AL DI LÀ DEL SONNO: L’ANESTESISTA, GUARDIANO DEL CONFINE

C’è un momento, prima che l’anestesia faccia il suo corso, in cui ogni paziente domanda: “Mi risveglierò?” È un interrogativo antico, primordiale, che tocca le radici della paura umana più profonda: il sonno eterno. È lì che inizia il lavoro dell’anestesista, non quando si inietta un farmaco o si intuba un paziente, ma quando si raccoglie quello sguardo inquieto e lo si trasforma, se possibile, in fiducia.
Nel suo libro “Al di qua del telo”, Giorgio Bardellini — anestesista e autore — compie un’operazione rara: porta alla luce il lato nascosto della medicina, quello che resta dietro il telo operatorio, dietro il gesto tecnico, nel silenzio delle mani che vegliano. In queste pagine, Bardellini ci mostra che l’anestesia non è solo una disciplina medica, ma un vero e proprio spazio esistenziale, dove si incrociano scienza, etica, ascolto e responsabilità.
La figura dell’anestesista, pur centrale nell’economia dell’intervento chirurgico, viene spesso marginalizzata nell’immaginario collettivo. Il chirurgo è il “salvatore”, il protagonista; l’anestesista è sullo sfondo. Eppure, come scrive Bardellini, è proprio lui a sorvegliare quel limbo in cui il paziente si affida completamente, privo di difese e coscienza. È l’anestesista a guidare il passaggio, a garantire che il viaggio nell’incoscienza sia sicuro, e che ci sia un ritorno.
Essere anestesista significa prendersi cura della fragilità massima dell’altro, quando è letteralmente “nelle tue mani”. È decidere, spesso in solitudine, con tempi stretti e margini minimi di errore. È mantenere lucidità in un sistema complesso, spesso poco riconoscente. Bardellini desidera che il ruolo dell’anestesista sia finalmente considerato con la dignità e la centralità che merita.
Tra tecnica e umanità
Uno dei temi più forti del libro è la necessità di integrare competenza tecnica e sensibilità umana. L’anestesia non è solo un atto medico, è anche un atto relazionale. Il colloquio preoperatorio non è un passaggio burocratico, ma un momento unico per creare contatto, sciogliere paure, umanizzare il futuro intervento chirurgico. E quando il paziente non parla, o finge sicurezza, l’anestesista deve attivare l’ascolto profondo, per cogliere quel silenzio che nasconde l’angoscia dell’abisso.
L’autore invita i colleghi a non farsi travolgere dalla routine, dalla fretta, dal cinismo. Ricorda che anche nella ripetizione tecnica, ogni paziente è un mondo nuovo, con una biografia diversa, con paure e speranze da rispettare. Solo chi mantiene viva questa consapevolezza può restare motivato, umano, presente.
“Lavorare stanca”, ammette l’autore. Non solo per il carico fisico, ma per quello etico, emotivo, invisibile. Spesso l’anestesista lavora di notte, in emergenza, senza supporti, prendendo decisioni critiche in solitudine. E quando qualcosa va storto, è facile diventare il capro espiatorio. Nonostante ciò, questo lavoro continua ad attrarre persone che scelgono di proteggere vite dal lato silenzioso del telo, con dedizione e senza protagonismo.
Giorgio Bardellini solleva anche una critica al sistema che non riconosce questo sforzo: inquadramenti normativi inadeguati, mancanza di inclusione tra le professioni “usuranti”, carenza di cultura organizzativa orientata alla sicurezza condivisa. Il suo appello non è vittimistico, ma lucido: se vogliamo una medicina efficace, dobbiamo valorizzare tutte le figure che rendono possibile la cura, non solo quelle visibili.
Raccontarsi per esistere
Un elemento toccante del libro è il valore attribuito alla narrazione. Bardellini raccoglie storie, dialoghi, aneddoti da colleghi e pazienti. Perché? Perché il racconto è un antidoto all’isolamento, uno spazio di resistenza alla disumanizzazione. Raccontarsi è riconoscersi, è trovare senso nei gesti ripetuti, è costruire una memoria collettiva che dà dignità a un mestiere spesso trasparente.
In questo senso, “Al di qua del telo” è anche un atto politico: denuncia l’invisibilità, ma non con rabbia. Lo fa con eleganza, con misura, con l’umiltà di chi ha scelto di esserci “quando tutto il resto tace”. La medicina non è fatta solo di gesti eroici, ma di attenzione, di ascolto, di pazienza. L’anestesista è il guardiano del confine tra vita e incoscienza, tra dolore e protezione. È colui o colei che “addormenta” il corpo ma vigila sull’anima. E per questo merita di essere visto, ascoltato, ricordato.
Il libro in versione integrale nel PDF allegato ↓