui la necessaria relazione mente corpo “senza il corpo nessuna mente”, il nostro organismo contiene un corpo, un sistema nervoso e una mente che contiene e coordina entrambi. Il corpo verso cui siamo sprezzanti o indifferenti, se ci riferiamo alla mente, fa parte di un organismo complesso, costituito da organi cooperativi, formati da molecole cooperative, costituite da atomi cooperativi, costituiti da particelle cooperative. La complessità è contrassegnata dalla comparsa di funzioni emergenti quando passiamo da frammenti più piccoli a più grandi, esempio è la nascita della vita evolve fino alla comparsa di stati mentali soggettivi.

La vita dell’organismo è la somma totale della vita di tutte le cellule coinvolte, ciascuna cellula continua a mantenere i suoi complicati elementi microscopici per produrre energia e lo fa secondo complicate leggi omeostatiche, con l’imperativo di preservare sestessa contro ogni difficoltà e di proseguire.
Se le cose stanno così, l’inconscio umano affonda le radici più in profondità e più lontano di quanto Freud e Jung abbiano mai immaginato. Durante la crescita dell’individuo ogni fattore ambientale genera una risposta emotiva. Da questo risulta che la macchina del nostro affetto è educabile, e l’ambiente (casa, scuola, cultura) è fondamentale nel processo omeostatico. (A.Damasio. Lo strano ordine delle cose. Adelphi, 2018) 

La risposta emotiva ha origine in sistemi cerebrali specifici, che a loro volta secernono molecole, influenzando i cambiamenti viscerali, i movimenti del viso o dell’intero corpo che sono dovuti ad un’emozione come paura, rabbia o gioia.
Le regioni cerebrali coinvolte come in un network sono i nuclei dell’ipotalamo, del tronco cerebrale, (grigio periacquaduttale), nel prosencefalo basale (nuclei dell’amigdala e del nucleo accumbens). Da qui parte l’emozione. 

In alcuni casi la risposta proveniente da queste aree agisce secondo un percorso lineare, in altri invece sono mediati dalla corteccia cerebrale, comunque sia da questi nuclei parte una risposta che induce movimenti o sostanze chimiche nel corpo e nel cervello. Le risposte che possono scaturire dal “pannello di controllo affettivo” sono molteplici ed esistono innumerevoli sfumature; quindi, la risposta del network neuronale non è mai “scontata” o “rigida”. L’innesco delle risposte emotive avviene automaticamente in modo non cosciente, mentre la sua elaborazione causa i sentimenti. Solo dopo che il sentimento è iniziato possiamo capire o no il sentimento stesso. 

Così la musica, i colori generano risposte emotive positive e sentimenti piacevoli. Altri esempi come una fotografia, o la voce di un amico, l’aroma di un cibo che piace, o un’immagine sensuale suscitano emozioni disparate. Proviamo emozioni positive quando ascoltiamo un suono caldo come quello di un violoncello, emozioni sgradevoli se ascoltiamo un suono stridulo. La “provocazione” di risposte emotive a innumerevoli elementi di un’immagine o ad intere narrazioni è fra gli aspetti più inesorabili della nostra vita mentale. Qualunque sia la fonte, le immagini cerebrali sono impiegate per produrre risposte emotive, che a loro volta trasformano l’omeostasi dell’organismo. La nostra mente cosciente non è la sola protagonista dei nostri comportamenti, ma ogni azione per quanto riteniamo razionale dipende anche dalle emozioni che suscita. 

In quest’ottica il CORPO nella sua visione arcaica e ancestrale diviene nuovamente protagonista della nostra risposta omeostatica alla vita, includendo ovviamente nell’omeostasi anche il benessere e la malattia. La socialità entra nella mente culturale umana per mano dell’affetto (La società della mente, M Minsky, Adelphi, 1989). Ogni immagine che entra nella mente, quindi può innescare una risposta emotiva. Questo vale anche per la sensazione di dolore, che può essere arricchita da un nuovo strato di elaborazione. La stratificazione dei sentimenti è una peculiarità della mente umana ed è proprio la loro stratificazione che ci permette di intellettualizzarli. La poesia, la musica, l’arte sono la manifestazione dello studio delle nostre passioni. La nascita del teatro, della danza, della pittura probabilmente deriva dal tentativo dell’individuo umano di spiegare i sentimenti, non solo, ma le arti probabilmente svolgono un ruolo importante nella struttura e nella coesione dei gruppi. Il nostro cervello risponde alle emozioni secondo comportamenti codificati nei millenni, e per quanto la mente possa controllarli, se lo stimolo stressogeno persiste nel tempo, si innescano inevitabilmente dei meccanismi di compenso per mantenere il sistema in omeostasi. 

Il dott. Ilio Torre conclude il congresso spiegando che lo stress prolungato induce un peggioramento delle capacità cognitive, relazionali e lavorative dei soggetti colpiti e innesca la sindrome del Burnout. Il burnout colpisce in misura prevalente coloro che svolgono professioni d’aiuto, ma anche coloro che, pur avendo obiettivi lavorativi diversi dall’assistenza, entrano in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza. S’impone la necessità di ridurre l’insorgenza di questa sindrome, riducendo il carico di lavoro e fornendo strumenti per migliorare la risposta emotiva degli operatori, come laboratori teatrali e musicali, come anche l’assistenza psicologica. 

Perché si parta dalla dissonanza della sofferenza ed instilli, se non la sicurezza di una cura, almeno la certezza di una premura,
quella di un medico nuovo che sappia trasformare quella distonia, espressione del male o di un’alterazione il segnale, in musica, che negli spartiti non trovo, ma che spazza via il malato, furore, armonia che nasca dall’essere più profondo, dalla materia, nel suo antico aggregarsi, come atto d’amore! 


SI RINGRAZIANO

  • L’Ordine dei Medici Di Lecce, Dott. Donato De Giorgi e dott. Gino Peccarisi.
  • Fondazione Istud di Medicina Narrativa
  • Rete Europea Euromediterranea
  • Manuela Mallia, Attilio Pesce: consulenti informatici 
  • Il Museo Sigismondo Castromediano- LECCE 
  • Elisa Romano, diabetologa, attrice, La Spezia
  • Marcello Moscoloni, otorino, cabarettista, Ancona Salvatore Avantaggiato, pianista jazz, Galatina
  • Gianni Brunetta, ginecologo, sax, Lecce
  • Gianni Bredice, anestesista, tastierista, Lecce
  • Renato Colaci, ortopedico, videoproduttore,
  • Copertino Marcello Costantini, cantautore chitarrista,
  • Galatina Vincenzo Ferrari, medico di base, pianista,
  • Aradeo Giovanna Zaurino, medico, cantante, Lecce
  • Cesare Schirinzi, cardiologo, pianista, Gallipoli 
  • Silvano Fracella, chitarrista, cantante, Nardò,
  • Piero Grima, scrittore, Lecce
  • Carmen Fabiani, logofisioterapista, cantante 
  • MUSICISTI: PIETRO SANTORO, ROCCO MASTROLIA, CESARE DE FIORE 
  • UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE A DARIO MARANGIO, POETA, PER AVERE RACCHIUSO MAGISTRALMENTE IN VERSI LE NOSTRE CONOSCENZE. 

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