Antigone, la guerra e, domesticamente, il Covid-19

Sofocle, Antigone, regia di Federico Tiezzi, Arena del Sole, Bologna 2018

Nata da Giocasta e Edipo, quindi dall’ incesto per antonomasia, Antigone è la protagonista attiva di una tragedia scritta da Sofocle – Antigone, 422 a. C.

Iniziamo dal nome: Anti significa “contro” e Gono “nato”, quindi letteralmente una persona “Nata Contro”. Alcuni scrivono nata in sostituzione, ma sembra ipotesi non plausibile data la sua vita condotta, e lo vedremo, in opposizione della tirannia. Antigone ha una sorella, Ismene e due fratelli, Eteocle e Polinice, tutti figli incestuosi. 

Dopo aver accompagnato il padre Edipo fino alla morte, Antigone decide di ritornare a Tebe, ove era appena iniziata la guerra dei Sette contro la città, causata da discordie fra i suoi fratelli Eteocle e Polinice, che vicendevolmente si erano uccisi. Creonte, il nuovo re di Tebe, fratello di Giocasta, emana un bando che proibisce la sepoltura di Polinice poiché si era alleato per la battaglia contro il fratello con la città di Argo, lasciando il suo corpo giacente in pasto ai cani. Antigone, disobbedendo agli ordini di Creonte, seppellisce degnamente suo fratello Polinice. Per seppellire si intende prendere il corpo, lavarlo, ungerlo d’olio, e poi preparare la fossa, per interrare il cadavere. 

La “Nata Contro” cerca l’aiuto di sua sorella Ismene, e queste le parole di Sofocle:

Antigone: Tu ora puoi mostrare se il tuo animo è nobile davvero oppure indegno della tua nobile stirpe.

Ismene: Ma se le cose stanno così, mia infelice sorella, che cosa posso io fare o non fare?

Antigone: Puoi dividere con me il peso dell’azione…

Ismene: Quale azione? A che pensi?

Antigone: …e aiutarmi a sollevare il corpo…

Ismene: Vuoi seppellirlo? Anche se è proibito?

Antigone: È mio fratello, è anche tuo fratello. Se tu ti opponi, non sarò io a tradirlo.

Ismene: Ma Creonte lo vieta, disgraziata!

Antigone: Lui non può separarmi dalle persone che amo.

Sofocle, Antigone, Traduzione di Giovanni Greco, Feltrinelli, I classici, 2013

La sorella Ismene, il cui nome probabilmente deriva da un fiume che scorre vicino a Tebe, non la aiuta, la condanna e la lascia sola: sola a sollevare il cadavere, sola a seppellirlo e sola ad alzare la voce contro il tiranno Creonte sull’abominio della legge contro la sepoltura dei “nemici”. 

La Nata Contro, priva delle arti magiche di Circe e di Calipso, una donna comune e mortale, è forse una delle prime vere femministe della storia che pagheranno con la vita il prezzo dei loro fatti e parole. La Nata Contro è opposta alla tirannia ma è una fonte continua d’amore: accompagna il padre Edipo, vecchio e cieco, fino alla fine della sua esistenza e poi, sempre per amore, vuole salutare dare l’estremo abbraccio e saluto al fratello morto.

Alcuni storici definiscono i rituali di pulizia del cadavere, l’estremo saluto e la nascita della sepoltura come l’inizio della civiltà occidentale: ecco che Antigone si oppone alla natura selvaggia, e senza ricevere alcun aiuto o compassione agisce spontaneamente. Persino Achille si era commosso di fronte alle richieste di Priamo per poter seppellire Ettore, da lui ucciso, concedendo al padre una degna sepoltura al figlio. Achille era un guerriero, non un tiranno.

La fine di Antigone è tragica: Creonte darà ordine di murarla viva in una grotta, mentre Ismene continuerà la sua esistenza, che pacificamente come il fiume vicino a Tebe.

E veniamo ai fatti di oggi: il tiranno c’è, o per lo meno la tirannide è ben più estesa che nella città di Tebe e in Ucraina i morti di entrambe le fazioni vengono lasciati insepolti, e pur non sapendo bene le responsabilità di chi uccide chi, i cadaveri vengono a volte vandalizzati e posti in bella mostra in luoghi comuni, come davanti ai supermercati, su espresso mandato di spaventare, creare orrore e infrangere le leggi più antiche, quelle legate all’onore dei morti. L’escalation che viviamo è quotidiana e questa certamente avrà ripercussioni tragiche sull’esito della guerra. 

Altra storia, ma parzialmente analoga, è la vicenda delle sepolture in tempi di Covid- 19 (e oramai sono 3 anni, 2020, 2021, 2022, pertanto sarà bene che alcune regole possano cambiare): va menzionato il dolore e la tristezza di quello che è accaduto nel 2020, dove non si sono affatto celebrati i riti funebri, e i corpi sono stati cremati, senza restituzione delle ceneri ai propri cari, anzi non si è saputo in effetti il destino dei morti di Covid -19 durante l’ecatombe della prima ondata in pieno lock down. Speravamo in una scomparsa del virus, e invece eccolo, solo ieri anche a causa del virus sono morte 176 persone: scopro ora che ai parenti di chi muore di Covid-19 (e non desidero entrare nella classificazione del morire con Covid o di Covid, ma mi piacerebbe vedere dati più aggiornati dalla sezione del Istituto Superiore di Sanità, i cui dati di mortalità che presentano età, genere, e malattie concomitanti sono fermi a gennaio 2022) la bara viene data già sigillata, senza avere la possibilità di vedere il corpo, portare ad esempio gli orecchini (penso alla mia morte, io so quali orecchini desidero che brucino con me, come so quale anello ho scelto da portarmi via). Mentre per gli altri morti, il saluto è possibile, la salma è di serie A e quindi può essere toccata dai propri cari.

Departures (Giapponese: おくりびと, Hepburn: Okuribito, “colui che manda via”) è un film giapponese del 2008 che racconta di un giovane che torna nella sua città natale dopo una carriera fallimentare come violoncellista e si imbatte in un lavoro come nōkanshi, il tradizionale rito funebre giapponese, vale a dire preparare i corpi morti per la sepoltura. Proprio così, si riconcilia con il padre che non vedeva più da vivo, quando ne deve preparare la salma per il rito funebre.

Oltre ai nokasnhi, alle Antigoni che lavano i corpi e accarezzano i visi dei morti, abbiamo bisogno di salutare i nostri cari comunque prima dell’ultimo viaggio, vedendone il corpo, rivestito e truccato con cura. Se in altri paesi c’è la tirannide, qui, questo virus non può farla da padrone, su questo tema così delicato: “non me l’hanno fatta vedere”, pure il regista Paolo Sorrentino nel suo ultimo film È stata la mano di Dio urla, di fronte alla perdita dei suoi genitori – e non era tempo di Covid-19, “non me li hanno fatti vedere”. Anche noi familiari siamo chiamati come Antigone a esserci in modo totalitario nell’ultima visione che è preambolo dell’ultimo saluto. È una perdita aggiuntiva la scatola chiusa, che si aggiunge al dolore effettivo. Possiamo permetterci con prudenza di cambiare le regole?  O almeno di fare scegliere ai propri cari se vogliono vedere con i propri occhi l’ultima volta il corpo di chi hanno amato? Certo, è un dilemma etico, tra amore, compianto e sicurezza. Ma con le dovute precauzioni, così come la produttività non si può fermare, qui c’è bisogno di sostare davanti alla bara aperta. 


[1]  Sofocle, Antigone, traduzione di Giovanni Greco, Feltrinelli, I classici, 2013

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

Questo articolo ha un commento

  1. Voglio solo confermare quanto afferma Maria Giulia Marini in relazione allo strazio di chi, oltre ad aver perso compagni, familiari e amici per Covid-19, non solo non ha potuto restare accanto a loro nelle ultime solitarie e traumatiche settimane ma è nemmeno stato concesso un rito funebre, religioso o laico, che permettesse di salutare, ringraziare, piangere, pregare o pensare.
    Nella nostra esperienza di supporto al lutto come Associazione Maria Bianchi (www.mariabianchi.it) abbiamo realizzato numerosi interventi in questi anni di Covid: corsi, incontri individuali e di gruppo on-line, formazione, sensibilizzazione, testi, video… ma niente è stato vissuto così intensamente come le cerimonie commemorative per ricordare insieme le persone decedute per Coronavirus. Abbiamo vissuti in questi tre eventi pubblici a Mantova (uno per anno) il bisogno fisico, carnale, epidermico dei figli, dei compagni, delle mogli e mariti rimasti soli di poter esprimere il senso di colpa per non avere accompagnato sino alla fine il proprio amore, la terribile delusione per non essere stati in grado di fare altro, l’inestinguibile desiderio di chiedere scusa, urlare al mondo il proprio dolore ma anche l’amore verso chi si è perso.
    Come ho scritto in alcune riflessioni sul sito, il lutto da Covid è un lutto ‘soffocato’ e dargli aria, permettergli di vivere, di avere cittadinanza, di donarsi al mondo è un aiuto assolutamente significativo per le persone in lutto. Aiutare chi soffre la perdita per permettergli di rispondere alla domanda: ‘amore mio che non sei più qui con me, come posso continuare ad amarti?’ è, a mio avviso, un passo chiave nel processo di ricostruzione esistenziale e i riti funebri sono totalmente ineliminabili.
    Quando poi Maria Giulia Marini parla anche di oggetti concreti . gli orecchini e l’anello ad esempio, mi fa venire intente che avevamo chiesto ad ogni partecipante di portare nella cerimonia un oggetto appartenuto al proprio caro e spiegarlo, farlo passare di mano in mano, permettere di toccarlo, annusarlo, tenerselo vicino. Fazzoletti, foto, cartoline, bracciali…che non erano reliquie ma un modo di conoscere meglio chi ci ha preceduto e il suo dono al mondo, una diversa modalità per ‘sostare davanti alla bara aperta’.

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