PSEUDOCIESI – della dottoressa ARIANNA DELL’ANNA

La dottoressa Arianna dell’Anna è Medico specialista in Ginecologia e Ostetricia. Ha conseguito inoltre un Master di II livello in PNEI e un Master in Medicina Narrativa.


Giunone, protettrice del parto nel pantheon romano, in un affresco di Pompei.

Fare il medico non è un mestiere..

e che cosa è?

Non saprei..

Una specie di maledizione

Due medici si raccontano le loro delusioni, fumando una sigaretta, su un terrazzo di un ospedale francese, in Ippocrate, un film del 2014 diretto da Thomas Lilti.

Per scrivere sulla fiducia ho dovuto ripensare alla mia storia, agli ultimi 20 anni di pratica medica, ho cercato dei film che potessero evocare delle immagini e dei ricordi e in Ippocrate ho trovato il mio gancio.

Fare il medico è “una maledizione”, così dice provocatoriamente il coprotagonista del film. Il dolore che si prova nell’ascoltare l’altro, in alcuni momenti, appare come una condanna, un peso, obbliga a delle scelte che non sempre sono comprensibili, oggettivabili, scientificamente riproducibili. Fare il medico obbliga ad essere un medico, e per essere un medico bisogna perdere se stessi: bisogna tatuarsi il camice sulla pelle e dormirci insieme, bisogna fidarsi di sé e degli altri,  sostenere la difficoltà del non “potere”, la sensazione di impotenza che pervade ciascuno di noi quando non riesce a capire o consigliare chi ha di fronte in un percorso di cura.

Per essere medici bisogna tradire, ossia avere la capacità di consigliare e scegliere per il bene altrui, a discapito delle nostre conoscenze, convinzioni e pregiudizi. 

Ci si deve tradire innumerevoli volte per arrivare a capire chi si ha di fronte, per instaurare un rapporto di fiducia col paziente e/o con i suoi familiari.

Quando si inizia a fare il medico il paziente è altro da sé, c’è una distanza enorme che protegge, salva, impedisce che la giovane mente di uno specializzando si sgretoli. Più si è giovani più si è convinti di riuscire ad incasellare il malato in schemi rigidi e fissi, e che sia tutto sommato facile seguire le linee guida. C’è un solo binario e un unico treno. Quasi mai ci si tradisce, ci si fida di se stessi, dei libri, del professore, di pubmed. Fare il medico è un mestiere. 

Ma poi all’improvviso succede qualcosa, allora si insinua il dubbio, la torre d’avorio della Medicina comincia a sgretolarsi, si commette un errore, la distanza con il paziente diminuisce. In questa fase la fiducia verso sé e le proprie capacità inizia a vacillare, si può guardare l’altro come un nemico, che ci inchioda davanti ad un film che non vogliamo vedere, che ci fa sentire non adeguati. Non c’è più un unico binario, ma più sentieri, ci sono odori, sapori, urla, voci, schiamazzi, sospiri, pioggia e sole. Cambia il paesaggio, cambiamo noi e cambia il nostro rapporto con gli altri.

Per riacquistare fiducia in noi stessi bisogna accettare l’impotenza, il sonno, la fatica estrema di relazionarsi con chi non è come noi, con chi ha studiato meno o anche di più, con chi vive ai margini o con chi sta in vetta, bisogna guardare il mondo dell’altro e stringere un’alleanza. Trovare un punto d’incontro con l’altro richiede osservazione, richiede tempo. È necessario avere accanto colleghi o personale che diano spunti di riflessione o gettino dei ponti.

La squadra sanitaria che si crea è il presupposto fondamentale per curare e ascoltare, da soli risulta più difficile osservare le mille sfaccettature di chi si ha di fronte.

Curare è un atto creativo, che dipende dallo studio e dalla fortuna di incontrare buoni maestri ma anche dal talento personale e dalla unione del team curante.

Numerosi sono gli elementi che ci aiutano a stabilire un rapporto di fiducia col nostro paziente, in parte cognitivi ma per la maggior parte sensoriali.

S’inizia dall’odore. L’odore dell’altro e il nostro generano il primo dialogo, muto, subdolo, violento. Di cosa odoriamo noi con i nostri camici o le nostre tutine, di betadine? Di clorexidina? Di amido? E il paziente, profuma? Si è lavato accuratamente? Ci tiene? Oppure si lascia andare, puzza. L’odore lo sentiamo se ci avviciniamo. Si, ma quanto possiamo avvicinarci.

Lo sguardo. Lo sguardo, ci sembra che ci illumini, lo vediamo il nostro paziente e lui ci guarda, la nostra mente elabora quelle informazioni e ci fa subito inserire chi abbiamo di fronte in una categoria che ci guida nell’iter diagnostico (Stigma, l’identità negata.1963. Erving Goffman). Quanto possiamo fidarci dello sguardo? Quanto ci tradisce? Quanto ci influenza?  Il paziente cosa vede in noi? Sembriamo affidabili se abbiamo la barba tagliata o le unghie a modo, oppure si fiderà di più se sembriamo poco curati perchè significa che studiamo molto? I capelli, raccolti, lunghi, corti, cosa dicono di noi?

La voce, calda, fredda, acuta, imperativa, disperata, riusciamo a modularla, riusciamo a cogliere le vibrazioni della voce altrui, riusciamo ad essere rassicuranti, convincenti, e il paziente riesce a spiegare i suoi sintomi, riesce a modulare la sua voce e cosa ci racconta?

Il tatto, noi tocchiamo altri corpi e altri corpi ci toccano, ci accarezziamo a volte, altre volte percuotiamo la pancia, il torace, i reni. Siamo afferrati da una mano che ci frena, che ci dice che fa male, che così non va, oppure che il nostro tocco è delicato, che va bene.

Ogni volta si ricomincia, ogni volta ci si perde e ci si ritrova, ogni volta ci si incontra e ci si scontra e si cambia.

Nel processo che comporta essere medico la torre della Medicina, con le sue linee guida e l’evidence based medicinediviene un rifugio affidabile, per prendere fiato e reimmergersi in una realtà entropica.

In questo ci si fida, ci si sfida, ci si affida l’uno all’altro.

Sono in ospedale, come molti pomeriggi della mia vita, sono di guardia e non ho molta voglia di lavorare. 

I pomeriggi chiusa in ospedale mi pesano immensamente, mi sembra di sprecare il tempo, il mondo fuori va avanti, corre, io chiusa fra le solite mura, in questi ambienti vecchi, male arredati, mal temperati. Sono svogliata, mi riposo un po’, sono stanca anche di riposare, guardo fuori la finestra, c’è il sole.

In primavera a quest’ora molti sono al mare, altri si riposano, altri mangiano ancora.

Io sono qui, di guardia, in questo ospedale dove oramai non si respira più niente di nuovo. 

Si lavora poco, si lavora male, sono tutti vecchi, spenti, provo noia. 

Poche cose riescono a emozionarmi, pochissime ad entusiasmarmi. 

La medicina è così, è tutta una questione di squadra, se giochi in serie “E” fai molta più fatica rispetto a chi sta in A. Io continuo a giocare, mi tengo informata, provo a parlare di scienza con i colleghi, con le pazienti, ma quasi sempre tutto cade nel vuoto, mai un rilancio, mai una novità. I miei sogni erano altro, nei miei sogni si combatteva per la Vita, si faceva gruppo si aiutavano gli altri, non conoscevo il “chi te lo fa fare, sta stronza, i culi d’oro”, nei miei sogni da “Candy Candy” i malati erano tutti uguali.

Talmente uguali da non avere più un’identità, solo pazienti, poi con il tempo ho capito, ho sentito che erano persone, come me. Io oscillo tra essere paziente e malata, oscillo continuamente, entro ed esco dal dare una risposta e riceverne, medico paziente, medico medico, paziente paziente. Un girone schizofrenico, sento il dolore degli altri, lo scorgo da lontano, puzza, tappo il naso, stringo forte, ho già il mio, quello non lo posso evitare, spinge da dentro, urla ancora a volte, odio quando le pazienti si lamentano di cazzate. Odio le lacrime paurose, forza signora non è nulla, facciamo la terapia e passa, forza. 

Il dolore vero tace, non dice niente. Io non ho mai detto niente.

Mi chiedo di continuo perché le persone vogliono guarire se poi non vogliono vivere. 

Io non ho mai pregato di guarire, ma voglio vivere.

Dottoressa, una consulenza di pronto soccorso, sussurra l’infermiera al telefono, mi stufo, sto già vistando altre donne, mi interrompe. Entri signora, si accomodi, che succede, ho un po’ di dolori e qualche perdita di sangue, leggo velocemente la richiesta di consulenza sul monitor, leggo 6. Penso che cosa vuoi che sia, sig.ra si cambi, infermiera accompagna la sig.ra a spogliarsi, li dietro, tolga pantaloni e mutandine. Ho detto troppe volte questa frase, tolga pantaloni e mutandine, push out your slip, che noia ripeterla, che noia, pure le mutandine??? Si signora, mica faccio l’oculista io, deve togliere le mutandine.

E’ pronta?? Si dottoressa è pronta. Signora ha fatto altri controlli, no?? Nessuno? NO! Ecco sarà la solita scroccona che viene in ospedale per fare diagnosi di gravidanza, ma che modi sono, ogni volta così. Ignorante e incinta. Mi tendo, il mio viso si inasprisce, mi predispongo a farle una paternale sull’utilizzo del pronto soccorso. C’è il covid, non si viene in ospedale senza una ragione valida. Mi disturba indossare tutte quelle protezioni, per nulla, la caccerei dalla stanza urlando forte.

Si deve stendere sul lettino, apra le gambe, i piedi, le ho detto i piedi sulle staffe, sigra i piedi, non le gambe!! Mamma mia quanto è grassa, mamma mia, come si fa.

Mi dice l’ultima mestruazione signora?? Novembre? Come novembre, allora siamo al sesto mese non sesta settimana, sig.ra come è possibile che non ha fatto nessun controllo durante questi mesi, è pazza?? È un’incosciente?? Signora mi risponde???

Non so dottoressa, c’era il covid. 

Ho capito, ma ..dio ..come si fa.. ora come facciamo a capire il decorso, ma questa è la prima gravidanza?

La terza

Come la terza ? quindi sa che bisogna fare i controlli?? 

Si

E come sono andate le altre

L’ultimo è morto

Come morto, quando?

Si è aggrovigliato con il cordone

Ma quando

Non so, tempo fa

Quando

Non so

Sigra mi guardi, mi risponde.??

Niente, non dice niente guarda il soffitto della stanza, niente, io non ho capito niente, ho paura, non ho capito, la guardo, lei guarda altrove, la riguardo, lei non c’è, allora guardo le sue grandi labbra, cerco il buco dove far scivolare la sonda, non oppone resistenza , io entro e vedo, non c’è niente, non c’è niente, nessun embrione, nessun feto, non nascerà niente.

Sudo, ricontrollo, sudo.

Signora ha mai avuto perdite, perdite di sangue dico

NO

Ha avuto dolori??

SI

Ma lo sentiva muovere il bambino?’

SI

Signora ne è sicura??

SI

Senta signora, come si chiama?’

Chiara

Cambio voce, mi si rompe, cerco di passare ad un altro registro, non ho capito, non ho sentito quel dolore, ero intorpidita dal mio, dalla noia, dalla paura. Sono un medico, sono un medico, cambio tono, la voce ora è tenera, l’infermiera mi guarda, mi riconosce, sorride, sa che so farlo questo mestiere, sono solo stanca. Chiara continua a guardare il soffitto bianco sporco, non guarda il monitor. Io cerco, cerco un bambino fra le anse intestinali, dietro la vescica, dietro le ovaia piccole, spente, non c’è, niente.

Ha un nome bello Chiara, quando si è persa, perché. L’altro bambino perché è morto, aggrovigliato, così ha detto, che significa. Sento la puzza, sento la puzza del dolore, apro le narici, la respiro, inspiro forte, è la mia punizione sentire quel puzzo terribile, vorrei toccarla, vorrei sussurrarle all’orecchio, vorrei trovare un bambino, o almeno un embrione in quella pancia enorme.

La pancia Chiara?

E’ cresciuta??

Si

Tanto?

Si

La guardo, è una pancia di una donna gravida, ha una forma particolare, come è possibile.

Sei sola?

Chiara?

Sei sola?

Quando è morto l’altro bambino Chiara?

Gli altri figli quanti anni hanno, Chiara?

Continuo a ripetere il suo nome, è l’unica cosa che posso fare per avvicinarmi, poi tutto ci allontana, i guanti, la divisa, il camice, la mascherina, la cuffietta, tutto tranne il suo nome, nemmeno gli occhi ci legano, lei non guarda, non c’è.

Mi dispiace, ma non c’è.

Nel tuo utero non c’è un bambino, non so se ci sia mai stato, ma ora non c’è. 

Lo sapevi??

(           )

Chi c’è con te??

Chiara??

Sei sola??

C’è la mia finta mamma e il mio compagno. 

Che sanno loro?

Che devo partorire oggi.

Posso parlare con la tua finta mamma??

SI

Vestiti

SI

Infermiera chiama questa signora, chiamala, falla entrare, lo so che non si può per via del covid, ma cazzo, chiamala e falla entrare, affanculo il covid, affanculo al niente, affanculo alla noia, chiama questa pseudomamma, chiama qualcuno che mi spieghi, perché oggi doveva nascere un bambino che non c’è, perché non c’è niente in quest’utero.

Signora, buonasera, sono il medico di guardia, ho visitato Chiara, e niente, non è in gravidanza.

E’ in gravidanza a 6 mesi, suo marito è fuori, aspetta di vedere il bambino

Signora, non avete fatto controlli

C’è il covid, io le ho detto di farsi vedere, ma niente

Sig.ra non c’è un bambino

Chiara ?? tu lo sapevi??

SI

Ora bisognerà dirlo a suo marito, bisognerà parlarci

SI

Aspettiamo.. guardo Chiara , tutti la guardiamo, io, l’infermiera, la finta mamma, le pareti, gli sparuti e logori oggetti di questo stanzone. Non era mai successo a quella stanza che qualcuno venisse a partorire un bambino che non c’è. Non avevamo mai visto una pancia piena di niente. Una nausea dovuta al niente, delle contrazioni impastate con il niente.

Chiamo la psichiatra, Chiara?’ Vuoi essere aiutata??

Si

Fai salire tuo marito, telefona

Dottoressa il covid

Cazzo il covid!

Buonasera sono il medico di guardia, ecco, le volevo dire che ho fatto l’ecografia a sua moglie

Quando nasce

Aspetta cazzo, non mi guardare così, con quegli occhi, ma tu dove eri, non la hai sentita urlare Chiara, non hai sentito il puzzo, come hai potuto dormile accanto, cosa hai toccato, li sentivi anche tu i calci del bambino? La hai aiutata con le nausee, hai dipinto la cameretta?? Dove eri, con chi eri? Mi fa rabbia, il suo sguardo tronfio del figlio che arriverà, mi fa rabbia. Chi è Chiara? Chi è per quest’uomo, brutto, vecchio, sporco, chi è.. perché continua a guardarmi, cazzo abbassa lo sguardo, tu dove cazzo eri, dove eri, lavoravi? Gli uomini assenti lavorano sempre, tanto, instancabili, assenti instancabili, meritano la cena, meritano un figlio, meritano la cura, meritano l’amore. Lavorano. 

In questi mesi non avete fatto controlli?

No, per il covid, poi la gravidanza è una cosa naturale

E’ naturale, la gravidanza è un evento naturale, continua a guardarmi negli occhi, mi sfida, mi urla che io non ho trovato suo figlio, che deve essere li fra le anse e il grasso di quella pancia cresciuta senza niente dentro. Senza un futuro, una prospettiva. Mi guarda dritto negli occhi, abbassa lo sguardo, abbassa lo sguardo, non è colpa mia, sono un medico, sono una donna, lavoro anche io, anche io non ho sentito il puzzo, non ho sentito il dolore. Siamo uguali, i miei occhi bruciano.

Si

Ma

Non

C’e’

Non ha avuto il ciclo per tutto il tempo

Si

Ma

Non c’è

Ma lo sentiva muovere

Niente

Non c’è, mi spiace, sembra menopausa

Sorride                       Sudo

Sorride                       Respiro

Sorride                       Affanno 

Ma che dice dott.ssa!

La mia ex moglie alla stessa età di Chiara mi ha dato un figlio!

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Ingrid Windisch

    Mi ha toccato molto, leggere questa storia! L´autenticitá, la sinceritá di una dottoressa che riflette bene il suo (nostro) lavoro e che lotta di non perdere l´empatia.

  2. Roberta Rocconi

    Davvero complimenti! Bellissimo racconto, struggente direi; bravissima a descrivere le emozioni; se ti può consolare (ma non credo) anch’io sto morendo di noia…meno male che esistono i nostri racconti che ci aiutano

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