
La città come primo farmaco
Domenica 22 giugno sono approdata a Groningen, una cittadina universitaria del nord dei Paesi Bassi, situata a circa due ore da Amsterdam. La sua vivacità culturale, manifestata in festival, installazioni urbane e spazi condivisi, mi ha accolta come un primo atto formativo: la città stessa sembrava offrirmi una medicina non convenzionale, fatta di relazioni, curiosità e apertura. Ero lì per partecipare ad una Summer School internazionale sul tema Arts in Health, promossa dall’Università di Groningen in collaborazione con Arts in Health Netherlands. Un percorso di formazione che ha saputo trasformarsi in un’esperienza di vita, arricchita da confronto interculturale e interdisciplinare.
Il programma e la visione collettiva
Il programma è stato costruito su un approccio sistemico: coinvolgere università, associazioni, artisti, medici e policy maker, tutti stakeholder attivi nell’integrazione tra arte e salute. L’obiettivo era duplice: da un lato, generare evidenze scientifiche sui benefici delle arti nella relazione cura-prevenzione, dall’altro, favorire pratiche partecipative e inclusive che possano essere applicate in contesti reali. Questa visione segue i principi delineati nel white paper Arts in Health in the Netherlands, pubblicato nel febbraio 2024, che sottolinea la necessità di dare all’arte un ruolo stabile nella sanità, attivando politiche di lungo periodo e mettendo in relazione attori di mondi diversi.
Secondo i promotori del white paper, l’arte:
“makes space for the human in us: when you are creative, your focus is no longer on being ill, but on what you can still do”,
La sfida è trasformare questa intuizione in pratica istituzionalizzata, superando l’attuale frammentazione del settore.
Motivazioni e aspettative personali
Perché ho scelto questa Summer School? Volevo uscire dal contesto italiano, confrontarmi con chi lavora nel settore in altri paesi e capire se le criticità che percepivo fossero condivise o se emergessero approcci alternativi. Speravo di incontrare un vocabolario comune, idee innovative e modelli metodologici replicabili.
La classe, infatti, era composta da 24 partecipanti provenienti da tutta Europa e con background diversificati: policy maker, dottorandi, direttori museali, medici, artisti visivi, musicisti. Un pool multidisciplinare che ha creato un laboratorio vivo di condivisione, scambio e, inevitabilmente, confronto. Esperienze diverse, sguardi complementari, potenziali convergenze.
Etica e governance nei progetti Arts in Health
Uno dei momenti più intensi è stato il confronto su tematiche etiche. In aula, attraverso la conduzione della docente e un modello strutturato di domande, abbiamo analizzato come ogni professionista attribuisse priorità diverse agli stessi nodi progettuali:
- il ricercatore puntava all’evidenza empirica,
- il medico alla sicurezza e al risultato clinico,
- il policy maker all’impatto sistemico e all’equità,
- il direttore museale al valore dell’esperienza estetica.
Io ho condiviso le mie difficoltà nel progettare un intervento negli ambienti di cura, soggetto alla valutazione di un comitato etico-scientifico. Questo confronto ha fatto emergere un punto cruciale: le pratiche di Arts in Health richiedono una governance consapevole e partecipata. Serve una grammatica etica che sappia tenere insieme la tutela dei diritti e la valorizzazione dell’esperienza, la raccolta dati e la sensibilità verso il paziente.
Movimento creativo: dal tremore alla dignità
Credo fosse necessaria un’esperienza corporea per incarnare concretamente i principi discussi. Così è arrivata la lezione di movimento creativo, condotta da un docente specializzato nel lavoro con pazienti con Parkinson e Alzheimer. Designato come danza, ma riformulato per adattarsi a un campo non professionale, questo laboratorio toccava corde profonde.
Ci è stato mostrato come si possa ridare dignità a persone con tremori — sostituendo il movimento involontario con gesti simbolici, come sollevare e lanciare una pallina immaginaria. Un atto semplice e profondamente simbolico, che restituiva agency, sicurezza e significato al corpo della persona. Non era coreografia: era riappropriazione, empatia ed empowerment.
Analogamente, la musica, la poesia e altri linguaggi artistici emergono come pratiche terapeutiche complementari. Non “cura” nel senso epidemiologico, ma alleati nella qualità di vita, specie per chi affronta malattie croniche. Un approccio che può estendersi a interventi di prevenzione primaria, soprattutto in contesti socialmente fragili o stressanti.
Museo come “farmaco sociale”
La visita al Museo di Groningen ha offerto un’altra prospettiva: la possibilità di usare l’arte contemporanea come strumento di inclusione sociale e benessere. In un site-specific museum architettonicamente sorprendente, abbiamo sperimentato una mediazione culturale partecipata: osservazione guidata, presa di appunti in un quaderno, racconto e condivisione del proprio punto di vista.
Il mio esercizio interpretativo si è trasformato in una personale riscrittura narrativa: un pescatore, due figli, visi segnati, un’ambientazione epica e tragica — la mia mente ha evocato un’immagine che ricordava l’Eneide e la fine dell’Iliade. È stato un momento di cura simbolica, partecipata, collettiva. Educatrici specializzate hanno accolto ogni narrazione come parte di un processo che stimola senso, relazione e apertura — secondo pratiche ormai codificate come prescrizione sociale.
Questa modalità è supportata da evidenze scientifiche, soprattutto nel Regno Unito: studi documentano come il coinvolgimento in attività museali riduca ansia, depressione e condizioni di fragilità mentale. L’arte, dunque, diventa terapia integrata, affiancando ma non sostituendo la medicina biomedica.
Definire “Arts in Health”: semantica e cultura
Durante la Summer School, è emerso chiaramente che il concetto di arts varia culturalmente. In italiano “arti” richiama quasi esclusivamente le arti visive; in molti paesi europei, invece, include teatro, danza, musica, narrazione, performance.
Nel contesto italiano sarebbe forse più efficace usare il termine “Cultura in salute”, per richiamare la dimensione collettiva, inclusiva e narrativa di queste pratiche. Una cultura che non si rivolge a élite, ma a persone — tra le fragilità e i bisogni di comunità — per offrire strumenti di rielaborazione emotiva, creativa e identitaria.
Evidenze scientifica e buone prassi
Il white paper olandese delinea un’agenda decennale per integrare strutturalmente le arti nel sistema sanitario. Tra le azioni immediate, propone:
- Creare hubs nazionali e piattaforme per condividere strumenti, formazione, ricerca e networking.
- Introduzione dei programmi Arts in Health nei modelli sanitari e nei curriculum formativi universitari.
- Strutturare finanziamenti mirati e continui, superando progetti episodici e frammentati.
- Creare valutazioni standardizzate (risultati, impatto sociale, economico).
Studi nei Paesi Bassi dimostrano che:
- partecipare a cori o visite museali migliora benessere psichico e coesione sociale;
- riduce il ricovero ospedaliero e stress nel personale;
- offre supporto preventivo nelle comunità fragili, soprattutto tramite azioni di gruppo, inclusione e trasformazione culturale.
Verso un modello italiano: riflessioni e prospettive
La mia esperienza a Groningen suggerisce una serie di linee di azione per il sistema sanitario italiano:
- Semantica e consapevolezza: promuovere il concetto di “Cultura in Salute” per includere tutte le forme d’arte come pratica integrata.
- Formazione interdisciplinare: inserire percorsi formativi per operatori sanitari, artisti e manager culturali sul potenziale terapeutico delle arti.
- Progettazione partecipativa: co-creare interventi con le comunità, utilizzando il modello etico sperimentato in Summer School.
- Evidenze e valutazione: collaborare con università e centri di ricerca per produrre dati robusti e comparabili.
- Policy e sostenibilità: chiedere ai decisori pubblici stanziamenti stabili e criteri di valutazione qualificata.
Una nuova eco di benessere
Tornando a casa, porto con me lo sguardo plurale che questa Summer School mi ha fornito. Ho visto come un laboratorio di movimento possa restituire postura ed emozione a un corpo tremante; come una simmetria narrativa con un quadro possa tessere empatia in un museo; come la convergenza di prospettive scientifiche, artistiche e sociali possa generare un’alleanza potente per il benessere.
In un mondo dove sedentarietà e solitudine sono il nuovo fumo, è urgente far entrare l’arte nella cornice sanitaria: non in sostituzione della medicina, ma come suo complemento cruciale. Perché salute non è solo cura, è relazione, significato e comunità.
Cultura in salute non è un concetto utopico: è una necessità, una pratica, una visione che possiamo portare nel nostro Paese. Con cura, creatività e coraggio.
Carolina Zarrilli – dottoranda in Medical Humanities e scientific curator
Bibliografia di riferimento:
- Arts in Health in the Netherlands – National Agenda (2024, febbraio). White paper. Arts in Health Netherlands. Disponibile su: https://www.artsinhealth.nl
Vedi anche: ilc-alliance.org, amsterdamumc.org - Lewis, R. & Krans, K. (2024, 13 febbraio). Art can help humanize healthcare. RUG Blog – University of Groningen.
Disponibile su: https://www.rug.nl/aletta/blog/art-can-help-humanize-healthcare - Medical Delta Program. Health Promotion with Arts and Culture. Medical Delta, Rotterdam.
Disponibile su: https://www.medicaldelta.nl/en/programmas-en-living-labs/society-prevention/medical-delta-program-health-promotion-with-arts-and-culture - World Health Organization – Health Evidence Network (HEN). The impact of culture on health and well-being (2019). WHO Regional Office for Europe.
Disponibile su: https://www.euro.who.int/en/publications/abstracts/the-impact-of-culture-on-health-and-well-being-a-rapid-evidence-review-2019